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- a cura di Sergio Bianchi
- 3 apr
- Tempo di lettura: 20 min
Aggiornamento: 21 apr
In memoria di Nanni Balestrini

In occasione del sesto anniversario della scomparsa di Nanni Balestrini
“ahida” gli dedica un ricordo.
Le scale
Saliamo piano le scale larghe in penombra.
Un silenzio irreale rotto all’improvviso da alcuni rimbombi lontani.
Due, tre, quattro rampe e siamo nell’ampio corridoio del reparto.
Il buio è intervallato da fasci di luce provenienti da alcuni ingressi delle stanze a sinistra e a destra.
Si avvicina la sagoma di una giovane infermiera. Ci parla sottovoce con un filo di commozione: – Ero passata e mi pareva tranquillo. Sono ripassata una mezz’ora dopo e non respirava più.
Entriamo nella piccola stanza illuminata da un neon basso.
È lì, sotto un lenzuolo che lascia scoperti i piedi nudi e la testa.
Lei lo bacia sulla bocca con discrezione. Poi appoggia le spalle al muro e recita sottovoce la sua preghiera.
Resto ai piedi del letto. Gli prendo i piedi tra le mani. Sono tiepidi. Mi viene in mente una cosa assurda. Che forse non è morto.
Muovo due, tre passi. La sua testa immobile mi pare come rimpicciolita. Lo prendo per le spalle e lo scuoto leggermente, due, tre volte. No, non è vivo. Gli chiudo del tutto gli occhi, gli sistemo i capelli, lo bacio sulla fronte.
Lei ha gli occhi lucidi. È concentrata su di lui e su se stessa.
Penso al lungo e lento strascico divenuto man mano agonia.
Usciamo nel corridoio. Mi pare ancora più buio. Si riavvicina l’infermiera. È gentile e premurosa. Ci informa sulla procedura. Lei pare non ascoltarla e sussurra: – Chissà il casino domani. Con la gente e i giornali…
L’infermiera ci guarda interrogativa. Potrei non risponderle ma poi le dico: – Era un poeta.
Niente da dire
Dopo la scomparsa di Nanni ho curato e pubblicato un testo: nanni balestrini – millepiani.
Nanni Balestrini è stato poeta, scrittore e artista visivo di fama internazionale. Nella sua figura si riassume un’intera stagione di storia e di cultura, italiana ed europea, di compresenza e reciproca influenza tra avanguardie artistiche e avanguardie politiche: quel magico tempo degli «intellettuali militanti» che hanno agito dentro una temperie di lotte operaie e giovanili che hanno fatto epoca, e che hanno segnato il destino delle successive generazioni.
Per oltre sessant’anni Balestrini ha progettato e organizzato un infaticabile lavoro culturale, utilizzando una molteplicità di piani: poesia, narrativa, cinema, audiovisivo, teatro, musica, collage, pittura, scultura, editoria, impegno politico. Balestrini, cioè, uomo-rete dei millepiani.
Come epigrafe ho scelto due righe che a mio parere riassumono in modo perfetto tutto ciò che è stato l’operare nella sua vita: «Io, non ho niente da dire. Voglio raccontare e combinare le cose dette da altri, e stare a vedere cosa succede».
Che cos’è per Balestrini la poesia
La poesia fa male
Generazioni di ipocriti di insegnanti di
imbecilli di baciapile di pedagoghi di
pedofili di perecottari di animebelle
puzzolenti
Hanno continuamente cercato di in
cularci con una visione edificante
patetica piagnucolosa buonista
di quella cosa
Che per sua natura è
un affronto all’esistente
per mezzo della parola
Micidiale e inesorabile indecorosa e
sfrontata impudìca e
corrosiva la poesia è
l’apocalisse del linguaggio
È un urlo selvaggio che strappa brandelli
di cervello ammuffito fa sanguinare i
corpi anestitizzati dai soldi trafigge i
cuori impotenti cancerizzati
La poesia è un’
interminabile
apocalisse
O non è
La poesia è continua esplosione è
continua rivoluzione è continuo
rifiuto è continua distruzione
della merda accumulata dal
perbenismo criminale dell’homo economicus
globalizzato
La poesia è sputare parole
infuocate avvelenate nei
suoi occhietti melensi
La poesia è la pioggia di sangue di fuoco di
piscio che sommergerà l’infame razza
bastarda del maschio bianco occidentale
con le sue bombe le sue banche i suoi culi griffati
La poesia è anche farla finita con tutti i miserabili
sciacalli che sulle sofferenze che hanno dato una mano
a infliggere intonano inni pietosi agli squartati e ai
fuggiaschi mentre li derubano anche dei pacchi dono
La poesia è una roba che non
ve l’immaginate nemmeno
La poesia è il giubileo delle
energie vitali che dilagano
sul pianeta avvelenato
La poesia
Fa
Malissimo
Cagatevi sotto
La bestia dell’apocalisse è arrivata
Nanni B. uomo d’ingegno, non di istituzioni
Letizia Paolozzi
Quando eravamo giovani, quando ci divertivamo a vivere, quando andavamo di qua e di là. Riavvolgere il nastro dell’esistenza? Nei tempi crudeli del virus, l’operazione sa di ridicolo. Non stringi nulla di reale a pescare nei ricordi. Come giocassi in borsa, oppure al lotto, il pensiero magico si impadronisce di te.
Ma non importa, provi comunque.
E allora, Nanni B. fu povero, inventivo, protervo. Tacere appartenne al suo stile. Mai imbarazzato dall’inclinazione al silenzio, convinto di non inibire gli altri, ogni volta puntò su qualcuno, qualcuna che funzionasse da ripetitore, capace di ascoltare e apprezzare.
Lesse i testi di amici poeti, romanzieri, narratori, critici. Non riuscì mai a immaginarsi senza il suo insieme di relazioni, legami, rapporti: Piero Manzoni, Luigi Pestalozza, Luigi Nono, Emilio Vedova, Ingeborg Bachmann, Maria Corti, Emilio Villa; poi gli autori/autrici che leggerete su questo libro di «Machina»; poi ancora i compagni di Potere operaio. Tanti? Pochi in fondo dal momento che la sua visuale si limitò a loro. E con loro progettò, propose, varò leggere imbarcazioni. Sempre agili, sempre adatte a reggere l’urto. Fino a scomparire, improvvisamente, dall’orizzonte.
Una volta, si scoperse attratto dalla fenomenologia: do you remember la dimensione corporea della coscienza, il linguaggio secondo Maurice Merleau-Ponty? Se la cavò senza rimpianti, eppure, imparò a radicarsi nel cuore del mondo vissuto.
Evitò di puntare su un ego spropositato rifiutando il tono solenne del condottiero sulla statua equestre.
Cominciò ad agire prima del ’68, continuò dopo il ’77. Ebbe scambi con diversi modelli di comunicazione. Non si sognò di negare la tradizione benché preferisse trovarsi in anticipo sui tempi. Si proiettò in avanti navigando tra i generi.
Rimase stretto alla classe operaia nonostante l’avanzare del vetrinismo protestatario di Ai Weiwei, gli strepiti neo-barocchi di Matthew Barney, il postmoderno della coppia Fedez-Ferragni. Sfuggì alla macina della mercificazione. Con il linguaggio provò a cambiare lo stato delle cose presenti. Non da solo, sempre in gruppo.
Difese i propri ritmi. Non conobbe l’ideologia minoritaria. Si mosse dalla scrittura di un testo alla preparazione di una tela all’esaltazione di un oggetto, simile in questo – forse non solo in questo – agli inuit che saltavano da una struttura sociale all’altra a seconda delle stagioni.
Ascoltò sino allo sfinimento la canzone Azzurro (Celentano, Pallavicini, Conte). Si affidò all’utopia tuttavia non perse l’aspro profilo della concretezza. La vecchiaia non gli suscitò ansia, disperazione, lamenti. Non prese sul serio il suo corpo. Lo trascurò. Si ritagliò un suo modo di vivere.
Difese per anni i rapporti applicando alla lettera il monito di Adorno: l’infedeltà, l’irriflessività dei sentimenti equivale a sottomettersi alla società dei consumi, dunque, siate fedeli. Non inciampò nel maschilismo, non occhieggiò alla schiera degli uomini prepotenti. Fu d’accordo con le donne del #MeToo. Si intrattenne con i discorsi sulla parità. Ci ficcò una determinata quantità di moralismo.
Mai fece parte della classe dirigente, eppure la costeggiò, le passò accanto. Miracolosamente. Senza compromettersi. Votò Pci, Pds, Ds, Pd senza entrare nel merito dei problemi, trattati anzi da questioni di lana caprina. La politica la tagliò con l’accetta: stai di qua o stai di là.
Fu un oppositore da anni Sessanta. Eversivo, con l’aiuto delle parole, poco o niente si appassionò alle lotte per il potere. Quando andò in Cina, ne rimase entusiasta. Anche lui, come Antonio Rezza, appartenne al genere di «persone che amano quello che amano fare». Mai marginale, sempre aggrappato alla concretezza, alla cronaca dei fatti, scelse un modo seriamente giocoso di prendere le cose. Quel modo aiuterebbe, se ancora fosse qui.
Ritratto di un poeta
Giosetta Fioroni
Il poeta Nanni Balestrini è bello.
Ha gli occhi socchiusi, lievemente strizzati come di fronte a una eccessiva luminosità.
Dalle palpebre filtrano circolari raggi azzurri che si allungano tra le ciglia.
I capelli biondi e lisci sono spruzzati d’oro.
La bocca è atteggiata a un perenne immobile sorriso, anzi un accenno di sorriso.
Il volto soave esprime un sentimento di tenero distacco, di gentile supremazia.I lineamenti sono composti, armonici. Una fredda mobilità anima i gesti misurati che non rivelano nulla.
Un velo protegge questo nulla, la decisione del nulla, l’ironia del nulla.
Ma, ogni tanto, il velo si solleva e qualcosa di molto ingegnoso, complesso, stratificato e multiplo traspare.
Si può intravedere, ma solo intravedere, tutta l’attenzione.
La furiosa, capillare attenzione di cui è dotato.
Possiede una lente nascosta nelle pieghe, nel drappeggio.
Una lente di ingrandimento. La muove da sempre, recondito.
La sposta languidamente, in ispirato sonnambulismo, su molteplici forme.
La punta su eventi minimi e grandi. Il tempo e la storia non fanno parte del gioco.
Dal poema di Nanni Balestrini Blackout, scritto nel 1979, subito dopo il suo espatrio in Francia per evitare l’arresto ordinato nel quadro dell’inchiesta denominata 7 aprile.
io ti scrivo dirimpetto al balcone donde miro la eterna luce che si va poco a poco perdendo nell’estremo orizzonte tutto raggiante di fuoco
spesso mi figuro tutto il mondo a soqquadro e il cielo e il sole e l’oceano e tutti i globi nelle fiamme e nel nulla
mi assumo mille argomenti mi si affacciano mille idee scelgo rigetto poi torno a scegliere scrivo finalmente straccio cancello e perdo spesso mattina e sera
forse mi reputo molto ma mi pare impossibile che la nostra patria sia così conculcata mentre ci resta ancora una vita
se io avessi venduta la fede rinnegata la verità trafficato il mio ingegno credi tu ch’io non vivrei più onorato e tranquilloperseguitate con la verità i vostri persecutori
ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che mentre s’affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza
e quando vedo tanti uomini infermi imprigionati affamati e tutti supplichevoli sotto il terribile flagello di certe leggi
ah no io non mi posso riconciliare io grido allora vendetta
il mio nome è nella lista di proscrizione lo so
La procura generale della repubblica visti gli atti del procedimento penale n. 710/79 A
visti gli artt. 252 253 254 del codice di procedura penale ordiniamo la cattura di
non leggi ma tribunali arbitrari non accusatori non difensori bensì spie di pensieri delitti nuovi ignoti a chi n’è punito e pene sùbite inappellabili
il mio nome è nella lista di proscrizione lo so
frattanto l’occasione mi ha smascherato tutti quei signorotti che mi giuravano sviscerata amicizia
perseguitate con la verità i vostri persecutori
del resto io vivo tranquillo per quanto si può tranquillo ma a dire il vero penso e mi rodo mandami qualche libro
spesso mi figuro tutto il mondo a soqquadro e il cielo e il sole e l’oceano e tutti i globi nelle fiamme e nel nulla
imputato di reato procedura penale dagli artt. 110 112 n. 27 del codice penale per avere in concorso fra loro e con altre persone essendo in numero non inferiore a cinque
da eseguirsi anche in abitazioni e luoghi chiusi a essi adiacenti anche in tempo di notte
organizzato e diretto un’associazione denominata potere operaio e altre analoghe associazioni variamente denominate
visti gli artt. 252 253 254 del codice di procedura penale ordiniamo la cattura di
ma collegate fra loro e riferibili tutte alla cosiddetta autonomia operaia organizzata
dirette a sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti dello stato
dirigi le tue lettere a Nizza di Provenza perch’io domani parto verso la Francia e chissà forse assai più lontano
perseguitate con la verità i vostri persecutori
sia mediante la propaganda e l’incitamento alla pratica della cosiddetta illegalità di massa
dirette a sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti dello stato
attentati a carceri caserme sedi di partiti e di associazioni e ai cosiddetti covi del lavoro nero
espropri e perquisizioni proletarie incendi e danneggiamenti di beni pubblici e privati rapimenti e sequestri di persone e ferimenti
sia mediante l’addestramento all’uso di armi munizioni esplosivi e ordigni incendiari
visti gli articoli 252 253 254 del cod. di procedura penale ordiniamo la cattura di
sia infine mediante il ricorso a atti di illegalità violenta e di attacco armato contro taluni degli obiettivi sopra precisati
e è comunque imposta dall’eccezionale gravità del fatto dalla gravissima minaccia allo stato e alle sue istituzioni
la cattura è obbligatoria in considerazione del titolo di reato
da eseguirsi anche in abitazioni e luoghi chiusi a essi adiacenti anche in tempo di notte
dall’elevato grado di pericolosità sociale insita nella scelta dei mezzi e dalle modalità esecutive
espropri e perquisizioni proletarie incendi e danneggiamenti di beni pubblici e privati rapimenti e sequestri di persone e ferimenti
sussistono sufficienti indizi di colpevolezza in ordine a quanto formulato in rubrica desumibili
da eseguirsi anche in abitazioni e luoghi chiusi a essi adiacenti anche in tempo di notte
1) dalla copiosa documentazione sequestrata o acquisita soprattutto nelle parti in cui si esalta e si programma la violenza e la lotta armata
nel fine ultimo di sovvertimento generale del sistema vigente
si preannunciano e si rivendicano atti di carattere eversivo si promuove e si incita al sovvertimento violento del sistema
dirette a sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti dello stato
2) dalle riviste rosso autonomia controinformazione e da numerosi altri giornali opuscoli volantini e scritti di evidente contenuto eversivo
e è comunque imposta dall’eccezionale gravità del fatto dalla gravissima minaccia allo stato e alle sue istituzioni
3) dalle testimonianze assunte e dalle risultanze delle indagini di procura generale comprovanti sia la natura le modalità e i mezzi dell’attività criminosa svolta da ciascun imputato
e è comunque imposta dall’eccezionale gravità del fatto dalla gravissima minaccia allo stato e alle sue istituzioni
sia i rapporti associativi intercorrenti fra l’uno e l’altro e il comune disegno antigiuridico
nel fine ultimo di sovvertimento generale del sistema vigente
sia infine la loro consumata e attuale partecipazione in qualità di dirigenti e organizzatori all’associazione delittuosa meglio configurata nel capo di imputazione
espropri e perquisizioni proletarie incendi e danneggiamenti di beni pubblici e privati rapimenti e sequestri di persone e ferimenti
nel fine ultimo di sovvertimento generale del sistema vigente
Gatto nero no. Coniglio sì
Nell’inverno dell’83 abitavo con Nanni in una casa nella campagna provenzale, a Puyricad, un villaggio vicino a Aix-en-Provence dal quale si poteva vedere la sagoma netta della Saint Victoire, la montagna di Cézanne.
Eravamo entrambi esuli o, con un termine meno elegante, latitanti, per via delle vicende politiche di quegli anni.
Lui stava nella casa vera e propria con la compagna Gilles e il figlioletto Morgan, io con Marina – una donna bella, scura, ombrosa nello sguardo come nell’anima – in un ampio monolocale attiguo, con un camino e una grande finestra che dava su una campagna piatta a perdita d’occhio.
C’erano giorni in cui soffiava il Mistral, il vento freddo, secco e cattivo della Valle del Rodano. Le sue raffiche spazzavano via tutto, a volte per due tre giorni di fila. E nei giorni seguenti il sole nel cielo terso conferiva al paesaggio colori di un nitore che solo là era possibile vedere. Quelle stesse tonalità sono negli acquerelli che Nanni ha dipinto in quel periodo.
Il giardino e la casa erano frequentati da sette o otto gatti con nomi di pani francesi: Ficelle, Baguette, Bignè, Croissant, Macaron, Brioche…
Nanni era riservato. Aveva un passo leggero come quello dei suoi gatti, tanto leggero da non avvertire del suo arrivo. Così a volte compariva d’improvviso sulla soglia del monolocale per propormi di andare a prendere del vino rosso sfuso, il Côtes de Provence. Ne vendevano di buono a pochi franchi in cantine disseminate per la campagna. Ma era anche un pretesto per scorrazzare in quelle distese disseminate del viola della lavanda, del giallo e verde dei girasoli, del rosso dei papaveri. Così viaggiavamo per ore nei pomeriggi per strade strette e poco trafficate sulla sua R4 bianca.
Una volta un gatto nero ci attraversò la strada a una decina di metri. Nanni inchiodò di colpo e con un sospiro spense il motore. Non diceva niente, fissava la strada. Tolse le mani dal volante e incrociò le dita. La strada era deserta e c’era un silenzio irreale. Aspettammo un quarto d’ora ma non passava nessuno. Lui non diceva niente e io neanche. Poi, lontano, in fondo in fondo, un puntino nero si avvicinava molto lentamente. Dopo cinque minuti si riuscì a distinguere la sagoma di un trattore che avanzava traballante. Altri dieci minuti e ci passò finalmente a fianco. Allora Nanni riavviò il motore, fece un altro sospiro e ripartì verso casa.
Tutte le domeniche mattina andavamo nella fattoria di Albert, a qualche chilometro da casa, per prendere uno dei suoi conigli nostrani da cucinare a pranzo. Albert era il marito separato di Lìli che da molti anni conviveva con Margaret, di fianco a casa nostra. Avevano entrambe tra i sessanta e i settant’anni, portavano i capelli cortissimi e di mestiere modellavano, decoravano e cuocevano in un forno a legna delle bellissime ceramiche. Margaret da giovane era stata modella e compagna dello scultore Giacometti. Era taciturna e riservata quanto Lìli era all’opposto gentile, espansiva e premurosa, anche se mai invadente. Saprò solo molti anni dopo che lei e Albert, negli anni della Seconda guerra mondiale, erano stati a capo del movimento di resistenza comunista all’occupazione tedesca in quel territorio.
La casa era un via vai di poeti e intellettuali francesi, oltre che di compagni che arrivavano in visita dall’Italia, o di esuli parigini in transito per una vacanza in Corsica. Così erano frequenti le cene affollate nelle quali però le discussioni finivano ossessivamente sulla situazione politica italiana incancrenita tra un movimento ormai al tracollo, una lotta armata sempre più omicidiaria e una repressione sempre più efficace.
In quel periodo che Nanni scrisse i 49 sonetti poi pubblicati col titolo Ipocalisse.
Di questi qui di seguito Passaggio.
Passaggio
pieno di mosche
nel paese immobile
diluita dimentica
la fase precedente
si dividono in
lupi
nella gabbia e
sciacalli
intorno strillano
la fine della
non fa niente
senza attesa
ne che mai più le ri
vedrò
anche se sembra
sparita se
nero spenge e
tutto finisce per
perdersi senza
fine ma
quante parole
rifioriscono incessanti
il giardino dipinto
pippoli ad esempio
il melone
vada come vada
indelebile
e soprattutto e
lì appoggiato
leggermente senza
toccare ora che
non sono
lunga fila leggera
filamenti lungo le
bruscamente interr
senza l’ombra
tutto passa
senza afferrare
quando ci siamo
l’ultima volta
situazione confusa
nessun contatto
l’importante sembrava
cosi mentale mentre
ritagliando tutto
e poi ci siamo
e poi non c’era la
rotolando dal
in fondo alla
azzurro liquefazione
con tracce di
e altre tracce
tutto disfandosi
quando tutto cambia
non la voglia di
o la mia
rovesciata
verticale aprendosi
da una parte all’altra
mancava poco
nel paesaggio necessario
mancava molto
nel passaggio possibile
contorni sfocati
movimento
perpendicolare
non è finita
pentiti solo
di non averlo
fatto abbastanza
senza lineamenti
passando oltre
appariva ogni tanto
lungo la dove
consunta appena lì così
morti colori
mordi appena
a testa in giù
sempre più forte
attraversando
ma è tutto vero
basta toccare
non trovando altre
parole
questo e tutto
per ora
in questo momento
e come se
fossimo già
invece siamo
appena
e ciò che è
più strano è
che uno non se
lo immagina bene
dove potrebbe
essere arrivata
la lunga attraversata
Tornammo in Italia qualche anno dopo e ci vedemmo a Milano con Primo Moroni nella sua libreria Calusca. Nanni aveva combinato con la casa editrice Sugarco la pubblicazione di un libro sul ventennale del ’68. Ci mettemmo al lavoro e ne venne fuori L’orda d’oro, un libro non dimenticato che qui ricordo in un passaggio che ho scritto poco dopo la morte di Primo, nel 1998.
Primo… mi piacevano i nostri appuntamenti perché avevano sempre il sapore complice e furtivo di chi progetta e costruisce, sia pur contro i mulini a vento.
E mi ricordo questa complicità disperata, negli anni della prima stesura de L’orda d’oro. Già, gli anni Ottanta, anni maledetti di solitudine, circondati dal deserto, dall’esilio, dalla galera, dall’eroina, dal tradimento. In quelle stanze piene di libri trasportati con grandi valigie, automobili, furgoni, e ammucchiati alle pareti fino al soffitto.
I nostri libri, salvati dai roghi dell’odio e della paura dei nemici, dalla dimenticanza derivata dal sentimento di una irreparabile sconfitta dei nostri vecchi compagni. Io, ragazzo di bottega, a catalogare, selezionare, predisporre il materiale grezzo. Tu a scrivere incessantemente con una scalcinata macchina meccanica con il tasto della a rotto, che dovevi risollevare dal rullo con il dito quasi a ogni parola.
E Nanni, silenzioso, in fondo al grande tavolo, alla regia, a leggere, correggere, aggiungere, tagliare, spostare, rimontare, segnalare lacune e incongruenze, suggerire migliorie. Così per ore, giorni, settimane e mesi tra Roma e Milano. Una catena di montaggio come disse Sergio Bologna che per alcuni giorni ci ospitò nella sua casa.
Già con Gli invisibili, e poi con L’orda d’oro, avevamo contribuito a riaprire faticosamente dei pertugi in quell’industria culturale che era stata complice del massacro del movimento. Occorreva insistere, e Nanni in questo era segugio ostinato, tenace.
In occasione del ventennale della morte di Primo Moroni Nanni gli dedicò questa poesia
Per Primo
Prima non c’era niente
le parole volavano via
i fogli appassivano
i libri s’impolveravano
poi Primo ha aperto
i grandi occhi
sulle pagine gonfie
di visioni e verità
con Primo le voci
rimbalzano compagne
da cori lontani
sempre più vicine
con Primo nessuno era
più solo nella lotta
tutti si parlavano
tutti ascoltavano tutti
con Primo la storia
del movimento è adesso
il mito moderno
di un mondo che cambia
senza fine con Primo
l’orda d’oro galoppa
l’orizzonte lontano
illumina e splende
Di seguito una poesia che Nanni ha dedicato agli anni Ottanta
C’è chi loda il letamaio
Qual è il segno culturale del nostro tempo
il bello di cattivo gusto
cioè la merda
le belle pubblicità di merda i bei abiti
di merda il bell’erotismo di merda
le belle barche di merda i bei romanzi
di merda il bel giornalismo di
i bei talk show di merda insomma
tutti i belli super professionali
di merda prodotti dalla cultura spettacolo
di merda con quella incancellabile e richiesta
vena di cattivo gusto cioè di merda
diciamo la cultura dei professionisti di massa
di merda che lavorano per le masse di merda
è difficile diciamo noi
disobbedire al proprio tempo
ci sono tempi che danno licenza di buon gusto
e tempi di merda che la tolgono
e chi contravviene alla merda se va bene
sarà apprezzato dai posteri
oggi i buoni professionisti della merda
selezionati dai grandi media di merda
sanno mettere insieme colori immagini di merda
luci effetti di merda tridimensionali
belli bellissimi sanno organizzare i bei
dibattiti sado-maso di merda le belle
inchieste tutte ritmo e suspense
ma mettendoci quel tanto di cattivo gusto
cioè di merda che hanno coltivato invece che soffocare
per piacere allo spettatore massa di merda
e senza un po’ di cattivo gusto
cioè di merda oggi si campa male
a noi tocca vivere nella cultura spettacolo
di merda del bello di cattivo gusto
cioè di merda ben retribuiti e puniti
ogni giorno dalla fama di merda
è difficile disobbedire al proprio tempo di merda
non curarsi del suo segno culturale di merda
oggi uno che non ha successo
perché guarda in alto e comunque non nel letamaio
non viene guardato dalla merda
come un’intelligenza esigente
come il portatore di una grande ambizione
ma come un corpo estraneo alla merda
vivere in sintonia con la cultura di massa
di merda è vivere nel migliore dei mondi
di merda oggi possibile
è quasi impossibile sottrarsi
alla cultura del proprio tempo di merda
i compensi agli intelligenti perché producano
merda per i rozzi e volgari sono ottimi
e tutti più o meno ci siamo adeguati alla merda.
Cip ciop
Negli ultimi anni io e Nanni facevamo il Natale insieme, a casa mia.
Solo noi due.
All’inizio cucinavamo insieme, poi, ci ho pensato io.
Cucinavo sempre pesce e apparecchiavo col meglio che avevo.
Lui arrivava puntuale.
Posteggiava la sua auto rossa in divieto di sosta e saliva con lo champagne.
Dopo aver parlato come al solito di lavoro ci buttavamo sui piatti, in silenzio.
Arrivati al secondo io gli dicevo: Cip. E lui mi rispondeva: Ciop.
Ridevamo e facevamo un brindisi.
L’ultimo aprile
Era l’ultimo suo aprile. Era a casa, in una pausa tra un ospedale e l’altro.
Seduto sul divano del salottino guardava fisso dalla finestra socchiusa le foglie fresche del vecchio platano.
Sbottò di colpo: «Non se ne può più di questi leghisti, fascisti, razzisti. Dobbiamo fare qualcosa di più duro di quel che abbiamo fatto finora. Non ce ne facciamo niente di questi vecchi intellettuali decotti di sinistra. Abbiamo visto come è andata a finire con «alfabeta 2». Tempo sprecato. E questi giovani intellettuali? Quasi tutti professorini presi solo dai loro interessi di carriera accademica, sono solo dei piccoli individualisti narcisisti. Niente. C’ho pensato su: rifacciamo «Compagni,». Non devo chiedere il permesso a nessuno, l’ho fatta io, la testata è mia».
Rimasi un attimo interdetto. «Compagni,» – conosciuta e denominata «Compagni virgola» – era una rivista che Nanni aveva fatto nel 1970 con il supporto economico di Giangiacomo Feltrinelli, e dell’editore aveva pubblicato una lunga intervista in concomitanza con la sua entrata in clandestinità. Ne erano usciti solo due numeri. Un grande formato e una grafica elegante e austera, in bianco e nero. Di fatto era una rivista ascrivibile all’area politica di Potere operaio. Rifarla oggi? Con una testata dal sapore così desueto? Sembrava un’idea del tutto inattuale, commercialmente fuori target. Glielo dissi. Ma lui era convintissimo del contrario: «Proprio perché le cose stanno come stanno bisogna fare un’operazione di schieramento culturale militante, non opinionistico. Basta con le buone maniere. E bisogna fare un prodotto cartaceo, non in elettronica. Dobbiamo tornare e stare nelle edicole, e con una proposta non effimera. Fai fare subito dalla tipografia dei preventivi per una tiratura minima di 30.000 copie. Stesso formato e fogliazione della testata originale. Io chiamo subito Toni, Piperno e gli altri. Intendeva i vecchi di Potere operaio, quelli rimasti.
Mah… mi incammino verso l’ufficio con un unico pensiero in testa: e adesso? dove si trovano i soldi? Mentre faccio i preventivi lui fa il giro dei siti internet e compra per 300 euro le uniche due copie della rivista disponibili.
Il giorno dopo vado a trovarlo. Si alza dal divano, va in cucina e torna con una bottiglia di champagne e due flute.
– Ma Nanni… non puoi bere…
– Ti immagini… due dita… Ho sentito tutti, e ci stanno tutti… Brindiamo a «Compagni,». Sarà un rivistone.
Nessuno si ribella
Nessuno si ribella
ci infangano la vita
ci mordono le budella
ci strappano il futuro
i ricchi ci rubano tutto
la scuola l’ospedale
la scienza anche il mangiare
e nessuno che si ribella
la vita non era bella
ma qualcosa ci restava
adesso i ricchi vogliono tutto
ma nessuno qui si ribella
ci lasciano miseria
fame tristezza e vuoto
se crepiamo tanto meglio
proprio nessuno che si ribella
a furia di lasciarli fare
ci dovremo tutti suicidare
per farli ancora più ingrassare
perché nessuno qui si ribella
non c’è proprio più niente da fare
per non farci più massacrare
come pecore mandate al macello
non c’è n’è una che si ribella
bisognerà proprio aspettare
che ci portino via proprio tutto
anche la voce per protestare
tanto nessuno qui si ribella
Una delle ultime poesie di Nanni, secondo me tra le più belle e di straordinaria attualità.
Istruzioni preliminari
il nostro mondo sta scomparendo
i tramonti succedono ai tramonti
si può sentirne lo strappo silenzioso
scorrere il sangue la vita che fugge
su fogli di carta corrosi sbiaditi
accarezzando le parole ancora visibili
accarezzando le parole ancora visibili
supreme famose finzioni si dissolvono
su fogli di carta corrosi sbiaditi
i tramonti succedono ai tramonti
in una realtà caotica ostile immensa
non sappiamo chi siamo né dove andiamo
non sappiamo chi siamo né dove andiamo
le vecchie certezze se ne vanno
in una realtà caotica ostile immensa
supreme famose finzioni si dissolvono
la nostra urgenza di ordine si annulla
in un reticolato di possibilità infinite
in un reticolato di possibilità infinite
proviamo ogni volta con parole diverse
la nostra urgenza di ordine si annulla
le vecchie certezze se ne vanno
tutto si ramifica si scompone si mescola
gli esperimenti non producono un sì o un no
gli esperimenti non producono un sì o un no
ma un continuo flusso di probabilità
tutto si ramifica si scompone si mescola
proviamo ogni volta con parole diverse
nessuna ricerca di risposte assolute
poiché ogni sviluppo è segnato dalla discontinuità
poiché ogni sviluppo è segnato dalla discontinuità
rottura radicale e definitiva con l’evoluzionismo
nessuna ricerca di risposte assolute
ma un continuo flusso di probabilità
il punto è dove la catena può essere spezzata
la contraddizione principale muta continuamente
la contraddizione principale muta continuamente
nella violenza che stravolge la quotidianità
il punto è dove la catena può essere spezzata
rottura radicale e definitiva con l’evoluzionismo
teoria materialista della contingenza
il tempo in cui l’uno si spacca in due
il tempo in cui l’uno si spacca in due
guardando l’evento da prospettive parziali
teoria materialista della contingenza
nella violenza che stravolge la quotidianità
nella durata mutevole delle congiunture
forze eterogenee si compongono su una linea comune
forze eterogenee si compongono su una linea comune
secondo una relazione non predeterminata
nella durata mutevole delle congiunture
guardando l’evento da prospettive parziali
scomporre e ricomporre in equilibri alternativi
la scrittura come un flusso non come un codice
la scrittura come un flusso non come un codice
costruzioni associative e accumulative
scomporre e ricomporre in equilibri alternativi
secondo una relazione non predeterminata
arricchisce il significato rendendolo plasmabile
la forma liberata dalla palude delle sintassi
la forma liberata dalla palude delle sintassi
sequenza di immagini sparate come slogan
arricchisce il significato rendendolo plasmabile
costruzioni associative e accumulative
rendere partecipe il lettore azzerando il linguaggio
contro l’abuso la convenzione lo svuotamento di senso
contro l’abuso la convenzione lo svuotamento di senso
non più dominanti e dominati ma forza contro forza
rendere partecipe il lettore azzerando il linguaggio
sequenza di immagini sparate come slogan
l’attacco va minuziosamente preparato
secondo una prospettiva rivoluzionaria
secondo una prospettiva rivoluzionaria
un altro mondo sta apparendo
l’attacco va minuziosamente preparato
non più dominanti e dominati ma forza contro forza
si può sentirne lo strappo sonoro
scorrere il sangue la nuova vita che arriva
Sergio Bianchi nel 1992 ha fondato (con Mauro Trotta) la rivista «DeriveApprodi». Nel 1998 è stato cofondatore della casa editrice DeriveApprodi nella quale ha assunto le cariche di direttore editoriale e amministratore unico fino al 2023. In quei 25 anni la casa editrice ha pubblicato un migliaio di titoli. Nel 2020 ha progettato e realizzato la rivista on line di dibattito politico-culturale «Machina». Ha curato i saggi: L’Orda d’oro a firma di Nanni Balestri e Primo Moroni; La sinistra populista; (con Lanfranco Caminiti) Settantasette. La rivoluzione che viene e Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, voll. I, II, III; nanni balestrini – millepiani. È autore dei saggi: Storia di una foto; (con Raffaella Perna) Le polaroid di Moro; Figli di nessuno. Storia di un movimento autonomo. È inoltre autore del romanzo La gamba del Felice (Sellerio).