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critica della politica della scienza

  • Immagine del redattore: Gianfranco Pancino
    Gianfranco Pancino
  • 22 mag
  • Tempo di lettura: 17 min

Aggiornamento: 23 mag

Io speriamo che me la cavo

Minaccia pandemica e miopia politica


Donata Vanerio
Donata Vanerio

Pancino con il suo articolo ci riporta con i piedi per terra. Una delle pandemie più sentite alle nostre latitudini quella da Covid 19 non è sicuramente nè la prima nè l'ultima che vedremo. Quest’articolo - afferma l'autore - non vuole essere allarmistico, ma la minaccia di una pandemia legata a delle mutazioni o riassortimenti del virus H5N1 deve essere presa seriamente in considerazione. Il problema rimane l'inadeguatezza dei nostri sistemi sanitari. Non è importante "solo" individuare nuovi vaccini ma preparare le strutture ospedaliere, garantire un numero adeguato di personale, favorire lo scambio di informazioni e di conoscenze tra paesi, ridurre le disuguaglianze per evitare che sacche di popolazione restino indietro e siano possibili focolai per i nuovi virus. La maggiore debolezza riscontrata dal sistema sanitario in Italia è l’infrastruttura frammentata dei dati sulla salute e la legge sull’autonomia differenziata aumenterà la decentralizzazione, la frammentazione e le disuguaglianze. Negli ultimi anni medici e studenti in medicina volontari e militanti stanno creando in varie città d’Italia ambulatori popolari e gratuiti, nell’intento di colmare il vuoto esistente fra gli abitanti dei quartieri poveri e le strutture sanitarie, aziende sanitarie locali e ospedali. Oggi serve più uguaglianza per prevenire e controllare le pandemie ma il mondo sta andando al contrario.


Seimila anatre selvatiche morte sul lago Qinghai in Cina nel 2005; più di 20.000 leoni di mare morti intorno alle coste del Perù, Cile, Argentina, Uruguay e Brasile nel 2023; 147 tigri e 2 leopardi morti in parchi zoologici in Thailandia dopo aver mangiato uccelli morti nel 2004. Una stessa causa: l’infezione dal virus dell’influenza aviaria H5N1.


Il virus fa parte dei cosiddetti HPAI (Highly pathogenic avian influenza, influenza aviaria ad alta patogenicità), i virus della peste aviaria. Gli uccelli migratori ne sono i principali disseminatori, ma il virus non si è originato tra di loro. È emerso in un allevamento di oche in Cina nel 1996 per conversione di un banale virus influenzale aviario in un virus mortale. Si è poi diffuso attraverso gli allevamenti di pollame in Asia e ha causato milioni di morti fra i gallinacei domestici e alcune specie di uccelli selvatici come pinguini, albatros e gabbiani. Gli uccelli migratori infine hanno ampliato una spirale irrefrenabile diffondendo il virus sulle loro rotte da un continente all’altro. Si tratta della più grande panzoozia odierna, una malattia infettiva degli animali che si è diffusa negli ultimi anni nel mondo intero, dall’Europa all’Africa, all’America de Nord e del Sud e all’Antartico.


Il virus dell’influenza aviaria appartiene allo stesso genere di quello dell’influenza umana. Il suo corredo genetico, il suo genoma è composto di acido ribonucleico (RNA), ma non è costituito da una unica molecola, un solo filamento di RNA, come per esempio per l’HIV o il SARS-COV, ma da otto segmenti distinti. Ognuno di essi serve a fabbricare una delle undici proteine della particella virale. Questa conformazione conferisce al virus un vantaggio evolutivo: se due virus dell’influenza infettano la stessa cellula, i segmenti di RNA dei due virus, copiati per dare origine a nuove particelle virali, possono mischiarsi tra di loro per dare origine a un nuovo virus, diverso dai precedenti. Questo virus ibrido sarà formato da proteine dei due virus d’origine. È il meccanismo detto di riassortimento virale. Il virus dell’influenza è molto contagioso e i riassortimenti, come anche le mutazioni puntuali nel genoma, sono facilitati dalla concentrazione di individui negli allevamenti di pollame o nelle riunioni di migliaia di uccelli selvatici durante le migrazioni. L’attuale virus panzootico dell’influenza aviaria, H5N1, è apparso verso il 2020 in Europa o in Asia centrale, in seguito a ripetuti riassortimenti di ceppi virali. Il suo nome deriva da due proteine presenti alla superficie del virus, l’emoagglutinina (HA) e la neuraminidasi (NA) che permettono l’attaccamento del virus alla cellula bersaglio e la sua penetrazione. Per attaccarsi a una cellula, l’emoagglutinina deve riconoscere una molecola, il suo ricettore specifico, alla superficie di questa. La conformazione del recettore e la sua distribuzione nei tessuti determina quindi quale ospite può essere infettato. L’emoagglutinina H5 dell’attuale virus gli conferisce la capacità di infettare uccelli selvatici e domestici, ma gli ha anche permesso di raggiungere nuovi ospiti. Si tratta del salto di specie, spillover in inglese, che è avvenuto su larga scala negli ultimi due anni, provocando l’infezione di mammiferi terrestri e marini. I primi salti di specie a mammiferi sono stati segnalati in allevamenti di animali da pelliccia in Spagna e Finlandia.


Degno di menzione è anche il fatto che in Polonia, il più grande produttore europeo di pelli di visone, una trentina di gatti sono morti, probabilmente per aver mangiato cibo crudo proveniente dagli allevamenti. L’ingestione di carni di uccelli infetti è all’origine infatti dell’infezione di molti carnivori. Già nel 2004 ha causato la morte di 147 tigri e due leopardi in uno zoo in Thailandia, che erano stati nutriti con carni di uccelli infetti. Per il salto di specie verso i mammiferi non sono stati necessarie mutazioni della proteina HA. Il passaggio si è prodotto direttamente dagli uccelli selvatici, sia per ingestione di uccelli morti come nel caso dei carnivori, o attraverso cibo o oggetti contaminati dai loro escrementi. Nei vari passaggi si sono tuttavia prodotte alcune mutazioni in un’altra proteina virale, che hanno migliorato e aumentato la riproduzione del virus nelle cellule dei mammiferi.


Recentemente si è prodotto un nuovo avvenimento cruciale. Negli Stati Uniti l’infezione si è propagata fra i bovini. Gli allevatori, dapprima nel Texas, hanno notato una forte diminuzione nella produzione del latte da parte dalle mucche. Il latte era spesso e giallognolo. Vari gatti furono trovati morti, dopo aver bevuto il latte delle mucche infette. Una precedente ondata d’infezione da H5N1 negli allevamenti avicoli degli Usa si era prodotta nel 2014 e aveva condotto all’abbattimento di 50 milioni di polli e tacchini. L’infezione tuttavia si era arrestata allora alle specie aviarie. Dopo i primi segni di una malattia tra le mucche da latte, il sospetto della contaminazione dal virus dell’influenza aviaria non è sorto immediatamente. Sono stati necessari tempo e esclusione di altre malattie dei bovini, perché venisse individuato il virus aviario come la causa dell’epizoonosi fra le mucche. Questo ritardo ha permesso al virus di diffondersi dal Texas ad altri Stati. La moltiplicazione del virus a grande scala nei bovini e nuovi passaggi a uccelli ed altri animali hanno favorito anche l’aumento della sua diversità genetica. Il ricettore della proteina HA del virus H5N1 è presente nelle ghiandole mammarie delle mucche. In conseguenza il latte delle mucche infette contiene forti quantità di virus. La diffusione dell’infezione fra le mucche è stata probabilmente veicolata dal latte stesso, i macchinari per mungere e i trasporti degli animali. Perché il virus si trasmetta attraverso le vie respiratorie è necessario che la proteina HA riconosca e si leghi a un recettore presente sulle cellule delle alte vie respiratorie, come le mucose del naso, della bocca, della faringe o della laringe, come è il caso dei virus dell’influenza stagionale umana. Studi recenti hanno mostrato che bastano poche mutazioni per permettere al virus di essere trasmesso da furetto a furetto, quindi fra mammiferi.


Trasmissione interespecie del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) dal 2020. Gli uccelli selvatici, oche, anatre e cigni, sono gli ospiti naturali del virus. Il virus ha compiuto svariati salti di specie. In alcuni casi, come il pollame, i visoni, le otarie e i bovini si è stabilita una trasmissione intraspecie, indicata dalla freccia a quattro punte. Non tutti i salti di specie documentati sono rappresentati.
Trasmissione interespecie del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) dal 2020. Gli uccelli selvatici, oche, anatre e cigni, sono gli ospiti naturali del virus. Il virus ha compiuto svariati salti di specie. In alcuni casi, come il pollame, i visoni, le otarie e i bovini si è stabilita una trasmissione intraspecie, indicata dalla freccia a quattro punte. Non tutti i salti di specie documentati sono rappresentati.

E l’uomo? Dal 1997 ci sono stati più di 900 casi di infezione umana causata dal virus H5N1. Non è il solo ceppo a presentare un rischio per l’uomo: dal 2013 sono stati riportati più di 1300 casi di infezione umana dal ceppo H7N9. La maggioranza dei casi di infezione per entrambi i virus è stata segnalata in persone a stretto contatto con volatili, come lavoratori in allevamenti di polli, anatre o oche. Si è trattato quindi di passaggi diretti fra gli uccelli e l’uomo e non di trasmissioni fra umani. Dipendentemente dalla variante del virus all’origine dell’infezione il decorso può essere diverso. In molti casi l’infezione ha raggiunto le vie respiratorie inferiori causando infezioni polmonari gravi, o  danni neurologici. La percentuale di casi fatali è stata altissima, soprattutto fra donne e bambini, con un tasso di mortalità del 40% per il virus H7N9 e superiore al 50% per l’H5N1 .

I casi d’infezione umana causati dal virus circolante fra i bovini e i volatili in Usa (clade 2.3.4.4b del virus A(H5N1) sono stati associati a uno stretto contatto tra umani e animali infetti. A partire da aprile 2024, sono stati segnalati 70 casi principalmente fra lavoratori dei settori avicoli e lattiero caseari, di cui 41 in pazienti esposti a mucche infette. L’infezione si è principalmente manifestata sotto forma di congiuntiviti, probabilmente perché le cellule della congiuntiva umana esprimono il ricettore del virus H5N1. Ci sono stati comunque alcuni casi gravi, tra cui un ragazzo di 13 anni in Canada, che ha dovuto subire un’intubazione, e uno mortale, in Louisiana.

I virus dell’influenza, sia l’umano che l’aviario si legano alle cellule via delle molecole presenti alla loro superficie, delle glicoproteine che contengono uno zucchero particolare: l’acido sialico. Fortunatamente l’acido sialico a cui si lega il virus aviario ha una conformazione diversa da quello umano. Il ricettore del virus aviario non è presente, o è molto scarso sulle cellule delle vie aeree superiori umane, limitando fortemente una trasmissione per via aerea che favorirebbe il contagio e una rapida diffusione fra gli individui. Tuttavia il ricettore del virus H5N1 si trova anche su cellule delle vie aeree inferiori e questo spiega perché ci siano stati casi gravi di polmonite. Per ora il rischio pandemico fra gli umani è ritenuto debole. Ma fino a quando? Recenti studi hanno mostrato che una sola mutazione nella proteina HA del virus H5N1 2.3.4.4b gli conferisce la capacità di riconoscere il ricettore umano. La probabilità che appaiano nuove mutazioni aumenta con la circolazione del virus tra gli animali e il passaggio alle persone. Non solo, durante i periodi invernali, quando aumentano i casi d’influenza umana, aumenta anche la probabilità che degli individui, per esempio lavoratori di allevamenti o di industrie di produzione del latte, si co-infettino con il virus aviario e il virus stagionale dell’influenza umana. I due virus, moltiplicandosi nello stesso organismo hanno la possibilità di scambiare i loro geni, rendendo così plausibile la generazione di un virus ibrido, che possieda la virulenza del virus aviario e la capacità di infettare le cellule umane. Un pericolo ulteriore deriva dalla possibilità del passaggio del virus aviario ai maiali. È stato riportato almeno un caso d’infezione di un maiale in una fattoria in cui i maiali erano in contatto con del pollame e due casi veicolati da uccelli selvatici. Un riassortimento virale che ha coinvolto il maiale e ha favorito il passaggio all’umano è già avvenuto nel 2009. La pandemia della cosiddetta influenza suina ha avuto origine nei suini in Messico ed è stata causata da un virus derivato dal riassortimento di virus aviari, suini e umani, il virus H1N1. Quest’articolo non vuole essere allarmistico, ma la minaccia di una pandemia legata a delle mutazioni o riassortimenti del virus H5N1 deve essere presa seriamente in considerazione. Per alcuni scienziati la pandemia sembra inevitabile, benché non si possa prevedere quando.

 

In ogni caso bisognerebbe prepararsi sviluppando le misure e le strategie preventive adeguate, per non ritrovarsi nella situazione in cui molti paesi hanno subito la pandemia Covid-19. Già dopo la pandemia abortita di SARS nel 2003, che aveva causato più di 8000 morti, ricercatori e virologi avevano messo in guardia contro una possibile pandemia dovuta a un coronavirus della stessa famiglia. Come è noto, alcuna misura, né sanitaria, né logistica fu presa dai vari governi, in particolare dei paesi occidentali, negli anni seguenti. Diciassette anni dopo, la prima ondata della pandemia trovò il mondo totalmente impreparato, causando un caos sanitario, amministrativo e sociale e causando milioni di morti (valutati fra 1,8 e 3 milioni, OMS).

Cosa bisogna fare? Innanzitutto cercare di limitare la propagazione del virus e ridurre così la probabilità che il virus aviario muti, si adatti all’ospite umano e divenga pandemico. È necessaria una sorveglianza stretta sia dell’influenza aviaria fra gli uccelli sia dei casi di infezione in altri ospiti, in particolare l’uomo. Quindi è necessario monitorare la diffusione e le eventuali mutazioni del virus aviario tra gli uccelli, eliminare le carcasse degli uccelli morti, evitare contatti fra animali d’allevamento e uccelli selvatici e, in caso d’infezione negli allevamenti avicoli, abbattere gli animali. Oltre alla sorveglianza, devono essere adottate misure di prevenzione diretta ai lavoratori degli allevamenti, fornendo loro materiali e tenute di protezione, evitando i contatti con gli animali infetti e rendendo disponibili test diagnostici rapidi. Quest’ultima misura è resa problematica dal rifiuto di molti lavoratori a sottoporsi ai test sierologici, per timore di perdere il posto di lavoro. 

L’insieme di queste misure costituisce l’approccio «Una sola salute», che integra le strategie sanitarie in difesa della salute umana, animale e dell’ambiente.


I dati dovrebbero essere scambiati e circolare fra le agenzie di controllo a livello mondiale. I centri di prevenzione e controllo negli Usa e in Europa (CDC e ECDC) svolgono un egregio lavoro in questo campo. L’amministrazione Trump ha però nel mirino il CDC. Ha cambiato il direttore dell’agenzia, forse per ridurne l’indipendenza dal potere politico, e ha annunciato una riduzione di 30% del suo effettivo. Diecimila dipendenti del National Institut for Health, la Food and Drug Administration e il Center for Diseases Control sono già stati licenziati. Queste strutture sono essenziali per la ricerca, l’approvazione di farmaci e vaccini e la sorveglianza degli agenti infettivi, tra cui il virus dell’influenza aviaria. L’amministrazione Trump ha inoltre operato una serie di licenziamenti nel Dipartimento dell’agricoltura, che collabora con il CDC fornendo i dati sull’epidemia aviaria e bovina. Infine il nuovo ministro della sanità, Robert F. Kennedy Jr., ha proposto una nuova strategia di lotta contro l’influenza aviaria: invece di abbattere il pollame negli allevamenti infetti, lasciar diffondere il virus. Lo scopo avanzato da Kennedy Jr. sarebbe quello di selezionare gli animali resistenti. Premesso il fatto che negli allevamenti le razze di polli sono selezionate e quindi geneticamente vicine, il che riduce la possibilità di una selezione genetica, omesso anche il fatto che i polli infetti muoiono con grandi sofferenze, il paradosso maggiore di questo piano è che una circolazione incontrollata del virus gli permette di accumulare mutazioni. In questo modo si accelererebbe la progressione verso una configurazione pandemica.

Gli allevamenti, e in particolare quelli intensivi, come abbiamo visto, favoriscono il contagio e la diffusione del virus. Una politica sanitaria razionale imporrebbe di ridurre il numero di animali negli allevamenti, la densità territoriale degli allevamenti stessi e il trasporto degli animali. Da sottolineare, a questo proposito, sono la resistenza degli allevatori americani a qualsiasi tipo di controllo da parte delle autorità e il commercio di animali mal gestito e caotico.  A quest’approccio si contrappone in fondo la logica economica delle nostre società: negli ultimi cinquant’anni il pollame allevato per uso alimentare è aumentato di numero da circa 6 miliardi a 30 miliardi, quello dei bovini da circa un miliardo a un miliardo e mezzo e quello dei maiali da mezzo miliardo a un miliardo.


Lo strumento necessario e decisivo per contenere una malattia infettiva a livello di popolazione è un vaccino. Vaccini contro il virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1 a uso veterinario sono disponibili e la vaccinazione negli allevamenti di pollame è già praticata e in alcune nazioni è obbligatoria. In Francia, a partire dall’ottobre 2023 è stata lanciata una campagna nazionale di vaccinazione delle anatre d’allevamento. A fine 2024 più di 4 milioni di anatre sono state vaccinate. In Svizzera un vaccino è stato usato per proteggere efficacemente gli uccelli degli zoo. Tuttavia l’uso dei vaccini negli allevamenti è controverso. La vaccinazione riduce la gravità della malattia ma non impedisce l’infezione. Il virus potrebbe circolare fra gli animali a basso livello, non causando la loro morte ma favorendo così la sua evoluzione a lungo termine. Inoltre in alcuni paesi ci sono delle barriere commerciali che riducono la possibilità di esportare gli animali. Per esempio, l’importazione negli Usa dei volatili vaccinati in Francia è vietata.


Sono recentemente apparsi i primi vaccini umani, per ora diretti solo a persone potenzialmente a contatto con animali infetti. La Finlandia è stata il primo paese a introdurre il loro uso nel 2024, ma in febbraio di quest’anno anche il Canada ha reso disponibili due vaccini, entrambi basati su virus inattivato. Contemporaneamente, è anche fortemente consigliata la vaccinazione contro l’influenza umana. Benché il virus umano sia diverso dall’aviario (i due sottotipi dell’attuale influenza stagionale sono H3N2 e H1N1), ci sono risposte immuni indotte dal vaccino che affettano anche il virus H5N1 e che permetterebbero di attenuare la gravità della malattia. Vari vaccini contro i virus aviari ad alta patogenicità, non solo del clade H5N1, ma anche degli altri cladi più pericolose, come H7N9 e H9N2, sono in sviluppo e sono già in corso studi clinici. Tuttavia per produrre un vaccino efficace contro un futuro virus pandemico bisognerebbe già conoscere le mutazioni e/o i riassortimenti che renderanno il virus trasmissibile fra gli umani e quindi quali siano gli antigeni virali contro cui sviluppare il vaccino. Ciò non è possibile. Si stanno studiando quindi preparazioni vaccinali dirette contro regioni del virus molto conservate, comuni ai vari virus influenzali, nell’intento di creare dei vaccini «pan-influenza». Inoltre, benché i vaccini basati su tecniche classiche, come l’uso di virus inattivati o attenuati o su singole proteine virali siano efficaci nell’indurre una risposta immunitaria, è auspicabile il ricorso a tecnologie più recenti, che rendono più rapida la produzione del vaccino e il suo adeguamento a eventuali nuove mutazioni. A questo proposito, l’esperienza del Covid-19 ha mostrato la validità e l’efficacia dei vaccini basati sulla tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA).


La scienza è quindi attiva sul terreno dei vaccini, ma una politica preventiva implica altri attori oltre ai ricercatori, tra cui l’industria farmaceutica e i dirigenti politici. È necessario prevedere in tempo e in quantità ragionevole gli stock dei vaccini esistenti per far fronte a un inizio di epidemia in ogni paese, stabilire i contratti con l’industria farmaceutica per la produzione dei nuovi vaccini diretti contro i virus pandemici. Fare le contrattazioni in anticipo non a nome di una singola nazione, ma a livello mondiale, o almeno di aree economiche, come l’Europa, permetterebbe di diminuire i costi e di contemplarli preventivamente nei bilanci.

Alcuni farmaci antivirali, come l’oseltamivir, o Tamiflu, e il baloxavir marboxil, o Xofluza, hanno una certa efficacia sul virus H5N1, se presi rapidamente dopo l’infezione, malgrado sia stato già segnalato un caso di resistenza. È quindi opportuno prevedere delle riserve anche di farmaci antivirali per far fronte alle prime necessità.


Se la sorveglianza dell’evoluzione dell’infezione e l’elaborazione di farmaci e vaccini sono pilastri essenziali a prevenire e a combattere una pandemia, l’adeguamento del sistema sanitario a una minaccia pandemica è un elemento imprescindibile. Una politica sanitaria efficace deve prevedere strutture ospedaliere capaci di adeguarsi rapidamente per affrontare emergenze, un personale sanitario in numero sufficiente e ben formato, una rete di infrastrutture territoriali, medici di base, ambulatori, dispensari ecc., capaci di distribuire le prime assistenze e cure e di interagire con gli ospedali. Per affrontare un’emergenza sanitaria a livello nazionale e internazionale come una pandemia, i sistemi sanitari in ogni paese devono essere collegati tra di loro per garantire la circolazione dell’informazione ed è necessaria una centralizzazione delle direttive per assicurare l’omogeneità degli interventi. Deve esserci inoltre un collegamento fra i vari paesi e un intervento coordinato per ridurre la circolazione del virus e massimizzare le capacità di contenimento della pandemia. Infine, l’esperienza del Covid-19 insegna che è importante affrontare e ridurre le disuguaglianze sociali per non creare delle sacche di carenza di prevenzione e cura, sia a livello nazionale che internazionale. L’esistenza di aree sfavorite, oltre a costituire un’ingiustizia e provocare ulteriore sofferenza, favorirebbe l’emergenza e la persistenza di focolai d’infezione da cui il contagio potrebbe ripartire provocando ritardi nella risoluzione della pandemia. Il 16 aprile scorso i paesi aderenti all’OMS hanno raggiunto un accordo sulla prevenzione e la gestione delle malattie pandemiche, che sarà sottomesso alla prossima assemblea generale. Questo accordo mira a facilitare la trasmissione di dati e di tecnologie e ridurre le disuguaglianze fra paesi poveri e paesi ricchi. È un passo importante, benché l’assenza degli Stati Uniti, che si sono ritirati dall’OMS, lo renda più fragile.


Come si situa l’Italia rispetto ai suddetti criteri? È stata recentemente preparata una bozza di Piano pandemico per il periodo 2025-2029. In questo progetto, che si basa anche su una riflessione sulle carenze emerse durante la pandemia del Covid-19, sono contemplate varie misure destinate ad affrontare un’eventuale pandemia sui piani sanitario e sociale. Alcune di queste vanno decisamente nel buon senso: un rafforzamento della rete sanitaria territoriale e ospedaliera, con una maggiore integrazione fra le due; un rafforzamento della telemedicina; un rafforzamento dei sistemi di monitoraggio e sorveglianza epidemiologica. Senza entrare nel dettaglio di questi e altri punti del piano, ci si può porre la domanda se questi buoni propositi siano attuabili, considerata la situazione del sistema sanitario in Italia. 


La Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali Italiani, che assicura la sicurezza della filiera agroalimentare, monitora la salubrità degli alimenti e la salute e il benessere animale funziona, benché vengano reclamati dal settore la valorizzazione del personale e dei nuovi investimenti. La situazione è più problematica per altri settori del sistema sanitario. Per realizzare il piano occorrono fondi: per ristrutturare e rendere efficiente la rete ospedaliera pubblica, per rafforzare e aumentare le strutture territoriali, per formare il personale sanitario, medici e infermieri, per sviluppare gli strumenti e il personale necessari al monitoraggio di agenti patogeni e di epidemie. È necessaria un’armonizzazione legislativa a livello nazionale e bisogna sviluppare strutture e personale capaci di digitalizzare i servizi, creare banche dati, centralizzare e diffondere le informazioni.


Il recente rapporto GIMBE 2024 sul sistema sanitario italiano, che è la fonte più autorevole in questo dominio, rivela che nel Piano Strutturale di Bilancio non c’è nessun rilancio del finanziamento pubblico nel futuro. Il rapporto spesa sanitaria/prodotto interiore lordo perfino si riduce: dal 6,3 % nel 2024-2025 al 6,2 % nel 2026-2027, ponendo l’Italia al 16 posto fra i 27 paesi europei dell’area OCSE. Dove troverà il governo i fondi per il piano pandemico? L’aumento della spesa sanitaria in Italia nel 2023 è stato sostenuto dalle famiglie come spesa diretta, cioè le spese mediche sono state pagate direttamente dai cittadini. Questo è dovuto allo sviluppo esponenziale delle strutture private e ai ritardi, a volte insopportabili, degli esami e delle cure mediche nel settore pubblico. Nel 2023, quasi 4,5 milioni di persone hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici. E questo in tempi normali; cosa succederebbe in caso di pandemia?

Infine, ma di primaria importanza, vengono le disparità regionali nel sistema sanitario, in particolare fra le regioni del Nord, più equipaggiate e meglio strutturate, e quelle del Sud, di cui alcune sono sull’orlo del fallimento. Questa disparità è, fra l’altro, all’origine degli spostamenti di molti pazienti dal Sud al Nord, per fruire di cure adeguate, spostamenti che sono gravosi per i pazienti e appesantiscono la spesa sanitaria nazionale.


Perfino la rivista scientifica Lancet si è commossa di fronte al caso italiano. Scrive Lancet: la maggiore debolezza del sistema sanitario in Italia è l’infrastruttura frammentata dei dati sulla salute: non c’è alcun sistema unificato e centralizzato per documentare e condividere registri elettronici di salute, dati ospedalieri e registri di medici generalisti. Venti regioni operano indipendentemente e sviluppano politiche sanitarie e tecnologie differenti. La legge sull’autonomia differenziata, conclude l’articolo, aumenterà la decentralizzazione, la frammentazione e le disuguaglianze. Come è possibile credere che la risposta a una eventuale pandemia sarà centralizzata e unificata?


Negli ultimi anni medici e studenti in medicina volontari e militanti stanno creando in varie città d’Italia ambulatori popolari e gratuiti, nell’intento di colmare il vuoto esistente fra gli abitanti dei quartieri poveri e le strutture sanitarie, aziende sanitarie locali e ospedali. Benché queste iniziative facilitino l’accesso alle cure per le persone più bisognose, non possono certo sostituirsi a un sistema sanitario carente.

In conclusione, di fronte a una minaccia pandemica, come quelle del virus H5N1, l’Italia e il mondo si trovano impreparati. Com’è possibile sviluppare il necessario approccio One Health, una sola salute, quando si aggravano i cambiamenti climatici, le guerre, aumentano i sistemi politici autoritari (e spesso irresponsabili), le disuguaglianze fra regioni del mondo? Questo articolo tratta della minaccia pandemica dell’influenza aviaria. Tuttavia, come l’ha rivelato il Covid-19, le pandemie aprono problemi ben più generali della risposta sanitaria al virus, problemi strutturali, economici, sociali, mentali e soprattutto aggravano le disuguaglianze. All’interno di un paese, i ricchi possono affrontare più agevolmente dei poveri le restrizioni di movimento e di lavoro, hanno un migliore accesso alle cure. A livello mondiale è stata evidente la disuguaglianza tra i paesi ricchi e sfavoriti nella disponibilità di vaccini e nell'impatto della pandemia sull’economia e la società.  

Per affrontare la catastrofe di una nuova pandemia, probabilmente ben più grave del Covid-19, è necessario ridurre queste disparità d’accesso alla salute fra paesi e fra strati sociali all’interno di ogni paese, in modo da rendere più equo l’accesso alle risorse necessarie.

La tendenza è di senso inverso.


No one is safe until everyone is safe 



Per saperne di più


Chen, H et al., Nature, 436, 2005

Peacock T.P. et al., Nature, 637, 2024

The Lancet Infectious Diseases, 24, 2024

Burrough E.R. et al., Emerging Infectious Diseases, 30, 2024

Garg S. et al., N Engl J Med, 392, 2025

The Lancet Regional Health – Europe, 48, 2025

7° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale, ottobre 2024



Gianfranco Pancino negli anni Settanta ha militato, a Padova, in Potere operaio, successivamente, a Milano, è stato tra i fondatori e dirigenti dell’Autonomia operaia.

Imputato nel processo 7 aprile, nel 1979 è stato costretto alla latitanza, alla fuga e quindi all’esilio, prima Messico, poi Parigi dove, dopo varie peripezie è riuscito a imboccare l’appassionante strada della ricerca scientifica, acquisendo fama internazionale per i suoi studi sul cancro e sull’HIV, fino a ricoprire la carica di direttore di ricerca all’INSERM e a far parte dell’équipe di Francoise Barré-Sinoussi, premio Nobel per la Medicina, all’Istituto Pasteur di Parigi.

«Ho avuto la fortuna di attraversare tre vite diverse, ognuna vissuta intensamente: la vita politica, la più entusiasmante; la vita del fuggitivo, sdoppiata e avventurosa; e la vita rifondata dello scienziato. In tutte mi sono posto delle sfide: cambiare me stesso e la società, nella prima; vivere e non accontentarmi di sopravvivere, nella seconda; conquistare un posto che mi era teoricamente inaccessibile, nella terza. E in premio ho ricevuto la spinta della curiosità, l’ardore della ricerca, la sensazione di non essere inutile». Ha recentemente pubblicato con Mimesis un prezioso libro autobiografico del quale si raccomanda la lettura: «Ricordi a piede libero. L’autonomia operaia, l’esilio, gli studi sull’HIV»






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