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  • Immagine del redattore: Mauro Trotta
    Mauro Trotta
  • 11 apr
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 22 apr

Il falcone maltese # 1: La crime story

 

Illustrazioni di Roberto Gelini
Roberto Gelini

The Maltese Falcon è un famoso romanzo di Dashiell Hammett, uscito al cinema in Italia con il titolo Il mistero del falco, diretto da John Huston – era l’esordio di questo grandissimo regista – e interpretato da Humphrey Bogart. Si tratta non soltanto di un capolavoro, sia come opera letteraria, sia come film, ma soprattutto racchiude in sé tutta una serie di suggestioni che la rendono, in qualche maniera misteriosa, insieme a poche altre, iconica, simbolica, quasi rappresentasse al più alto livello la forza di un certo tipo di storia e di un determinato genere, il poliziesco. Prenderla come titolo di questo spazio vorrebbe rendere subito chiaro di cosa si intende parlare qui. L’intento è quello di iniziare un piccolo viaggio all’interno della letteratura di genere, nel suo passato, nel suo presente e nei suoi sviluppi futuri, mettendone in evidenza caratteristiche, spunti, suggestioni che la rendono parte integrante del nostro immaginario collettivo. Un occhio di riguardo dovrebbe essere riservato ai rapporti tra le storie e la società in cui nascono e si diffondono, così come ai modi attraverso i quali vengono fruite, e soprattutto alle maniere in cui contribuiscono a innervare e mutare l’immaginario collettivo. Insomma un tipo di discorso che non si limiti allo specifico letterario o filmico, ma che riesca ad attraversare le varie forme di comunicazione, mirando soprattutto a indagare le storie raccontate e il modo in cui influiscono sui modi di pensare e le forme di vita. Il titolo di questa sorta di rubrica, inoltre, è un chiaro riferimento al genere con cui si intende partire, un genere che già è un po’ difficile da definire, per le tante coloriture diverse che ha presentato e presenta al suo interno, e che per rimanere a un livello più generale possibile possiamo chiamare poliziesco oppure crime story o ancora, dal nome della famosa collana mondadoriana, giallo. Insomma, si tratta di storie incentrate su di un crimine e sul tentativo individuarne il colpevole. Se volessimo risalire alle origini di questo tipo di racconti, dovremo partire dagli albori della letteratura. Potremmo, così, individuare il primo detective – anche se alquanto facilitato dalla propria onniscienza – nel Dio della Bibbia, che risolve il primo caso di omicidio della storia, quello di Abele, da parte di Caino. Oppure potremmo rintracciare il modello di un famoso romanzo di Agatha Christie nell’Edipo re di Sofocle, in cui chi indaga è in realtà l’assassino. E che dire ancora dell’Orestea di Eschilo o dell’Amleto di Shakespeare? In realtà il campo di indagine può e deve essere ristretto di molto. Il giallo, inteso in senso moderno, nasce molto più tardi, dall’incontro tra Charles Baudelaire e Edgar Allan Poe. Un incontro che fisicamente non c’è mai stato e che, quindi, come le storie e il falcone maltese stesso, secondo la celeberrima ultima battuta pronunciata da Sam Spade/Humphrey Bogart nel film è fatto «della stessa materia di cui sono fatti i sogni».



«Poe e Baudelaire: la nascita del poliziesco»


Il rapporto che lega Charles Baudelaire a Edgar Allan Poe è molto forte, davvero potentissimo. Il poeta francese cercherà in tutti i modi di diffondere l’opera dell’americano, scarsamente apprezzato anche nel proprio paese. Studierà la sua lingua, lo tradurrà, affermerà non soltanto di aver trovato nei suoi testi temi e argomenti che sono anche i suoi, ma addirittura frasi che lui stesso aveva pensato in precedenza. Insomma vede nello scrittore d’oltreoceano un sodale, un fratello. Ma perché? Cosa possono avere in comune un grandissimo poeta e uno scrittore di racconti «horror»? Cosa lega il poeta maledetto, il fondatore della poesia moderna, colui che ha rivoluzionato la maniera di intendere l’arte poetica e l’autore di novelle paurose, di letteratura di consumo? Forse è proprio il nuovo modo che entrambi hanno di concepire l’arte, la poesia, la comunicazione.


È il mondo che sta cambiando, con le varie rivoluzioni industriali niente è più come prima. I nuovi rapporti di produzione stanno modificando per sempre la vita delle persone, imponendo nuove forme e modi di vivere, facendo emergere istanze e bisogni di nuove classi sociali. Insomma è il capitalismo che avanza. Come tutto il resto anche il ruolo fin qui rivestito dall’artista, dall’intellettuale entra in crisi, si modifica radicalmente.


Ecco, la risposta che mettono in campo il francese e l’americano sembra avere in comune i punti fondamentali. Innanzi tutto è radicalmente materialista. Scrivere, si tratti di poesia o di racconti del mistero esige un’analisi rigorosa del proprio modo o metodo di composizione, la conoscenza del proprio pubblico e, soprattutto, la consapevolezza che si tratta sempre di un atto di comunicazione. Ecco, così, che Poe, in «Filosofia della composizione», descrive minuziosamente tutti i passaggi legati all’ideazione e alla stesura della poesia «Il corvo». Mostra di tener conto dei gusti e delle esigenze del proprio pubblico e arriva addirittura a tener presente il tempo necessario alla lettura.


L’approccio, come si vede, è radicalmente materialista. Stesso materialismo e stessa consapevolezza del pubblico appare evidente nel capolavoro baudeleriano, «I fiori del male», nell’indirizzo «Al lettore» che apre l’opera e che si conclude instaurando un legame inscindibile tra autore e lettore: «– Hypocrite lecteur, –mon semblable, – mon frère!» (– ipocrita lettore, – o mio simile, – o fratello!). Il legame allora si estende oltre che al sodale letterario, anche al lettore. È come se si mirasse a un’alleanza scrittore-lettore, fortemente critica nei confronti del sistema economico-sociale che si va costruendo, dei processi di socializzazione e dei nuovi rapporti di produzione basati su forme di lavoro proletarizzato. Le armi, oltre all’analisi che produce consapevolezza, coincidono essenzialmente con le metodologie per far emergere quanto vi è di non misurabile, e dunque di impossibile da mettere immediatamente a valore, all’interno della società.


Il racconto poliziesco moderno nasce nell’aprile del 1841, quando sulla rivista «The Graham’s Magazine» di Filadelfia esce per la prima volta «I delitti della Rue Morgue». Il primo detective della storia si chiama Auguste Dupin e vive a Parigi, insieme all’anonimo narratore. Dupin è di ottima famiglia, caduta in rovina, i due vivono in una casa a Faubourg St. Germain. Il protagonista ha un’intelligenza brillante, capacità analitiche profonde, ma anche molta immaginazione.

Come si vede, investigatore e narratore presentano molte caratteristiche che si ritroveranno in Sherlock Holmes e Watson. Dupin vive isolato dalla società, perso in sogni e tetre fantasticherie, da cui esce soltanto quando viene colpito da un delitto. Entra in azione quando una forma di conflitto sociale, il delitto, appunto, si presenta nascondendo il suo contenuto reale, diventa appunto mistero, qualcosa che deve essere scoperto, decifrato. Quando proprio quella attività intellettuale che utilizza in forma astratta e sterile nelle proprie fantasticherie può cambiare di segno, può produrre realtà.


Sono momenti in cui la vita stessa, nel suo flusso reale, si presenta come fantasticheria (il delitto/mistero) che può essere compresa (ovvero risolta, svelata) da quella stessa attività intellettuale utilizzata nelle fantasticherie.


L’insieme di capacità di analisi, ragionamento induttivo e, soprattutto, immaginazione, così, produce la realtà. Il detective individua e scompone, grazie all’analisi, gli elementi del mistero e li ricompone grazie all’induzione, ma soprattutto, grazie all’immaginazione. Non si tratta di lavoro, ma di virtuosismo, di insieme di analisi materiale e di costruzione fantastica. La logica del detective – che poi è quella dell’intellettuale, del poeta, dell’artista – si oppone alla logica imperante, alla razionalità capitalista, incarnata e seguita dalle forze di polizia che, al massimo, possono accusare qualche innocente, proprio perché non riescono a spingersi con la loro immaginazione oltre i limiti, fino all’inimmaginabile.


L’attività dell’investigatore non può – almeno non poteva all’epoca – essere sussunta dal capitale e messa a valore, non è “misurabile”. Proprio come la poesia e l’arte, che nelle nuove forme apparse a partire dalla metà dell’Ottocento si distaccano violentemente da tutto ciò che erano state prima, si lanciano lungo strade nuove, si presentano oggettivamente come sovversive. Non più «kalòs kagathòs», il bello e il buono, ma «I fiori del male». Sembra quasi di rivedere Charles Baudelaire nel 1848, sulle barricate a Parigi, con una pistola in una mano e una bandiera rossa nell’altra, che cerca il padrigno, il generale, per ucciderlo.


Un’ultima considerazione, nei tre gialli di Poe non c’è galera, non c’è nessuna ricomposizione dell’ordine violato dal delitto, non c’è repressione. Del resto in un racconto il colpevole è uno scimmione, il secondo si conclude prima del probabile arresto dell’assassino, nel terzo il «villain» è troppo potente per essere arrestato.


Mauro Trotta ha lavorato per vent’anni nel campo della comunicazione e dell’editoria. Ha partecipato insieme a Sergio Bianchi alla fondazione della rivista «DeriveApprodi». Da oltre vent’anni collabora alla pagina culturale de «il manifesto». Dal 2005 insegna materie letterarie nei licei e negli istituti letterari. Ha partecipato, curato e pubblicato libri sulla pubblicità, sui movimenti e sugli anni settanta.

 

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