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  • Immagine del redattore: Rossana De Simone
    Rossana De Simone
  • 12 apr
  • Tempo di lettura: 21 min

Aggiornamento: 6 giorni fa

Europa armata: la politica della difesa e export di armi


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L’articolo è un contributo ripreso da un capitolo del libro "L'industria militare europea ai tempi della guerra" in via di pubblicazione per il 2025 a cura di Chiara Bonaiuti e Achille Lodovisi per Futura edizioni. Ci racconta in maniera dettagliata degli investimenti nell’industria degli armamenti dei

paesi europei. Il commercio delle armi, in tempi di crisi economica, ha comportato fatturati stratosferici in una commistione sempre più stretta tra industrie di stato e multinazionali private. A fare da garante a questi profitti il superamento di trattati internazionali e delle leggi nazionali che in passato regolavano il libero commercio degli armamenti a tutela dei civili. L’emblema è rappresentato dalla violazione del diritto internazionale da parte di Israele. Come sostengono l’autrice e l’autore dell’articolo, l’unica cosa certa è che siamo in una fase di transizione che si concluderà con una nuova configurazione del potere globale.


Introduzione

 

Pochi giorni dopo la presentazione del rapporto “Il futuro della competitività europea” di Mario Draghi, Steven Everts, direttore dell'Istituto europeo per gli studi sulla sicurezza (EUISS), scrive sul Financial Times “la politica estera dell’Unione europea è in pericolo” [1]. Secondo Everts la dinamica che guida la politica globale impone alla politica estera un sostanziale cambiamento: “l'attuale approccio dell'UE alla politica estera è stato progettato per un mondo in pace, in cui il multilateralismo era forte e le regole e le norme globali erano rispettate. Quel mondo è finito. Oggi viviamo in un'epoca di contestazione e crescente rivalità geopolitica in cui i conflitti territoriali proliferano e le istituzioni internazionali sono in crisi”. Sulla base di questa analisi, nel rapporto “10 ideas for the new team: How the EU can navigate a power political world” [2] edito insieme con Bojana Zoric, sostiene che di tutti gli ambiti dell'integrazione europea, la politica estera è quella che più incide sulla sovranità dei singoli stati. Difatti la difesa è integrata all'interno della NATO visto che riunisce quasi tutti gli stati membri dell'UE. Malgrado ciò, nelle conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2024 si è ricordato che il piano “Strategic Compass” del 2022 [3] oltre a porre lo strumento militare accanto a quello diplomatico, colloca la difesa comune a livello nazionale perché bisogna tenere conto degli interessi di tutti gli Stati membri in materia di sicurezza e di difesa. [4]

 

Sulla difesa l’ottimismo espresso da Steven Everts viene sconfessato dall’emergere di un nazionalismo sempre più aggressivo in Europa. Piuttosto le guerre in Ucraina e a Gaza hanno messo in crisi la capacità dell’Europa di affermare una propria autonomia strategica, di esercitare il ruolo di mediazione dei conflitti come prescrive l’articolo 42 del Trattato di Lisbona: i mezzi civili e militari devono essere usati al suo esterno per garantire la difesa della pace e la prevenzione dei conflitti [5]. Tuttavia, in un contesto di instabilità politica ed economica, del documento di Mario Draghi [6] viene contestata la proposta di ricorrere al debito comune europeo, ma si approva la parte che suggerisce un rafforzamento della capacità industriale per la difesa. L’Europa deve, quindi, fare grandi investimenti industriali, arricchendo di fatto solo il fatturato e il potere delle multinazionali di armi, ancora prima di aver eliminato alcune profonde contraddizioni: i doppioni dei vari sistemi d’arma, la mancanza di una loro standardizzazione e interoperabilità, l’integrazione con le diverse forze militari per essere in grado di condurre operazioni di successo.

 

Di fatto, benché la svolta militare dell'UE sia iniziata prima della guerra in Ucraina con la creazione del Fondo Europeo della Difesa nel 2017, il ruolo dell’Europa viene ancora deciso dagli Stati Uniti. Agli USA interessa mantenere la propria egemonia su una Europa possibilmente divisa, e spingere per l’aumento delle spese militari per comprare armi e munizioni statunitensi. In questo scenario le attività di lobbying dell’industria della difesa sono servite ad accelerare la svolta militarista dell’Europa. Da questo punto di vista l’intervento del Centro di Interoperabilità dell’Esercito Europeo è chiaro: “L'industria costituisce indiscutibilmente una parte fondamentale nella sicurezza e nella difesa europea. Pertanto, è fondamentale che le istituzioni dell'UE includano i appresentanti dell'industria in qualsiasi dialogo sulle iniziative comuni in questo senso”[7]. Ed è proprio su questo piano che la Commissione europea ha accolto, con l’obiettivo di aumentare  la competitività globale del settore e in definitiva le esportazioni sui mercati, i rappresentanti dell'industria bellica come partner nell'elaborazione delle politiche militari e di sicurezza.


 

Rafforzare il mercato europeo interno e internazionale

 

Il 5 marzo 2024 la Commissione europea presenta la prima strategia industriale europea della difesa “European Defence Industrial Strategy” (EDIS), con lo scopo di potenziare la capacità industriale europea nel campo degli armamenti rafforzando il mercato interno [8]. Secondo EDIS, tra febbraio 2022 e giugno 2023, il 78% dei 240 miliardi di euro di acquisizioni per la difesa è stato effettuato al di fuori dell'UE, e la maggior parte di queste acquisizioni (63%) è consistito in prodotti standard provenienti da scorte industriali esistenti. Il Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) sottolinea che gli Stati europei hanno quasi raddoppiato le loro importazioni di armi (+94%) tra il 2019 e il 2023 rispetto al periodo 2014-2018, e che circa il 55% delle importazioni di armi è stato fornito dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, l’Europa è responsabile di circa un terzo delle esportazioni globali di armi, compresi grandi volumi diretti al di fuori della regione.

 

Per risolvere il dilemma di una Europa seconda solo agli Stati Uniti per investimenti militari, che spende poco e male perché incapace di accrescere l’aggregazione della domanda per asset di difesa tra gruppi di Stati membri (Draghi), la Commissione propone obiettivi e interventi finanziari:

  • aumentare il valore del commercio intra-UE degli armamenti;

  • predisporre nuovi programmi comuni (portandoli al 40% della spesa per la difesa complessiva) e acquisti congiunti (al 50% entro il 2023 e al 60% entro il 2035);

  • sostenere la ricerca nell’ambito del Fondo europeo per la difesa (intelligenza artificiale, ecc.);

  • risolvere i problemi inerenti alle catene di approvvigionamento attraverso l’aumento di appalti congiunti (reperimento materie prime, semiconduttori, chip, sviluppo di tecnologie a duplice uso);

  • spendere almeno il 50% del bilancio in prodotti fabbricati in Europa e commerciare almeno il 35% dei beni tra paesi della UE.

 

Non è certo che gli Stati membri della UE siano pronti a cedere porzioni della loro sovranità nazionale. EDIS è solo l’ultima iniziativa sviluppata nel settore della difesa. Nel 1996 vi è stata la costituzione dell'Organizzazione Congiunta per la Cooperazione in materia di Armamenti (OCCAR), nel 2004 è stata creata l'Agenzia europea per la difesa, nel 2017 si è deciso il finanziamento di un Fondo europeo della difesa. A questi provvedimenti si aggiunga che ogni governo nazionale agisce da supporto all'esportazione militare accanto alle proprie industrie, e nel contempo, a riprova delle diverse visioni d’Europa, si sottolinea la posizione dei Paesi dell’Europa orientale che privilegiano il supporto e la presenza americana sul proprio territorio. Vi sono poi scelte che hanno segnato divisioni sia industriali sia politiche. È illuminante il commento Ethan B. Kapstein, professore dell’Institut européen d'administration des affaires, che aveva definito il programma F-35 il cavallo di Troia del mercato europeo. Un programma che ha raggiunto almeno due obiettivi: aumentare le quote di mercato degli Stati Uniti nel mercato europeo della difesa aerospaziale nonché rompere la fortunata cooperazione industriale europea iniziata con i velivoli Tornado e Eurofighter Typhoon. I primi paesi che hanno aderito al programma f-35 sono stati Regno Unito nel 1995 e Italia nel 1998. Tuttora la firma di trattati o accordi di cooperazione con paesi extra-UE è segno di alleanze e di interessi geopolitici radicati. Due esempi sono il futuro cacciabombardiere Gcap lanciato dal Regno Unito da realizzare in collaborazione con Italia e Giappone, e il trattato di difesa (il cosiddetto Trinity House Agreement) siglato tra Germania e Regno Unito finalizzato allo sviluppo di nuovi prodotti per la difesa, in particolare droni e armi a lungo raggio, e per condurre esercitazioni militari congiunte. L’esercito britannico è legato anche alla Francia attraverso i trattati di Lancaster House del 2010, modellati sull’accordo di Trinity House.

 

In teoria il significato di EDIS è sia politico che economico. La Commissione europea ha presentato la nuova strategia come una “visione per la politica industriale di difesa europea fino al 2035” pensando che fosse necessario assumere la guerra militare, in concomitanza con quella commerciale [9], come elemento da riconsiderare. La pace deve lasciare il passo alla guerra almeno per dieci anni; dunque, all’elemento politico si unisce quello economico attraverso una gestione delle risorse finanziarie (European Defence Improvement Program) [10]. EDIP è il futuro della difesa: senza ulteriori studi, la Commissione europea ha fatto proprie le analisi e soluzioni propugnate complesso militare-industriale [11]. Un cambiamento di paradigma nella difesa europea, imposto autoritariamente agli europei, attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica con una propaganda bellicista che presenta la guerra come unica soluzione possibile alle crisi fra Stati e agli squilibri macroeconomici mondiali. La differenza con i rappresentanti industriali dell’industria bellica consiste nella maggiore responsabilità politica della Commissione Europea in quanto rappresentante di tutti gli europei. Persino la sottolineatura che la NATO rimane “il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri” illude la cittadinanza circa l’urgenza di un doppio livello per “proteggere la sicurezza dei suoi cittadini, l'integrità del suo territorio e delle sue risorse o infrastrutture critiche, nonché i suoi valori e processi democratici fondamentali” [12].  Peraltro, ciò che non viene rivelato è che il processo di pianificazione della difesa della NATO (NDPP), e il processo di sviluppo delle capacità dell’Unione europea (EDA,) non sono del tutto sincronizzati tra loro e quindi in grado di assicurare coerenza e complementarità ai rispettivi processi di pianificazione. La cooperazione tanto declamata UE-NATO non ha facilitato una coerenza nella produzione, né ha diminuito il livello di frammentazione e duplicazione industriale e produttiva. Chi invece si è mostrato autenticamente capace di difendere i propri interessi, basti guardare l’aumento dei fatturati aziendali, è l’Associazione europea delle industrie aerospaziali, della sicurezza e della difesa che scrive: “L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia segna un cambio di paradigma nella sicurezza europea, minacciando l'ordine internazionale basato sulle regole e riportando la guerra su larga scala nel continente. Di conseguenza, l'Europa deve urgentemente rafforzare la sua capacità di difendere i suoi cittadini e i suoi valori. La base tecnologica e industriale di difesa europea è fondamentale per sviluppare, produrre e supportare l'equipaggiamento che sostiene questa capacità” [13].


 

Esportazione, importazione e controlli sul commercio delle armi

 

Obiettivo della difesa europea è consolidare la domanda e migliorare l’offerta nel mercato a favore delle sue imprese. La loro competitività si misura in campo internazionale e conferma il peso delle esportazioni sul fatturato. Tuttavia, mettere in relazione diretta competitività ed esportazioni per consolidare la domanda e migliorare l’offerta nel mercato, significa aumentare le spese militari. In una Europa avviata verso una forte militarizzazione, il tema dell’esportazione dei materiali d'armamento diviene strumento importante da rivedere. Secondo EDIS la mancanza di prevedibilità del volume della domanda, impedisce ai fornitori europei di realizzare economie di scala costringendoli a fare affidamento sulle esportazioni per rimanere redditizi. Altri, tra i quali il governo italiano, colpevolizzano le limitate opportunità di esportazione causate dalla frammentazione delle norme UE che porta a ridurre le quantità, e quindi all’aumento dei costi unitari. Per tutti il risultato è la compromissione dell’integrazione del mercato delle armi. 

 

 Lo stato attuale dell'industria della difesa:


Secondo i dati dell’Associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa (ASD) [13], nel 2023 l’industria europea della difesa ha generato un fatturato di 158,8 miliardi di euro (+16,9%  rispetto al 2022). Crescita dovuta ai settori aeronautica militare, navale e terrestre, con tassi di crescita rispettivamente del 15,8%, 17,7% e 17,7%

 

Nel report pubblicato a novembre 2023, si sottolinea che l’aumento del fatturato è diretta conseguenza del sostegno all’Ucraina e alla decisione di rafforzare la base industriale. Di seguito si riportano i dati relativi alle esportazioni militari ASD (la differenza nel calcolo totale dipende dalla rappresentanza in ASD dei paesi europei/non europei):


Nel 2023 il settore dell’aeronautica militare europea ha registrato un fatturato di 64,8 miliardi di euro, pari al 40% del fatturato totale del settore difesa ASD. L'occupazione in questo settore è rimasta stabile a 217.000 posti di lavoro di cui circa 17.700 ne sono stati aggiunti nel 2023.

Il fatturato nel settore terrestre (56,2MLD pari al 35% del totale) e navale (37,9MLD pari al 24%) è stato di 94 miliardi di euro, con una crescita del 17,7% rispetto all'anno precedente. Impiega 364.000 lavoratori con un aumento dell'8,9% rispetto al 2022 e rappresenta il 63% del totale dell’industria della difesa.  

 

 

  

  • Le esportazioni dell’aerospazio e difesa (civile + militare) sono aumentate del 12,1% su base annua raggiungendo 164,2 miliardi di euro nel 2023.

  • L’aeronautica civile rappresenta il 65% del totale delle esportazioni. Il settore della difesa e dello spazio il restante 35%. Le esportazioni all'interno del settore civile hanno registrato una crescita del 11,7% nel 2023, per un totale di 106,9 miliardi di euro.

  • Le esportazioni militari hanno raggiunto il 57,4 miliardi di euro, in crescita del 12,6%.  


Il rapporto sul commercio di armamenti nel mondo, realizzato dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), oltre che quantificare la percentuale delle importazioni di armi europee, elenca i principali paesi importatori di armi nel periodo tra il 2019 e il 2023.  

Al primo posto si trova l’India (9,8% delle importazioni mondiali), a seguire l’Arabia Saudita (8,4%), il Qatar (7,6%), l’Ucraina (4,9%) e il Pakistan (4,3%).

La Francia supera la Russia e diventa il secondo Paese esportatrice di armi nel mondo dopo gli Stati Uniti che hanno consegnato armi in 107 Paesi (+17%), una cifra record. In totale Stati Uniti ed Europa occidentale rappresentano il 72% del totale delle esportazioni di armi nell’ultimo quinquennio. I primi maggiori cinque Paesi esportatori sono, nell’ordine, Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Germania. L’Italia è al sesto posto con un aumento dell’86%.  

 

Nella tabella sottostante si riporta sia l’elenco dei paesi esportatori sia la percentuale dell’aumento. Notevole il risultato della Polonia che, pur essendo al quattordicesimo posto, registra un +1.138%. Decisamente importante è la possibilità immediata di verificare i relativi paesi importatori. Per l’Italia il primo paese importatore è il Qatar con un 27% sul totale delle esportazioni italiane, quindi segue l’Egitto con il 21% e infine il Kuwait con il 13%.

 

I 25 maggiori esportatori di armi importanti e i loro principali destinatari, 2019-23 Le percentuali inferiori a 10 vengono arrotondate alla prima cifra decimale; le percentuali superiori a 10 vengono arrotondate ai numeri interi.




Notevole il lavoro svolto allo scopo di prevedere le tendenze future nei trasferimenti di armi attraverso i dati sugli ordini e le negoziazioni finali degli ordini. Scrive il Sipri: “I dati sugli aerei da combattimento e sulle principali navi da guerra, che hanno un valore militare notevolmente elevato, sono particolarmente indicativi. Come mostra la tabella seguente, gli Stati Uniti continueranno a essere di gran lunga il maggiore esportatore di armi importanti oltre il 2023. Ciò che riserva il futuro per gli altri principali fornitori è meno certo, ma la Francia, che è diventata il secondo maggiore esportatore di armi al mondo nel 2019-23, ha anche un numero relativamente elevato di consegne in sospeso di aerei da combattimento e principali navi da guerra rispetto alla maggior parte degli altri fornitori” [14].


 

Guerra e crisi delle regole dei conflitti armati

 

In un saggio pubblicato nella rivista Costituzionalismo.it, il professore ordinario di Diritto costituzionale Gaetano Azzariti, ha scritto, a proposito della cessione di materiali d'armamento alle autorità governative dell'Ucraina, che “I popoli e le legittime istituzioni ucraine che, in questo momento, combattono contro l’invasore hanno il diritto di difendersi anche “in armi”, esercitando quel “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva” previsto all’articolo 51 della Carta Onu. Ai popoli e agli Stati non in guerra spetta un altro compito: quello di far cessare le ostilità, “porre fine al conflitto”, non invece alimentarlo”. [15]

 

Il 28 febbraio 2022, quattro giorni dopo l’invasione da parte delle forze armate della Federazione russa del territorio dell’Ucraina, l’Unione europea decide di utilizzare il Fondo europeo per la pace (EPF) per supportare militarmente l’Ucraina. Il Fondo in realtà era stato creato nel 2021 per “consolidare la capacità dell'UE di prevenire i conflitti, costruire e preservare la pace nonché rafforzare la sicurezza e la stabilità internazionali”. Dal sito del Consiglio europeo si rileva che “tenuto conto del sostegno militare fornito dagli Stati membri dell'UE, si stima che il sostegno globale dell'UE all'esercito ucraino ammonti a 45,5 miliardi di EUR”. [16] Nel documento “Military assistance to Ukraine since the Russian” pubblicato a novembre dalla The House of Commons Library con sede nel UK Parliament, si riporta che l’Unione europea fornisce armi letali e non letali oltre che l’addestramento. Si sottolinea anche che per la prima volta nella sua storia l’UE ha approvato la fornitura di armi letali a un paese terzo e impegnato 11,1 miliardi di euro di finanziamenti EPF per il supporto militare all'Ucraina. Con l’aiuto fornito dai singoli Stati membri il sostegno complessivo della UE all'Ucraina è salito a 43,5 miliardi di euro. [17] Rispetto all’aiuto fornito dal governo italiano, il documento riporta le indicazioni di analisti che hanno stimato una cifra di circa 1 miliardo. La premier Meloni si è poi impegnata di aumentare il sostegno militare a Kiev nel 2025 e a fornire armi per un valore di 1,8 miliardi di dollari. Fra le armi letali, l’Italia ha fornito missili anticarro, missili terra-aria, mitragliatrici, munizioni, sistemi anti-IED, veicoli blindati, artiglieria semovente, il sistema di difesa aerea SAMPT. Al documento “Military assistance to Ukraine since the Russian” viene allegata copia di un accordo firmato dai premier Meloni e Zelenskyy per la cooperazione decennale in materia di sicurezza siglato con l’Ucraina a febbraio 2024 [18].

 


Israele, le violazioni del diritto internazionale e delle leggi sull’esportazione di armi

 

Dopo circa 14 mesi dall’inizio di una guerra umanamente devastante, sono giunte dall’Aja, dalla Corte Penale Internazionale (CPI) e dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), le prime condanne nei confronti dei responsabili accertati, in particolare chiamando in causa Israele. In un rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite presentato l’8 novembre 2024, si afferma che il 70% dei morti nella Striscia di Gaza tra novembre 2023 e aprile 2024 sono donne e bambini. Il 18 settembre 2024 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta una nuova risoluzione che chiede a Israele di "porre fine senza indugio alla sua presenza illegale nel Territorio palestinese occupato". La stessa risoluzione invita gli Stati a cessare la "fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e attrezzature correlate a Israele in tutti i casi in cui vi siano ragionevoli motivi per sospettare che possano essere utilizzate nel Territorio palestinese occupato". Sulla base delle Convenzioni di Ginevra, in cui gli Stati si sono impegnati a rispettare e garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario (DIU), e degli accordi regionali e internazionali sulla regolamentazione dei trasferimenti di armi, in Europa si sono intensificati appelli per un embargo sulla vendita di armi a Israele. Continuare a inviare armi vuol dire essere complici di potenziali crimini di guerra o contro l'umanità a Gaza [19].   

 

Sempre secondo il SIPRI, tra il 2019 e il 2023 gli Stati Uniti hanno inviato armi per oltre due terzi (69 per cento) di tutte le armi vendute a Israele dall'estero, la Germania è la seconda fornitrice con il 30 per cento (il governo tedesco ha approvato 326,5 milioni di euro in armi a Israele nel 2023 e ha approvato solo 14,5 milioni di euro tra gennaio e metà agosto 2024), mentre l'Italia è terza con lo 0,9 per cento. Lo scorso anno le vendite di armi europee a Israele hanno raggiunto un valore di 326,5 milioni di euro, una percentuale 10 volte superiore rispetto al 2022. La maggior parte delle licenze di esportazione sono state concesse dopo gli attacchi del 7 ottobre. Tuttavia, sia il governo tedesco sia quello italiano, hanno dichiarato il falso. Nel mese di ottobre il governo tedesco aveva dichiarato di aver approvato esportazioni di armi verso Israele per un valore di 45 milioni di euro per l'intero anno fino al 13 ottobre, mentre nuovi dati mostrano che ha approvato esportazioni per un valore di 94 milioni di euro solo da agosto. [20]

 

Secondo la Campaign Against Arms Trade (CAAT), un gruppo di pressione con sede nel Regno Unito, le esportazioni e le licenze di beni militari dall'Italia a Israele hanno raggiunto un valore di 17 milioni di euro nel 2022. Tra ottobre e dicembre 2023 sono state approvate esportazioni per circa 2,1 milioni di euro, nonostante le rassicurazioni del governo secondo cui le avrebbe bloccate in base alla legge 185/90 che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra o ritenuti in violazione dei diritti umani. L’azienda Leonardo, in una nota inviata a Altreconomia, dichiara che l'Italia ha ufficialmente continuato a esportare materiale d'armamento a Israele: “per l’anno 2024 è previsto un valore complessivo di circa 7 milioni di euro per le attività di supporto logistico per la flotta di velivoli da addestramento M-346” [21].

 

Nell’altro fronte il Ministero della Difesa israeliano si vanta di aver esportato armi durante la guerra: solo nel 2023 le esportazioni israeliane di prodotti per la difesa hanno raggiunto la cifra di 13 miliardi di dollari. Le esportazioni sono state destinate all'Asia e alla regione del Pacifico (48%), all'Europa (35%), al Nord America (9%), all'America Latina (4%), ai paesi firmatari degli Accordi di Abramo (3%) e all'Africa (1%). I sistemi di difesa aerea hanno costituito il 36% di tali esportazioni, seguiti dai sistemi radar e di guerra elettronica (11%), dalle attrezzature di fuoco e di lancio (11%) e dai droni e dall'avionica (9%). Nel settembre 2023, poco prima dell'inizio della guerra, la Germania ha stipulato un accordo da 3,5 miliardi di dollari con Israele per acquistare il sofisticato sistema di difesa missilistica Arrow 3 che intercetta missili balistici a lungo raggio. È stato il più grande accordo di difesa mai stipulato da Israele che ha avuto l’approvazione degli Stati Uniti perché il sistema è stato sviluppato congiuntamente [22]. Per quanto riguarda l’Italia, dalla Relazione rilasciata annualmente dal Governo si evince che le importazioni definitive di materiale militare da Israele hanno raggiunto un valore di 31 milioni nel 2023, in netto aumento rispetto ai 9 milioni dell’anno precedente. Per i primi due trimestri del 2024 l’Istat ha calcolato un valore dell’import di poco superiore ai 16 milioni [23].

 

A fronte della crescente domanda globale, Israele ha deciso di allentare le regole sull'esportazione di armi, comprese quelle che hanno dimostrato la loro efficacia nelle guerre a Gaza e in Libano: "Stimiamo che ci sarà una forte domanda di armi israeliane nei prossimi anni, sicuramente per sistemi di difesa spaziale e aerea, veicoli aerei senza pilota, droni e altro, che hanno dimostrato le loro prestazioni durante la guerra, e dovremo consentire alle industrie di esaurire le opportunità di esportarli", ha affermato il capo del DECA, Racheli Chen. Una iniziativa, guidata dalla Defense Export Controls Agency (DECA), che riguarda la riduzione delle restrizioni governative sulle attività di marketing delle aziende del settore della difesa nei mercati internazionali [24].

Naturalmente Israele nega tutte le accuse di violazione del diritto internazionale, piuttosto rilancia denunciando di ipocrisia le ONG e gli Stati che chiedono l’embargo di armi nei suoi confronti [25].

 


Norme dell’UE in materia di controllo delle esportazioni di armi 


Una delle criticità delle norme europee in materia di controllo delle esportazioni di armi consiste nel farle rimanere di competenza nazionale, come prevede l'articolo 346 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea [26]. Tale disposizione vale anche per l'unico accordo regionale, la posizione comune 2008/944/PESC [27], che, sebbene sia uno strumento giuridicamente vincolante che ha introdotto i fondamenti di un approccio comune al controllo delle esportazioni di armi convenzionali, manca tuttavia di un sistema unificato che ne accerti il rispetto dei criteri: l’attuazione della disposizione è, infatti, rimessa ad ogni singolo Stato membro. Altra criticità è l’assenza di un meccanismo sanzionatorio. Dopodiché, nell’ottica di accrescere la trasparenza, ciascuno Stato membro che esporta tecnologia o attrezzature deve pubblicare una relazione sulle sue esportazioni in conformità con la propria legislazione nazionale. Inoltre, devono anche fornire informazioni ai fini delle relazioni annuali dell'UE sulle esportazioni di armi.  Queste relazioni conterranno i dati forniti dagli Stati membri sul valore finanziario delle licenze di esportazione di armi autorizzate e sulle esportazioni di armi effettive, ripartite per destinazione e categorie dell'elenco di attrezzature militari dell'UE. Inoltre, devono essere riportate le informazioni sulle licenze rifiutate e sui criteri che hanno portato a tale rifiuto. Nell’aprile del 2013, grazie alle pressioni delle organizzazioni non governative e dell’opinione pubblica mondiale, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (AG) ha adottato, tramite voto, il Trattato internazionale sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty, ATT). Entrato in vigore nel dicembre 2014, lo scopo del Trattato è quello di rendere più stringente e trasparente la regolamentazione del commercio internazionale di armi, anche per prevenire ed eliminare il commercio illegale [28]. Questa normativa chiede ai paesi esportatori di effettuare una valutazione dei rischi prima di procedere all’esportazione di armi come quello di violazione dei diritti umani nel paese di destinazione, o il possibile impatto negativo sulla stabilità interna e regionale. Ancora una volta, voce inascoltata, si scrive che “il trattato può così impedire che le armi arrivino nelle mani sbagliate, riducendo la sofferenza umana e contribuendo alla pace, alla sicurezza e alla stabilità internazionali”. Poi si aggiunge, di nuovo, che i paesi devono presentare annualmente una relazione relativa alle esportazioni e importazioni di armi per migliorare la trasparenza. In entrambi i testi si possono evidenziare due aspetti: il Trattato non impone un divieto assoluto di trasferimento, ma una mera valutazione del rischio, infine si conferma la mancanza di un controllo centralizzato che permetterebbe l’applicazione uniforme dei criteri. Forse perché affidarlo ai singoli Stati significa poter eludere responsabilità in mancanza di sanzioni. Nel Trattato non sono inclusi i prodotti “a duplice uso” (ovvero quelli destinati ad uso civile ma che possono essere impiegati anche in attività di tipo militare), viceversa disciplinati a livello europeo dal regolamento (CE) 428/2009 che istituisce un sistema uniforme per l’esportazione di tali beni. [29] 

 

Nell’agosto 2023, alcuni ministri del governo italiano si fanno portavoce delle richieste dell’industria bellica nazionale presentando un disegno di legge per la modifica della legge 185/90 sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. Il disegno di legge è già stato approvato il 21 febbraio 2024 al Senato. In sostanza il provvedimento chiede l’accentramento di tutte le decisioni riguardanti lo scambio di materiali di armamento presso il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), ovvero: il compito di applicare i divieti che non derivino da obblighi internazionali; modificare il contenuto e la tempistica della relazione annuale; semplificare il procedimento per i trasferimenti di materiali nell’Unione europea; ampliare il termine per la presentazione della documentazione inerente i trasferimenti; chiarire che gli obblighi di comunicazione delle transazioni bancarie incombano sulle banche e sugli intermediari finanziari; eliminare dalla relazione il capitolo sull'attività degli istituti di credito. [30] Modifiche caldeggiate da lungo tempo dai vari presidenti dell'Aiad (Federazione Aziende Italiane per l'Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza). L’attuale presidente, Giuseppe Cossiga, successore del ministro della difesa Guido Crosetto, dopo aver elencato tutti i meriti dell’industria della difesa, sottolinea che l’esportazione degli armamenti è una scelta di politica estera del governo, quindi, solo il governo può decidere i tempi e le modalità riguardanti le esportazioni.

 

In un rapporto stilato da grandi aziende del settore della difesa europea, centri studi e da un gruppo di esperti della Commissione europea sulle politiche e i programmi rilevanti per la difesa dell’UE, si accusa i governi di non sostenere finanziariamente i progetti in una prospettiva a lungo termine. In sostanza le aziende chiedono che non siano finanziate solo le fasi di ricerca e sviluppo, ma anche “una percentuale maggiore di progetti nelle fasi più avanzate (prototipo e/o piena capacità operativa)” [31]. Risulta evidente la commistione fra industria e rappresentanti della Commissione europea per forzare i governi nazionali al cofinanziamento di progetti. Ai rappresentanti dell’industria interessa non solo un mercato europeo sempre più fiorente grazie alle guerre, ma ancora di più la libertà di esportare su quello internazionale, consapevoli che è aumentata anche per loro una concorrenza. Uniti per chiedere finanziamenti, agguerriti competitori quando si tratta di vincere gare d’appalto e commesse: lo si è visto nella competizione fra Embraer, Airbus Defense e Lockheed Martin per assicurarsi gli appalti dell’aviazione indiana; oppure per il contratto di US Navy per la quinta e la sesta fregata del programma “Constellation” poi vinto da Fincantieri Marinette Marine (FMM); o ancora, può accadere che un’azienda come Lockheed Martin si ritiri dalla competizione per i nuovi aerei cisterna della Us Air Force, abbandonando il partner Airbus  per far vincere il KC-46 di Boeing.

 

Nel documento di Mediobanca “The Defense Era: capital and innovation in the current geopolitical cycle”, dopo l’affermazione che la difesa è un bene pubblico in quanto ha un ritorno egualitario per tutti (dimenticando che per aumentare le spese militari si drena denaro pubblico impoverendo chi è escluso dalla distribuzione di privilegi corporativi), si stila una classifica dell’industria europea per giro d’affari: al primo posto c’è la britannica Bae Systems (€25,8mld) e a seguire Airbus (€11,8mld),  Leonardo (€11,5mld), Thales (€10,1mld) e Rheinmetall (€5,1mld) e Fincantieri (€2,0mld) che si trova al 13esimo posto. Nella classifica mondiale le prime cinque posizioni sono occupate dai colossi statunitensi. Da soli concentrano oltre la metà del giro d’affari generato dal core business Difesa: Lockheed Martin (€55,0mld nel 2023), RTX (€36,8mld), Boeing (€31,0mld), Northrop Grumman (€30,6mld) e General Dynamics (€26,8mld). In questa classifica Leonardo è al nono posto e Fincantieri è in 31esima posizione[32].                                                                                        

 

Questa classifica manca di rilevare il peso dei colossi del web negli affari militari. Che il loro potere non possa essere ignorato viene rilevato dalla multinazionale italiana Leonardo che li giudica ed elenca come grandi e nuovi competitor “non convenzionali”: Amazon, IBM, Google, Microsoft e Spacex. Con loro l’a.d. Roberto Cingolani punta a creare alleanze: “Unire le forze è l’unico modo per sostenere la sfida con i colossi nati dall’idea e dai mezzi di uomini-Stato come Elon Musk, Jeff Bezos e Bill Gates che, individualmente, hanno ricchezze superiori al Pil della Grecia” [33].

 

È opportuno ricordare che l’azionariato di gran parte dei colossi europei è in mano a gruppi finanziari statunitensi. La rivista Valori riporta come “tra gli azionisti ci sono nomi che suonano molto familiari. Cioè BlackRock, Vanguard, Fidelity Investments, Wellington Management e Capital Group, i più grandi fondi d’investimento statunitensi, che comprano indistintamente quote delle aziende belliche del Vecchio Continente e delle loro concorrenti d’oltreoceano” [34]. Dal bilancio presentato da Leonardo sappiamo che il 50,3% dell’azionariato è in mano a investitori istituzionali di cui il 57% è del Nord America. È notizia di qualche mese fa che il governo Meloni ha autorizzato BlackRock a superare la soglia del 3% in Leonardo, facendo del fondo americano l’unico azionista privato con tale quota [35].

 


Conclusioni

 

In una situazione che riflette il ritorno delle grandi potenze che competono per l’influenza sulla scena globale, ci si aspetterebbe una Europa capace di porsi come spazio alternativo alle tensioni maturate fra Russia e Stati Uniti. L’instabilità mondiale sta mettendo a rischio la tenuta degli Stati. Più crisi si sono combinate innescando conflitti sociali e militari: dalle crisi economico-finanziarie alle crisi del diritto e dei diritti, dai trattati sul disarmo alla rottura del vecchio ordine mondiale.

Si è entrati in una fase di transizione che si concluderà con una nuova configurazione del potere globale. In questo caos l’Europa si è arroccata attorno agli Stati Uniti e alla Nato accettando la soluzione di un cieco riarmo accelerato, allontanando la possibilità di sostenere una propria strategia.  L’arcimiliardario transumanista Elon Musk, fondatore di SpaceX e cofondatore di Neuralink e OpenAI, amministratore delegato della multinazionale automobilistica Tesla e proprietario di X (Twitter), capo del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge) e consigliere del presidente eletto Donald Trump, ha definito così tutti quei paesi europei che si sono accodati alla produzione del caccia statunitense F-35 dai costi stratosferici: “Nel frattempo, alcuni idioti stanno ancora costruendo jet da combattimento con equipaggio come l’F-35” [36]. Un giudizio che può valere anche per chi sostiene che bisogna prepararsi alla guerra.

 



Note

 

[1] Pierre Haski, L’impossibile politica estera comune dell’Europa, Internazionale.it, 13.09.2024. [https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2024/09/13/politica-estera-unione-europa]

[2] Everts S., Bojan Z. The ideas for the new team. How the Eu can navigate a power political world, Euss European Union Institute for Security Studies, n.185, 2024 [https://www.iss.europa.eu/sites/default/files/EUISSFiles/CP_185.pdf]

[3] Annual Progress Report on the Implementation of the Strategic Compass for Security and Defence. Report of the High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy to the Council, 2024 [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/strategic-compass/]

[4] Conclusioni adottate dal Consiglio europeoa seguito di uno scambio di opinioni con il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres in merito alla situazione geopolitica e alle principali sfide globali. [https://www.consilium.europa.eu/media/70898/euco-conclusions-2122032024-it.pdf]

[5] Articolo 42 del Trattato di Lisbona. 09/05/2008 : [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/HTML/?uri=celex%3A12008M042]

[6] Mario Draghi delivers his report on the future of European competitiveness to President von der Leyen, 09/09/2024 [https://audiovisual.ec.europa.eu/en/topnews/M-009665]

[7] Baronio F., European Defence Industry Lobbying in Brussels. Inoflash Finabel, November 2023 https://finabel.org/wp-content/uploads/2023/11/IF-PDFs-3.pdf

[9] Tria G., Se le guerre militari stanno oscurando le guerre commerciali. Il sole 24ore, 3 marzo 2024. [https://www.ilsole24ore.com/art/se-guerre-militari-stanno-oscurando-guerre-commerciali-AFJQC9tC]

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