fascismi
- a cura della redazione del comparto fascismi
- 26 giu
- Tempo di lettura: 7 min
Note preliminari per una riflessione sul fascismo

Il seguente testo intende chiarire alcuni elementi preliminari sulla base dei quali si svilupperà il lavoro di questo comparto. L’obiettivo preposto è quello di procedere a un’analisi che indaghi le sfumature della complessa e controversa categoria di fascismo nel presente. L'articolo è stato elaborato dalla redazione del comparto <<fascismi>> curato da Giacomo Rinalduzzi
1.
La parola fascismo è sulla bocca di tutti. Dai talk show alle discussioni al bar, dai quotidiani alle manifestazioni, dai cartelli pubblicitari ai comunicati politici, è oggi diventato un termine vuoto: passepartout utilizzato per chiudere conversazioni scomode o torcere le argomentazioni a proprio favore, ricordo di sostituzione o bandiera dei partiti politici, spesso rivendicazione senza storia di chi è in cerca di identità, del termine non si comprendono più i confini, le particolarità e la pregnanza.
In un’epoca in cui è la pubblicità dei discorsi a dominare sulla consistenza delle idee questo non può stupirci. I termini si appiattiscono, le parole sono fiato, le riflessioni diventano, appunto, discorsi. Il termine in questione può essere impiegato come concetto, a patto di seguire l’indicazione che ogni concetto debba rinviare ad un problema. Questa accortezza non cade nel pragmatismo ingenuo, né tanto meno in una critica semplicistica al linguaggio filosofico, essa risponde piuttosto ad una questione che ci sembra importante sottolineare: oggi la macchina discorsiva produce concetti senza presa diretta sui problemi. Così il fascismo è sintomo di questa tendenza epocale, dove la confusione viene mascherata da semplificazioni estreme.
La vuotezza di un concetto, di cui la saturazione è manifestazione, impone, se lo si vuole riafferrare nel suo contenuto, un lavoro decostruttivo. Affinché possa essere utilizzato come categoria analitica, utile a comprendere le forme di potere contemporanee, è necessario dunque fare un passo indietro, sospendere l’ovvietà presupposta dei valori in gioco per poter ricostruire una sua possibilità d’uso. La direttrice che guida questo lavoro è quindi una: prendere atto della sterilità pubblica del termine fascismo, demistificare i falsi nessi che esso comporta, tentare di riconnetterlo a un problema tangibile.
2.
Il dibattito pubblico, e spesso anche militante, sul tema finisce per polarizzarsi in due discorsi formalmente avversi ma in realtà complementari.
Una prima posizione vede il fascismo come un fenomeno concluso nel 1945, e considera tutto quello che è venuto dopo come qualcosa di essenzialmente diverso, se non irrilevante: in altre parole considera esaurita la possibilità di utilizzare la categoria di fascismo per interpretare fenomeni contemporanei.
La seconda invece utilizza il termine fascismo per parlare praticamente di qualsiasi cosa contenga in sé il gene del dominio, della prevaricazione o della violenza.
Si badi bene che entrambe le posizioni vengano usate tanto dalla «sinistra» quanto dalla «destra».
Da sinistra si utilizza la prima argomentazione per sostenere che quello che ci troviamo ad affrontare oggi non abbia nulla a che fare con il fascismo storico, e sia al contrario riconducibile a nuove categorie analitiche, connesse a una vaga quanto indefinita crisi della democrazia. Mentre da destra viene utilizzata come retorica per sminuire la gravità di qualsiasi postura o posizionamento, azione politica o dichiarazione marcatamente autoritaria, razzista o sessista, sostenendo che il fascismo sia stata una parentesi buia, ma conclusa, e parlarne sia compito esclusivo degli storici o degli invasati.
La seconda argomentazione invece, viene usata da una certa sinistra per denunciare atteggiamenti prevaricatori, o qualsiasi politica che attacca le libertà sociali e i diritti civili, un jolly da spendere contro ogni avversario, ignorando che spesso ad aver sostenuto questi atteggiamenti o politiche siano gli stessi partiti che si rifanno ad una tradizione di sinistra.
Al tempo stesso, la destra arriva a utilizzare questa retorica per denunciare un improbabile «fascismo degli antifascisti», ergendosi a paladina di un’ultra-libertà di parola, di azione, quindi di prevaricazione.
In ogni caso, entrambi i discorsi, e i relativi utilizzi, producono uno stato di confusione diffuso riguardo al concetto stesso di fascismo contemporaneo, impedendo una presa diretta tra il concetto e la realtà.
3.
Tali discorsi risultano non solo fuorvianti ma addirittura controproducenti, strutturati attorno ad una polarizzazione fittizia, contribuiscono ad annientare il valore analitico del termine fascismo, rendendolo inutilizzabile.
Preso atto di ciò, riteniamo sia necessario sospendere due ulteriori presupposti: l’utilizzo delle categorie di destra e sinistra e l’opposizione manichea tra democrazia e fascismo. Questa duplice operazione rappresenta il punto di partenza teorico e metodologico della nostra analisi.
Con questo non si intende dire che non esista alcuna differenza oggettuale tra le politiche e le retoriche delle forze di destra e della sinistra. Così come è sciocco affidarsi a esse per comprendere la natura del fascismo, ancora più sciocco sarebbe non notare le differenze che intercorrono tra i due. È evidente che un Trump sia diverso da un Biden, che Meloni sia diversa da Schlein o Conte, come che il sogno globalista di un nomade digitale che gira il mondo in birkenstock sia diverso dal neovittorianesimo di un ultranazionalista che invoca Dio, Patria e Famiglia. Non coglierne le differenze e inserire tutti nello stesso calderone sarebbe, oltre che ingenuo, controproducente. Tuttavia va riconosciuto il tratto comune a entrambi, cioè l'integrazione alla comunità del capitale, che sia in chiave spiccatamente repressiva e conservatrice della destra, o apparentemente riformista e «progressista della sinistra.
Per sciogliere l’impasse manichea sarà necessario partire dall’assunto che il fascismo è una venatura propria della democrazia liberale, non semplicemente una sua degenerazione. Con ciò non intendiamo riferirci esclusivamente ai successi elettorali dei partiti nazionalisti, quanto a meccanismi e dinamiche proprie delle forme di governo liberali. Il fascismo, tanto quello storico quanto quello contemporaneo, non compare come un corpo alieno, ma nasce, cresce e si sviluppa all’interno, in relazione, alle democrazie liberali. Siamo convinti che questa opposizione paralizzante tra democrazia e fascismo oscuri la prospettiva sui loro punti di intersezione.
4.
Si sarà quindi compreso che non intendiamo il fascismo in un rimando a specchio con i regimi degli anni Trenta, ma come un elemento paradigmatico della modernità, che emerge e sommerge lungo uno sviluppo diacronico e non cronologico, in una temporalità dissestata che va dal colonialismo europeo al presente.
Come fenomeno che assume questo nome, il fascismo nasce in un determinato momento storico. Questo momento sorgivo raccoglie nervature diverse della cultura europea. Alcune più evidenti come l’antisemitismo, il colonialismo, riconducibili ad un certo suprematismo legato all’esaltazione della nazione. Altre, meno evidenti, che costituiscono la fibra del fascismo, si intrecciano al modo in cui la composizione sociale si è modificata a seguito delle rivoluzioni borghesi. In questo senso il termine fascismo è da considerare come eminentemente moderno ed occidentale, come punto di convergenza delle tendenze di una determinata storia, il quale, travalicando l’esperimento politico disastroso degli anni trenta, contiene in sé le venature di una determinata cultura. Queste insistenze sulla determinazione sono volontarie, intendiamo con ciò situare il campo in cui il concetto possa trovare una presa diretta nella realtà: questo campo è il risultato della storia di una cultura, la nostra.
5.
A differenza dei discorsi vagliati precedentemente, non si andrà alla ricerca di una definizione specifica e delimitata del fascismo. L’errore di queste letture è stato proprio quello di cercare IL Fascismo, come realtà univoca e singolare. Così facendo ci si dimentica che quello che si ha davanti è un fenomeno sfuggente, ambiguo e mutevole, pronto a rivelare nuove facce per adattarsi a una situazione specifica: un’eterna contraddizione, come la modernità di cui è emblema.
Nonostante questa sua natura camaleontica, il fascismo è un fenomeno tangibile, concreto e materiale. Talvolta in maniera evidente, come in un'adunata di Casapound, o dissimulata, come in un comizio di Fratelli d’Italia, altre ancora in maniera subdola o apparentemente ignara, come nei discorsi di un manager di azienda.
Non esiste quindi un solo Fascismo, ma tante forme di fascismo possibili, e questo proprio perché il fascismo in sé si dispiega come una forma capace di evolversi radicandosi in discorsi e pratiche inedite. Il compito non sarà quindi la ricerca spasmodica di confini netti o definizioni, ma la comprensione di come e perché ad oggi queste forme continuino a manifestarsi come fascismi. L’utilizzo del termine, seppure depotenziato dalla macchina discorsiva contemporanea, sarà imprescindibile per definire un tratto specifico, una formulazione di verità, una certa idea di mondo.
6.
Per riconoscere queste manifestazioni l’analisi dovrà essere differenziata. Nello specifico si partirà da una prima tesi, secondo la quale per poter comprendere il dispiegarsi del fascismo contemporaneo è necessario distinguere due piani che nella movenza reale si rimandano a vicenda.
Esiste infatti un fascismo che si muove sul piano molecolare, legato alla forme di vita, che si diffonde e circola passando per battute, commenti, chiacchiere, discussioni a cena o sull’autobus. Un fascismo strisciante a cui nessuno può dirsi veramente immune. Sorvolando la problematicità di alcune derive psicologizzanti, è innegabile che, per comprendere il fascismo nel suo aspetto molecolare, si debbano indagare le modalità attraverso cui fa presa sui desideri, sugli ideali, sulle strutture psichiche dei soggetti, dando una forma a quelle vite che altrimenti sembrano abbandonate alla deriva. In altre parole, la domanda a cui l’interpretazione molecolare del fascismo potrebbe rispondere è: come e perché quei desideri specifici e quegli ideali che danno forma alle vite si diffondono e si radicano nella quotidianità?
Distinguiamo da questo un secondo piano, definibile molare, che emerge nelle forme governamentali dei paesi occidentali. Tanto dai governi guidati dalle nuove destre, quanto nelle fumose strutture della governance. Questo secondo piano di analisi implica la necessità di osservare prospetticamente le tecniche attraverso le quali operano le diverse forme di governo. Un'interpretazione molare aiuterà a sciogliere punti solo apparentemente contraddittori, offrendoci uno strumento attraverso il quale indagare il rapporto tra le politiche identitarie, securitarie e l’attuale ordine economico.
Questi due piani di analisi partono da uno stesso movimento, dove il molare e il molecolare sfumano continuamente, si intersecano e si fondono, partecipando alla costruzione di un mondo.
7.
Il lavoro da intraprendere, attraverso diversi strumenti di analisi, dalla produzione di testi critici a conversazioni informali, sarà quello di liberarsi dal discorso inquinato che ruota intorno al termine fascismo e risemantizzarlo, riallacciando concetto e realtà per indagare come i fascismi emergano nel presente.