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- Ceyda Baytas
- 9 giu
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 15 giu
Istanbul: cronaca di una generazione dietro le sbarre

L’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu candidato del CHP all’elezioni presidenziali del 2028 ha innescato una serie di proteste che si sono diffuse in tutta la Turchia. Il sindaco di Istanbul, ancora in carcere, insieme ad altri suoi sostenitori è stato accusato di favoreggiamento al terrorismo. Ceyda Baytas ci racconta i giorni della protesta, del protagonismo dei giovani, degli artisti e della generazione Gezi Park. Ci racconta che in Turchia si scende in piazza per denunciare l’autoritarismo di Erdogan ma è la protesta di tutti coloro che nel mondo assistono alla trasformazione delle democrazie in finzione: <<[...] se c’è qualcosa che la Generazione Z ha insegnato al pubblico è come la repressione generi reinvenzione. Non è solo la rabbia a essere diversa, è l’articolazione di quella rabbia. E non si tratta solo una storia turca, ma di una storia globale.>>.
Sì, tutto questo è iniziato con İmamoğlu. Sì, riguarda Istanbul. Sì, a vent’anni non ci si aspetta che io scriva questo articolo. Eppure, lo faccio. Eppure, riguarda ogni città sotto il peso di un governo che ha dimenticato di essere al suo servizio. Riguarda ogni studente che continua il proprio percorso quando il diploma che otterrà non sarà nemmeno certo di essere valido tra qualche anno. Riguarda ogni donna che marcia, ancora e ancora, rifiutandosi di essere messa a tacere. Ogni artista che continua a dipingere. Il mondo dovrebbe guardare. Non solo per la storia distopica di Türkiye, ma perché offre uno specchio a ciascuno. Uno specchio che riflette quanto fragile diventi una democrazia quando le definizioni di diritti, legge e giustizia si confondono, quando la finzione diventa legge. Quello che verrà dopo non è scritto. Ma non sarà silenzioso. Non più.
Sono stata picchiata e arrestata. Dopo il mio arresto, un poliziotto barbuto, alto un metro e novanta, mi ha toccato il seno. Ho avuto paura e mi sono fatta la pipì addosso. Le poliziotte mi hanno pressata per non fare denuncia... Sono stata ammanettata dietro la schiena e un poliziotto ha premuto il piede sulla mia testa... La mia famiglia non è stata avvisata. Ho dovuto aspettare 24 ore in una cella di detenzione con i vestiti bagnati di urina.
Testimonianza di una manifestante di Istanbul
Istanbul non è mai stata estranea alla resistenza. Eppure, l’attuale ondata di disordini è diversa da qualsiasi altra. È una reazione esplosiva dopo anni di oppressione politica, depressione economica e di palese smantellamento della democrazia, che ora sta raggiungendo un punto di rottura di fronte alla brutalità dello Stato. Il grilletto? Il bersaglio politico di Ekrem İmamoğlu, sindaco di opposizione di Istanbul, candidato per le prossime elezioni presidenziali del 2028. Per anni, il governo ha cercato di rimuoverlo dalla sua posizione, temendone l’influenza sul cuore della cultura e dell’economia della Turchia. Dopo la vittoria alle municipali del 2019, dove ha vinto non una, ma due volte con una percentuale del 54,22%, gli attacchi alla sua persona hanno preso una brutta piega. Il culmine è stato quando le autorità dell’Università di Istanbul hanno dichiarato che la sua laurea non era valida, ostacolando così la sua possibilità di candidarsi alle elezioni presidenziali. Lo scandalo ha suscitato un’immediata indignazione popolare che si è espressa inizialmente attraverso i social. Invalidare la laurea di İmamoğlu significava cancellare la scelta democratica e inaugurare un pericoloso precedente per il quale nulla sarebbe stato più certo. Se è possibile alterare un diploma, cos’altro si può manipolare? La situazione è peggiorata quando, nel giro di pochi giorni, il 19 marzo alle 7.00 del mattino, Ekrem İmamoğlu è stato arrestato con l’accusa di «costituzione e guida di un’organizzazione criminale, frode e appropriazione indebita, collaborazione con organizzazioni terroristiche». Mentre il Tribunale ha respinto l’accusa di terrorismo, İmamoğlu è stato ritenuto colpevole di altri reati. Nella stessa operazione sono stati arrestate oltre un centinaio di persone. I leader del CHP hanno condannato gli eventi etichettandoli come «tentativo di colpo di stato».
Nel giro di pochi giorni, Istanbul è diventata irriconoscibile. Milioni di abitanti hanno occupato le strade. Tra studenti, lavoratori, insegnanti, c’erano i figli di coloro che una volta avevano protestato al Gezi Park. E, oggi come allora, l’attuale sfida riecheggia quella dei genitori e il governo risponde con la forza, ignorando le istanze collettive. La risposta è stata rapida e spietata. Migliaia di poliziotti dispiegati durante la notte hanno trasformato le aree chiave delle proteste in zone militari. Il ruolo della polizia è andato oltre il controllo della folla: cannoni ad acqua, gas, lacrimogeni, proiettili di gomma. La volontà era quella di disumanizzare le persone con arresti privi di accuse e detenuti privi di avvocati. Le stazioni di polizia erano sovraffollate, mentre gli agenti recintavano letteralmente la folla chiudendola in spazi pubblici e parchi. Le barricate di veicoli blindati bloccavano piazza Taksim, le aree di protesta venivano interrotte. L’accesso ai social media, come X, è stato interdetto. Il messaggio di chi detiene il potere è chiaro: qualsiasi forma di resistenza è accolta con la più feroce brutalità. Ma gli abitanti di Istanbul hanno rifiutato il silenzio. Le proteste si sono rapidamente diffuse in tutta la Turchia e nel mondo. Man mano che crescevano, anche le tattiche di forza aumentavano. Il silenzio non era più un’opzione e la gente trovava nuovi modi di protestare, scioperare e farsi sentire.

Nel processo di arresto di Ekrem İmamoğlu, gli studenti hanno marciato con slogan e striscioni vicino all’Università di Istanbul, a Saraçhane e in piazza Beyazıt. La polizia antisommossa, equipaggiata con caschi e scudi, ha cominciato a usare una violenza sproporzionata per disperdere i gruppi. Ogni civile è stato trattato come minaccia da neutralizzare. I manifestanti si rifugiavano negli androni, alcuni negli alberghi. Non importava dove cercassero rifugio, nessuno si sentiva davvero al sicuro. La polizia arrestava chiunque rifiutandosi di fornire giustificazioni legali chiare. 301 studenti sono stati arrestati. Tuttavia ai sensi dell’articolo 3 della legge turca sulle riunioni e le manifestazioni (2911 sayılı Toplantı ve Gösteri Yürüyüşleri Kanunu), tutti hanno il diritto di organizzare dimostrazioni e marce pacifiche senza autorizzazione preventiva, purché siano disarmate e non violente, per scopi non considerati criminali dalla legge. Costoro provenivano da diversi background, in vari settori di studio e regioni, con un pensiero comune: l’impegno per i valori democratici e la volontà di opporsi all’ingiustizia del governo. Mentre urlavano a gran voce «hak, hukuk, adalet (diritti, legge, giustizia)», 301 di loro venivano caricati e fermati. In carcere alle donne è stato negato l’accesso ai prodotti igienici essenziali durante il ciclo mestruale. Sono state lasciate senza cibo e acqua fino a 18-20 ore. Alcuni rapporti indicano che gli studenti condividevano la cella con assassini e criminali di professione. Il gruppo di advocacy legale SOL Hukuk ha denunciato gli abusi da parte dei «capi-cella» e ha richiesto il trasferimento degli studenti. Alla Centrale della polizia di Vatan, le condizioni erano ancora peggiori: temperature sotto lo zero, nessun letto e isolamento.
Domenica 23 marzo, quindici milioni di cittadini di tutta la Turchia e del mondo hanno partecipato a un voto ufficiale per esprimere il loro sostegno a Ekrem İmamoğlu mentre protestavano contro l’invadenza del governo. Le primarie inizialmente pianificate dal CHP per nominare İmamoğlu candidato presidenziale, si sono trasformate in un atto di solidarietà non solo nelle 81 province della Turchia, ma anche all’estero. Da Londra a Boston, file interminabili di persone hanno espresso il proprio voto simbolico. È stato implementato un sistema a doppia sezione per garantire l’inclusività. Una sezione era designata ai membri registrati del CHP, mentre una sezione di «Sostegno e Solidarietà» accoglieva i non membri e i sostenitori internazionali. I risultati hanno segnato una vittoria collettiva. In molti luoghi, le schede stampate con un solo nome – Ekrem İmamoğlu – sono finite rapidamente, e il tempo di votazione è stato prolungato a causa della folla. I video hanno inondato i social media dove, in più epicentri del movimento, come Kadıköy a Istanbul, le file si estendevano per interi isolati sin dalla luce dell’alba. Tuttavia, i momenti più toccanti sono stati quelli delle storie personali. Votanti anziani, in sedia a rotelle o con serbatoi di ossigeno portatili, insistevano per partecipare di persona. In ogni fila c’erano anche adolescenti che non potevano votare, ma volevano fare il loro «coming of age» politico.

I media filogovernativi hanno ignorato il voto, le proteste e gli arresti. In alcuni casi li hanno dipinti come «provocazione». Le principali fonti di informazione sono rimaste in silenzio sull’argomento, mentre altre trasmettevano soap opere. Le proteste principali, come quelle a Saraçhane, con milioni di persone in strada brutalmente picchiate, hanno avuto una copertura quasi nulla sui canali statali. Questi si sono concentrati su storie neutre o irrilevanti, creando l’illusione di una provocazione da parte dei manifestanti. Solo una manciata di piattaforme giornalistiche come Sözcü TV e Halk TV ha osato documentare le proteste con piena trasparenza. La loro ricompensa? Divieto di pubblicazione.Nello stato distopico della Turchia di oggi, i paralleli con 1984 di George Orwell sono innegabili. RTÜK (Consiglio Supremo della Radio e della Televisione) ha inflitto multe a stazioni come Now TV o Halk TV per violazioni gravi e ha imposto un blackout di dieci giorni a Sözcü TV per la sua trasmissione in diretta delle proteste. Accusando di «incitare l’odio e l’ostilità pubblica», RTÜK ha anche dichiarato che se le violazioni fossero continuate per una terza volta, Sözcü TV sarebbe stata soggetta a una sanzione di revoca della licenza.
Dopo il riconoscimento del crescente blackout mediatico, il leader del CHP, Özgür Özel, ha dichiarato pubblicamente che stavano monitorando le emittenti che censuravano le proteste e gli incontri dell’opposizione. Contemporaneamente veniva compilata una lista. Per indebolire l’influenza del governo sui media e sul commercio, Özgür Özel ha organizzato un boicottaggio nazionale di diverse aziende e marchi visti come sostenitori del potere centrale. Tra i principali obiettivi c’erano anche i media compiacenti. La lista di Özel comprendeva il boicottaggio di aziende come Espressolab, una catena di caffè molto popolare per i suoi legami con il governo, e D&R, una catena filogovernativa di librerie. Lo sciopero dei consumi non è stato solo un atto simbolico, ma un tentativo di sfidare le strutture di potere che sostengono la narrativa ufficiale. Per il pubblico, si è trattato di un’opportunità di partecipare a un’azione diretta contro il mantenimento di un regime autoritario e violento. Rifiutandosi di comprare dalle aziende in elenco, i cittadini hanno inviato un potente messaggio. La gente consumava quello che aveva in casa, si scambiava i prodotti, non comprava più arrangiandosi alla meglio per giorni. I siti web di diverse aziende sono stati temporaneamente chiusi, causando significative interruzioni nelle vendite. Il punto di svolta è arrivato il 2 aprile, quando il boicottaggio economico si è esteso su larga scala in tutto il Paese. Una rete interuniversitaria, composta da studenti provenienti da vari istituti della Turchia, ha proclamato la data del 2 aprile, come giorno ufficiale per un boicottaggio economico nazionale. Questo non si è limitato alle sole attività commerciali menzionate da Özgür Özel, ma ha interessato tutto il paese. Con l’aumentare del tempo trascorso in carcere dai loro compagni, la Generazione Z è diventata sempre più consapevole del potere che deteneva. Questo innovativo appello all’azione si è diffuso a macchia d’olio. Migliaia di persone hanno condiviso i dettagli dello sciopero dei consumi sui social media.
Grazie alla tecnologia, gli studenti hanno raggiunto milioni di utenti in tutto il Paese. I social media sono diventati la spina dorsale di questo movimento, con video virali, storie e post ripubblicati, e audaci scritti sul boicottaggio che sono circolati alla velocità della luce, superando i tradizionali mezzi di organizzazione delle proteste. Nati nell’era digitale, gli studenti hanno sfruttato le loro capacità su internet per mobilitarsi e coordinarsi in modo più efficace di qualsiasi generazione precedente. Tra i più accesi critici della repressione governativa figurano artisti, attori e altre personalità culturali. In Turchia, dove l’arte svolge da tempo un ruolo cruciale nel plasmare l’opinione pubblica, molti di questi individui hanno offerto il loro sostegno allo sciopero economico sui social. Attori e attrici di spicco, in spettacoli in corso, sono stati licenziati e arrestati. Questo approccio punitivo non si è limitato a loro ma ha coinvolto anche i loro partner e sostenitori incappati in reazioni analoghe. Fan e concittadini si sono mobilitati sui social media esprimendo loro solidarietà. L’atto riflette un modello più ampio degli sforzi governativi volti a mettere a tacere e censurare le voci dei cittadini. Eppure, nonostante queste difficoltà, i social media hanno fornito immagini di bar, attività commerciali e mercati chiusi, a testimonianza del successo dello sciopero. Il 2 aprile, la spesa con carta di credito in Turchia è diminuita significativamente rispetto alle medie nazionali di gennaio e febbraio. È stata registrata una diminuzione di circa il 38% delle transazioni. Ciò che ha distinto la protesta sono stati i metodi avanzati di organizzazione e mobilitazione.
A differenza delle generazioni precedenti, che si affidavano alla leadership dei politici, gli attivisti di oggi sono sempre più lontani dai partiti convenzionali. Non aspettano che i politici costruiscano il loro futuro, ma desiderano costruirlo insieme, mano nella mano. Molti studenti hanno espresso la loro crescente frustrazione all’idea di seguire ciecamente figure politiche, che ritengono lontane dal comprendere i loro bisogni. Non hanno paura di far sentire la propria voce, nonostante i tentativi di metterla a tacere. Stanno ridefinendo il panorama politico, rimodellando il significato di «apoliticità» nel mondo distopico della Turchia, poiché per molti il silenzio non è più tollerato.Quello che succederà in seguito è incerto. Ma una cosa è chiara: c’è speranza nonostante la risposta del presidente, il quale ha intimato altri arresti se dovessero esserci nuove proteste. Seguiranno ancora i blackout mediatici e il tentativo di mettere a tacere. Ma se c’è qualcosa che la Generazione Z ha insegnato al pubblico è come la repressione generi reinvenzione.
Non è solo la rabbia a essere diversa, è l’articolazione di quella rabbia. E non si tratta solo una storia turca, ma di una storia globale. Riguarda la lenta combustione dell’autoritarismo, la normalizzazione della brutalità della polizia, i modi del silenzio venduti come scudo. Riguarda i giovani che dovrebbero essere a scuola, uscire con gli amici, trascorrere il Bayram a casa con la famiglia, incontrandosi per strada anziché dietro le sbarre. Sì, tutto questo è iniziato con İmamoğlu. Sì, riguarda Istanbul. Sì, a vent’anni non ci si aspetta che io scriva questo articolo. Eppure, lo faccio. Eppure, riguarda ogni città sotto il peso di un governo che ha dimenticato di essere al suo servizio. Riguarda ogni studente che continua il proprio percorso quando il diploma che otterrà non sarà nemmeno certo di essere valido tra qualche anno. Riguarda ogni donna che marcia, ancora e ancora, rifiutandosi di essere messa a tacere. Ogni artista che continua a dipingere. Il mondo dovrebbe guardare. Non solo per la storia distopica di Türkiye, ma perché offre uno specchio a ciascuno. Uno specchio che riflette quanto fragile diventi una democrazia quando le definizioni di diritti, legge e giustizia si confondono, quando la finzione diventa legge. Quello che verrà dopo non è scritto. Ma non sarà silenzioso. Non più.
Ceyda Baytaş è una giovane artista e narratrice turca. Studia alla NABA di Milano. Questa è la sua prima pubblicazione.