clan milieu
- Mauro Trotta
- 15 mag
- Tempo di lettura: 5 min
Il falcone maltese # 2: La nascita dell’industria culturale. Tra industria e mito

Continua il piccolo viaggio di Mauro Trotta nella letteratura noir. La crime story che ci appassiona in tante serie tv di successo, ha origini nell‘800 dentro quel capitalismo industriale che sconvolge le principali città europee. Nasce proprio a Parigi e gli investigatori, cercando i colpevoli, raccontano la nuova società e tutte le sue crudeltà: il delitto è una forma di conflitto sociale e va al di là del bene e del male. In questa seconda puntata, Trotta spiega come dalla capacità di immaginare possibili scenari del primo detective della letteratura, Auguste Dupin, si passa a Sherlock Holmes. L’investigatore inglese sostituisce il virtuosismo dell’artista o dell’artigiano con il dominio della tecnica basata sulla scienza. Come Allan Poe che non contemplava repressione, Holmes ha una scarsa considerazione della polizia che fallisce in quanto troppo convenzionale
La figura centrale all’interno del romanzo poliziesco diventa, fin da subito, quella dell’investigatore. È lui il protagonista, l’eroe, il soggetto che vive le vicende che lo porteranno alla risoluzione del caso, all’identificazione dell’assassino. E se il primo detective della storia del giallo è Auguste Dupin, quello che senza dubbio è arrivato ad incarnare questa figura diventando l’investigatore per antonomasia è Sherlock Holmes. Certo, la figura di Holmes appare molto più caratterizzata di quella di Dupin. Del resto, quest’ultimo è apparso soltanto in tre racconti, mentre l’inquilino del 221B di Baker Street, oltre ai quattro romanzi e 56 racconti scritti da Conan Doyle, è stato ed è protagonista di innumerevoli altri libri, romanzi, racconti, opere teatrali e cinematografiche, fumetti e videogiochi. Insomma si tratta di un’icona a livello planetario.
In ogni caso, però, la creatura di Arthur Conan Doyle ha preso molto dal personaggio di Edgar Allan Poe: entrambi vivono con un coinquilino che è il narratore delle loro avventure, entrambi conducono un’esistenza abbastanza appartata e si mettono in moto soltanto quando decidono di occuparsi di un caso che, oltre tutto, deve colpirli, solleticare il loro interesse. Entrambi, poi, usano le proprie facoltà intellettive per arrivare alla soluzione dei delitti affrontati. Mentre, però, nel caso del detective francese sembra essere la fantasia, l’immaginazione – certo accoppiata all’analisi rigorosa – a consentire la soluzione delle inchieste, per Holmes tutto, invece, è legato all’utilizzo del metodo scientifico. È il ragionamento, la deduzione come la chiama Conan Doyle, l’analisi dei particolari indizi per arrivare al quadro generale (il ragionamento induttivo, insomma) a permettere di arrivare al quadro generale e scoprire la verità.
Cosa è successo? In pratica sono passati neanche 50 anni tra l’esordio di Dupin e il debutto di Holmes in Uno studio in rosso del 1887. Sono avvenuti cambiamenti epocali, di cui questa piccola, a prima vista trascurabile differenza nella concezione del lavoro di indagine del detective è una spia significativa. L’avvento, soprattutto in Inghilterra, del sistema industriale modifica tutto. Nasce l’industria culturale. La cultura di massa si afferma costruendo le proprie regole, i propri modi di funzionamento. Al virtuosismo dell’artista o dell’artigiano si va sostituendo il dominio della tecnica basata sulla scienza. Ma, anche se si vanno affermando nuovi modelli culturali ed artistici, nascono nuove forme di comunicazione e di intrattenimento, si va costruendo un nuovo immaginario collettivo, parallelamente la vecchia talpa, per dirla con Marx, continua a scavare. Sotto la superficie si muovono elementi di resistenza ai nuovi rapporti capitalistici, emergono segnali di contrasto e di lotta alla nuova realtà che va affermandosi. Insomma, la fantasia non è al potere, ma comunque gioca le sue carte all’interno del conflitto politico e culturale che è in atto e va sempre più affermandosi.
La figura di Sherlock Holmes gode fin da subito di un immediato e travolgente successo. La sua ascesa, all’interno dell’immaginario collettivo, può essere considerata quasi una perfetta rappresentazione della nascita dell’industria culturale. Vengono, infatti, stabiliti una serie di elementi fondanti della nascente fabbrica dell’entertainment, oltre a sancire l’importanza del genere poliziesco all’interno di tale sistema. Un sistema che vede la partecipazione di tutti i differenti canali di comunicazione: dalla letteratura al teatro, poi al cinema, alla radio, alla televisione, al fumetto, ai videogames. E Holmes sarà presente in tutti questi media. Anzi, alcuni degli elementi che più caratterizzano il detective di Baker Street non vengono dai libri. Così l’espressione «elementare, Watson», la caratteristica pipa ricurva o il cappellino da cacciatore, il deerstalker, nascono a teatro e vengono ripresi nelle illustrazioni e al cinema.
Fondamentale, poi, è l’utilizzo della serialità, ovvero la produzione di una serie di opere, potenzialmente infinita, con la presenza del protagonista. Ma anche con la riproduzione di una serie di elementi, sempre gli stessi, come la coppia Holmes Watson, il delitto, il metodo di indagine e ben presto anche l’avvento di un arcinemico, il professor Moriarty, che instaura una nuova coppia con Holmes, e così via. Elementi, questi, che garantiscono al fruitore il piacere dato dalla ripetizione di forme conosciute, rassicuranti, all’interno di un quadro caratterizzato dal nuovo, dall’inaspettato, ovvero dal crimine e dall’esistenza di un colpevole. Ma la serialità è anche espressione del nuovo quadro socio-economico caratterizzato dall’avvento dell’industria. Non a caso la produzione industriale è seriale, si producono in serie merci che creano un proprio pubblico. Ed il rapporto di Holmes con il suo pubblico è un altro elemento fondamentale. La gente si scopre legata al brand – diremmo oggi – Sherlock Holmes. Tanto che quando il suo creatore decide di farlo morire in un ultimo scontro con Moriarty, il pubblico si ribella e Conan Doyle è costretto a resuscitare la propria creatura. Allora il personaggio diventa mito, mito d’oggi. Del resto lo star system hollywoodiano, che tra un po’ vedrà la luce, si muoverà sempre tra l’industria e il mito. E l’espressione «industria culturale» non vede forse insieme le parole industria e cultura? Siamo forse agli albori del tentativo da parte del capitale di mettere al lavoro non solo i corpi, ma anche le menti? Insomma, prime prove del frammento marxiano sul general intellect? Intanto, però, elementi di resistenza sono rintracciabili nella figura del grande detective. L’uso della cocaina, ad esempio. Certo all’epoca non era vietata, però… Oppure l’avere come alleati i cosiddetti Irregolari di Baker Street, di sicuro non buoni borghesi. Il rapporto conflittuale con il fratello Mycroft, legato al governo Britannico. E, ancora una volta, come nel caso del Dupin di Poe, la scarsa considerazione della polizia – espressione dell’ordine costituito – incarnata soprattutto dall’ispettore Lestrade, che fallisce proprio perché, come afferma lo stesso Holmes, è «convenzionale, terribilmente convenzionale».
Mauro Trotta ha lavorato per vent’anni nel campo della comunicazione e dell’editoria. Ha partecipato insieme a Sergio Bianchi alla fondazione della rivista «DeriveApprodi». Da oltre vent’anni collabora alla pagina culturale de «il manifesto». Dal 2005 insegna materie letterarie nei licei e negli istituti letterari. Ha partecipato, curato e pubblicato libri sulla pubblicità, sui movimenti e sugli anni settanta.