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- Antonio Francesco Perozzi
- 24 giu
- Tempo di lettura: 5 min
Casino Conolly di Mariangela Guatteri

Casino Conolly di Mariangela Guatteri esplora il legame tra spazio, potere e linguaggio attraverso la descrizione di edifici dell’ex manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia, trasformati in dispositivi di controllo. Con una prosa che simula il linguaggio tecnico, il libro denuncia la violenza del potere istituzionale e la sua incidenza sui corpi e sulla lingua. L’osservazione critica di Antonio Francesco Perozzi evidenzia come la scrittura stessa diventi campo di resistenza e interrogazione del dominio.
Osservazione critica
Forse è anche pensando al Foucault di Sorvegliare e punire, e all’Agamben di Che cos’è un dispositivo?, che ci si può avvicinare filosoficamente a Casino Conolly di Mariangela Guatteri, pubblicato da il verri nel 2024. Le prose che lo compongono sono del resto tutte legate alla sovrapposizione inquietante tra potere, luogo e lingua: ogni capitolo del libro (Villino svizzero, Villa Valsalva, Villa di salute Esquirol…) fa riferimento a un edificio del vecchio ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia e ne descrive, mettendole in relazione, l’architettura e le attività che in quegli edifici si svolgono.
Ciò che si attraversa sfogliando il libro, dunque, non è solo una forma aliena di topografia; è soprattutto un campionario delle modalità con cui il luogo incide sulle persone e attiva un meccanismo di potere. Gli edifici acquisiscono quindi lo status di dispositivi, si identificano con la propria funzione e la propria ragione, che non è abitativa: nella Sezione Lombroso, ad esempio, «non basta lo stato di morte, ci vuole, per restare coerenti, un’esperienza di mortificazione della carne per potersi riunire nuovamente a sé»; nella Colonia-Scuola Marro l’esercizio fisico serve «per modificare la tendenza dell’umano alla perversione» e quindi a una «modificazione dello spazio di esistenza»; per la Villa di salute Esquirol «la villa, la strada che arriva alla villa e il muro che la circonda sono opere del metodo umano». Al di sotto dei luoghi, insomma, e tramite essi, agisce la necessità di una rieducazione e reintegrazione forzata del patologico, per via di «un lento assoggettamento tecnico delle energie naturali». E a questo assoggettamento consegue l’interdipendenza tra gli umani che subiscono il trattamento – slavati, spersonalizzati, senza nome – e l’edificio, da cui a un certo punto non possono più prescindere («Se si tenta di uscire da questo spazio contrattuale si perde identità. Uscendo dal progetto si muore per sempre.»).
È importante tuttavia evidenziare lo strumento linguistico con cui Guatteri esplora questa violenta opera di condizionamento antropologico. Pur riferendosi a una realtà storicamente accertabile, e pur avendo le potenzialità tematiche del racconto espressionista, Casino Conolly rifiuta sia il reportage sia la storiografia sia l’intreccio narrativo; e, con essi, ogni forma di pathos testimoniale o drammatico. La prosa di Casino Conolly simula e/o preleva quella del manuale tecnico e, secondo un meccanismo frequente nella scrittura di ricerca, la porta in primo piano con effetto straniante (non a caso il libro si chiude con delle Tavole sinottiche asemiche, che andranno perciò lette non come appendice visiva, bensì come controprova dell’inaffidabilità, non leggibilità, in un certo senso, della scrittura). La liquidità del dettato, la linearità dei suoi ragionamenti e delle sue descrizioni, insomma, mimano contemporaneamente il rigore dell’argomentazione saggistica e il candore della coercizione, suggerendo come tutta l’operazione vada guardata nell’inscindibilità tra potere esercitato sui corpi e potere esercitato sulla lingua. Alla (post-)poesia, allora, il compito di stralunare una lingua che risulta al servizio del potere proprio nel suo (presunto) uso neutrale.
Testi
Figura 7. La famiglia dei serventi
Gli uomini hanno una divisa. Le donne una sopraveste.
La libertà è subordinata a una certa legge e disciplina.
I letti sono tutti di noce col saccone alto, la coperta a dadi bianchi e turchini.
Camere di forza, letti di forza, bagnarole di forza, pettorali, guanti, cinturoni, muscoliere, collari.
Un’ultima ripulita di questi arnesi nell’alto di una parete a forma di bassorilievo.
Parentesi d’ombra
Confitti in camicia, incamiciolati.
Una redenzione.
Nei giusti limiti il sistema della libertà e della fiducia.
Camere tutte lucide veramente areate, in mezzo ai prati, ai campi. Sono tutti liberi, sciolti.
Il terminale
Nelle loro residenze a 3 piani i dipendenti ripetono l’esercizio ogni giorno, 3 volte al giorno, per 30 giorni. Ogni esercizio comporta 6 prostrazioni in ginocchio. 6 volte il ginocchio si piega tentando di appiattire l’angolo tra la gamba e la coscia, e altrettante si rialza di 90 gradi. Devono contare ogni genuflessione, il numero di volte che piegano e raddrizzano il ginocchio. Questo è un modo efficace per modificare la tendenza dell’umano alla perversione che si manifesta in esistenze ostinate che si ritengono dedite alla costanza, stabili nelle abitudini; ma è ostinazione. Umani pieni di certezze, soprattutto affamati di emozioni.
Per tale motivo il metodo prescritto prevede di spostare la percezione dello spazio nella dimensione del tempo, precisamente in quello sequenziale: una sequenza prescritta di una ritualità a termine. Terminale del medicamento è la conclusione di un processo a gradini dove l’inizio del piegamento – che è sottomissione –, la conclusione del piegamento – che è la causa della sottomissione – e daccapo ripetutamente, producono il ribaltamento totale, cioè la liberazione. Ecco il terminale! Si passa da una dimensione all’altra, dallo spazio al tempo, dal movimento perpetuo della follia all’arresto della mente.
Tutti i segni di queste pieghe sono ora impressi nella memoria dei muscoli, sul sistema nervoso e su tutti gli altri plessi, compreso quello respiratorio.
Tutto si riassume in una naturalità che infine ha una sua grazia, e non sembra neppure rieducata.
L’articolazione
Allenatore – Tra parentesi, in francese, il ginocchio è indicato da una parola che si pronuncia jenù, un suono che significa anche Io (Je) Noi (Nous).
Quando le ginocchia diventano improvvisamente dolenti o bloccate, è forse in atto una crisi che ha a che fare con una relazione umana importante che si è disarticolata. Questo lo sentii dire per la prima volta direttamente dalla bocca di Monsieur MB. In pratica la questione si può affrontare indipendentemente dalla lingua con cui si indica il ginocchio.
Il linguaggio si articola e si disarticola. Il francese è un esempio che calza a pennello, io-noi è proprio come un ginocchio: una parola sola per indicare qualcosa visto come unità: il noi. Ma il ginocchio non esiste se non ci sono almeno due elementi che si articolano – magari qualche altro osso di complemento –, quindi, se uno dei, poniamo, due elementi si disarticola ovvero uno degli io se ne va – magari morendo ma anche no –, l’articolazione è compromessa il ginocchio non funziona. Magari poi si mette una protesi o un chiodo che ne scaccia un altro, o si fa un ritiro spirituale.
Non c’è più questo ginocchio! – magari ce ne sarà un altro. Un altro noi. Insomma, un ginocchio che perde la dignità di ginocchio di disperde – magari si alcolizza, va in coma etilico, lo attaccano a un tubo lo nutrono a forza gli pompano il sangue e una serie di altri protocolli o magari lo lasciano lì –, è nullo.
Bibliografia
Agamben G., Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma, 2006.
Foucalt M., Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2003.
Guatteri M., Casino Conolly, il verri, Milano, 2024.
Antonio Francesco Perozzi (Subiaco, 1994) vive in provincia di Roma e insegna nella scuola secondaria. Ha pubblicato Lo spettro visibile (Arcipelago Itaca, 2022), bottom text (in Poesia contemporanea. Sedicesimo quaderno italiano, marcos y marcos, 2023), soluzioni per ambienti (Zacinto, 2024), on land (Edizioni Prufrock Spa, 2024) e Tranquillità assoluta (Pidgin, 2025). Collabora con varie riviste tra cui «Il Tascabile» e «Le parole e le cose». Cura il blog «La morte per acqua» e il podcast «Spara Jurij».