konnektor
- Tariq Ali
- 23 giu
- Tempo di lettura: 10 min
Iran e Israele di fronte all'ordine geopolitico occidentale

L'Iran si trova di fronte alla volontà delle potenze occidentali di distruggere ogni dissenso al proprio feroce ordine economico, sociale e geopolitico, mantenuto a tutti i costi nella profonda irrazionalità e palese ingiustizia – da Gaza alle politiche migratorie alla gestione del cambiamento climatico o all'approfondimento delle disuguaglianze –.
Decenni di politica aggressiva da parte delle potenze statunitensi ed europee nella regione – che hanno lasciato un'enorme scia di sangue e una pericolosa destabilizzazione in Medio Oriente e nel sistema capitalista globale – non hanno prodotto alcun cambiamento nella postura dell'Occidente. Questo articolo è apparso su Sidecar, il blog della New Left Review, rivista bimestrale pubblicata a Madrid dall'Instituto Republica & Democracia di Podemos e da Traficantes de Sueños, ed è pubblicato con l'espressa autorizzazione del suo editore.
L'allargamento della guerra dalla Palestina all'Iran, iniziata il 13 giugno, evidenzia un'ossessione israeliana che dura da quattro decenni. Mentre l'amministrazione USA negoziava in malafede con l'Iran sul suo programma nucleare, il regime israeliano ha approfittato di una pausa nei negoziati per bombardare Teheran, assassinando scienziati di spicco, un alto militare e funzionari, alcuni dei quali partecipanti attivi ai colloqui. Dopo diverse smentite poco convincenti, Trump ha ammesso che gli Stati Uniti fossero informati in anticipo dell'attacco. Ora l'Occidente appoggia l'ultima offensiva di Israele, nonostante ciò che Tulsi Gabbard, il direttore dell'intelligence nazionale nominato dal thycoon, abbia dichiarato il 25 marzo: «La comunità dei servizi [che riunisce le attività delle diciotto agenzie di spionaggio statunitensi, tra cui la CIA e la NSA] continua a credere e a ritenere che l'Iran non stia costruendo un'arma nucleare e che il leader supremo Khamenei non abbia autorizzato il programma di armi nucleari, che ha sospeso nel 2003».
Gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica sanno perfettamente che non esistano armi nucleari. Hanno semplicemente agito come insider complici di Stati Uniti e Israele, fornendo i ritratti degli scienziati senior, uccisi nei raid. L'Iran si è tardivamente avveduto dell’insensatezza della loro presenza nel paese, redigendo un dispositivo normativo per l’espulsione. I leader non avevano nulla da guadagnare sacrificando questa parte della propria sovranità, ma si sono aggrappati alla flebile speranza, per metà pura convinzione, che – se avessero fatto ciò che volevano gli americani – avrebbero potuto ottenere la revoca delle sanzioni e una pace garantita dagli States.
Il passato in tal senso non è stato foriero di buoni consigli. Il governo eletto dell'Iran fu rovesciato nel 1953 con l'aiuto occulto di Stati Uniti e Gran Bretagna e l’opposizione laica interna fu distrutta. Quando, dopo un quarto di secolo di dittatura sostenuta dall'Occidente, la dinastia Pahlavi fu finalmente rimossa – un anno dopo la rivoluzione del 1979 – l'Occidente, di concerto con l'Arabia Saudita e il Kuwait, finanziò l'Iraq per lanciare una guerra contro l'Iran e rovesciare il nuovo regime. Otto anni, mezzo milione di morti, la maggior parte iraniani. Centinaia di missili iracheni colpirono città e obiettivi produttivi, per lo più petroliferi. Nelle battute finali, gli Stati Uniti distrussero quasi metà della marina iraniana nel Golfo e – non modo, sed etiam – abbatterono un aereo di linea civile. La leale Gran Bretagna contribuì ad insabbiare il tutto.
Da allora, la politica estera della Repubblica islamica ha sempre messo al centro la sopravvivenza del regime. Durante la guerra Iran-Iraq, i chierici non hanno esitato a comprare armi dai nemici dichiarati, compreso Israele. La solidarietà con le forze di opposizione è stata frammentaria e opportunistica, priva di una strategia antimperialista coerente, se non quella dimostrata nel ruolo solitario – ma cruciale – di difensori dei diritti dei palestinesi in una regione in cui tutti i governi arabi hanno capitolato di fronte alla potenza egemone. Il 15 giugno, poco dopo l'attacco israeliano, si è svolta a Gaza una straordinaria processione di più di cinquanta asini, guarniti e drappeggiati con mantelli di seta e raso; mentre venivano condotti per le strade, i bambini li accarezzavano con autentico affetto. Perché? «Perché – ha spiegato l'organizzatore – ci hanno aiutato più loro di tutti gli Stati arabi messi insieme».
Dopo le invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq a guida stelle e strisce, gli iraniani speravano senza dubbio che – dopo aver collaborato con Washington al rovesciamento di Saddam Hussein e del Mullah Omar – questo avrebbe dato loro un po' di respiro. Per molti versi, la "guerra al terrorismo" non è stata una circostanza sfavorevole per la Repubblica islamica. Il suo prestigio nella regione è salito insieme ai prezzi del petrolio, i suoi nemici a Baghdad e Kabul sono stati brutalmente eliminati e i gruppi sciiti che aveva sostenuto dal 1979 sono saliti al potere nel vicino Iraq. È difficile credere che né il Politbjuro di Bush (Cheney, Rumsfeld, Rice) né i consiglieri arabi non ufficiali con sede negli Stati Uniti (Kanaan Makiya, Fouad Ajmi) potessero prevedere questo esito, ma sembra che sia stato così. Il primo straniero non occidentale a visitare la Zona Verde come ospite d'onore è stato il Presidente Ahmadinejad.
Sia i nazionalisti sunniti che quelli sciiti si sono uniti per opporsi alle forze di occupazione, lanciando razzi e mortai contro l'ambasciata statunitense. È stato l'intervento dello Stato iraniano a dividere questa opposizione, facendo sì che un movimento di resistenza unito degenerasse in una guerra civile auto-distruttiva. Muqtada al-Sadr, uno dei principali leader sciiti in Iraq, era rimasto scioccato dalle atrocità di Fallujah e aveva guidato una serie di rivolte popolari contro la coalizione statunitense. Al culmine del conflitto, fu invitato a visitare l'Iran e finì per rimanervi – per esservi detenuto – nei successivi quattro anni. L’ingresso dell'ISIS sul campo di battaglia poi ha rafforzato questa alleanza tattica tra USA e Iran, con il Pentagono a fornire supporto aereo ai 60.000 militanti sciiti sul campo.
La maggior parte di queste forze era sotto il comando indiretto di Qassem Soleimani, in regolare comunicazione con il generale David Petraeus. Soleimani era uno stratega di talento, ma suscettibile alle lusinghe, soprattutto da parte del Grande Satana. È stato il principale ideologo di Teheran dopo l'11 settembre, ma la vanità ostentata con le controparti statunitensi ne ha alienato alcune, soprattutto quando ha spiegato nei dettagli come gli iraniani avessero previsto e sfruttato la maggior parte degli errori dell'America nella regione. La descrizione di Spencer Ackerman è appropriata:
«È stato abbastanza pragmatico da cooperare con Washington quando ciò si adattava agli interessi iraniani, come nel caso della distruzione del Califfato, e disposto a confrontarsi con Washington quando ciò si adattava agli interessi iraniani, come nel caso del sostegno di Soleimani a Bashar al-Assad in Siria o, prima, quando ha introdotto modifiche agli ordigni esplosivi improvvisati che hanno ucciso centinaia di soldati statunitensi e ne hanno mutilati molti altri. L'impunità di Soleimani ha fatto infuriare lo Stato di sicurezza e la destra. Il suo successo ha fatto male».
Tuttavia, mentre il potere regionale dell'Iran cresceva, le tensioni interne erano in aumento. La Rivoluzione aveva alimentato speranze disattese poi dal conflitto con l'Iraq. Anche per questo motivo, l'Iran ha adottato una posizione più dura sulla questione nucleare, affermando il proprio diritto sovrano di arricchire l'uranio e galvanizzando così la sfiancata popolazione. In politica estera, aveva e ha uno scopo difensivo perfettamente logico: il paese si trova in una posizione vulnerabile, circondato da stati atomici – India, Pakistan, Cina, Russia, Israele – e da basi statunitensi con arsenali nucleari potenziali o effettivi in Qatar, Iraq, Turchia, Uzbekistan e Afghanistan. Portaerei e sottomarini statunitensi equipaggiati di testate atomiche pattugliano le acque al largo della sua costa meridionale.
In Occidente si è completamente dimenticato che il programma nucleare fosse un'iniziativa del Sah lanciata negli anni '70 con il sostegno degli USA. Una delle società coinvolte era un feudo dello squallido Cheney – vice di Bush. Quando Khomeini è salito al potere ha bloccato il progetto ritenendolo non islamico, ha in seguito ceduto e le operazioni sono riprese. Con l'intensificarsi del programma a metà degli anni 2000, l'Iran e la sua Guida suprema hanno solo potuto constatare quanto l’Iran non si fosse spostato dal mirino di Washington. La Casa Bianca di Bush trasmetteva l'impressione che in qualsiasi momento ci sarebbe potuto essere un attacco all'Iran, diretto o per il collaudato proxy regionale, Israele – oppositore dal canto suo a chiunque ne sfidasse il monopolio nucleare in Medio Oriente –. Il governo israeliano e le sue fedeli reti mediatiche hanno descritto il leader iraniano come uno “psicopatico”, un “nuovo Hitler”. Una crisi, questa, confezionata in fretta e furia: specialità occidentale.
Gli Stati Uniti dispongono dell’atomica, così come UK, Francia ed – appunto – Israele; eppure il perseguimento da parte dell'Iran della tecnologia necessaria per il livello più elementare di autodifesa ha provocato un panico morale.
Mentre le potenze europee si affannavano a migliorare la posizione nei confronti di Washington dopo l'invasione dell'Iraq, Francia, Germania e Gran Bretagna erano ansiose di dimostrare il proprio valore costringendo Teheran ad accettare limiti severi all’attività nucleare. Il regime di Khatami capitolò immediatamente, immaginando di essere invitato a uscire dall'isolamento e dall'ostilità quasi totale. Nel dicembre 2003 l'Iran ha firmato il “Protocollo aggiuntivo” richiesto dall'UE-3 (Germania, Francia e Regno Unito), accettando una sospensione “volontaria” [sic!] del diritto all'arricchimento garantito dal Trattato di non proliferazione nucleare. Ancora, nulla di fatto: nel giro di pochi mesi, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica condannò l'Iran per non averlo ratificato, mentre Israele si vantava dell’intenzione di “distruggere Natanz”. Nell'estate del 2004, un'ampia maggioranza bipartisan del Congresso americano approvò una risoluzione per adottare «tutte le misure appropriate» per impedire il programma di armamento dell'Iran e si ipotizzò una «sorpresa di ottobre» in vista delle presidenziali di quell'anno.
All'epoca, ho sostenuto sul Guardian che «affrontare i nemici schierati contro l'Iran richiede una strategia intelligente e lungimirante, non l'attuale miscuglio di opportunismo e manovre, determinato dagli interessi immediati dei chierici». Diversi intellettuali iraniani liberali e socialisti hanno risposto da Teheran per esprimere il loro forte accordo, soprattutto con le mie conclusioni:
«L’aver spianato la strada al rovesciamento del regime baathista iracheno e di quello talebano afghano, oltre ad aver appoggiato le occupazioni statunitensi, non ha dato tregua all'Iran. Il vice segretario di Stato americano ha parlato di “aumentare la pressione”. Il Ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ha dichiarato che “Israele non accetterà che l'Iran abbia risorse nucleari. Da parte nostra, dobbiamo avere la capacità di difenderci con tutto ciò che questo comporta e va da sé che ci stiamo preparando per questa eventualità”. Hillary Clinton ha accusato l'amministrazione Bush di “minimizzare la minaccia iraniana” e ha chiesto di fare pressione su Russia e Cina per imporre sanzioni a Teheran. Chirac ha parlato di usare le armi nucleari francesi contro uno “Stato canaglia” come l'Iran. Forse si tratta semplicemente di retorica guerrafondaia, volta a spaventare Teheran e a costringerlo alla sottomissione. È improbabile che l'intimidazione abbia successo, quindi l'Occidente si imbarcherà in una nuova guerra?»
La politica estera degli Stati Uniti è stata perfettamente riassunta dalla laconica dichiarazione di Bush nel 2003: «Se non siete con noi, siete contro di noi». Gran Bretagna, Canada, Israele, Arabia Saudita ed Australia non avevano bisogno di essere convinti. Ad oggi, l'Iraq non ha riacquistato la stabilità sociale ed economica prima del “cambio di regime”: più di un milione di vittime e cinque milioni di orfani sono stati il prezzo che dopo che il governo è stato falsamente accusato di possedere armi di distruzione di massa. Le compagnie occidentali ora si appropriano, in modo più o meno irregolare, della maggior parte del petrolio iracheno.
A Gaza, poi, l'orrore continua. Bombe, morte, fame e una crudeltà che ricorda il trattamento riservato dalla Wehrmacht nazista agli Untermenschen – sottoproletari – slavi. Il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un editoriale, più duro di una qualsiasi delle testate liberali della zona euro-atlantica, attaccando la patetica decisione dei leader europei di sanzionare solo i due “fascisti dichiarati” del governo di Netanyahu, chiedendo invece sanzioni complete contro Israele.
Questo è ciò che i veri sostenitori di Israele dovrebbero chiedere, invece di incoraggiarne la politica kamikaze e le campagne genocide.
Dopo il successo nel radere al suolo la Striscia di Gaza e sterminarne decine di migliaia di abitanti, il governo Netanyahu ha chiaramente ritenuto che fosse giunto il momento di espandere il conflitto ad altri obiettivi. La prima è stata la campagna dell'esercito israeliano contro Hezbollah, che ha ucciso gran parte della sua leadership e ha lasciato l'organizzazione gravemente indebolita, sottomettendo il Libano – e non c'è quindi da stupirsi se da allora i giovani libanesi salgano sui tetti delle case per applaudire i droni iraniani –. Poi è stata la volta della Siria, dove Israele ha lanciato diversi attacchi senza fingere nemmeno di essere in assetto di difesa. In collaborazione con la Turchia poi – membro della NATO – e con i resti dell'apparato baathista, ha contribuito all'installazione di un governo fantoccio sotto il comando di uno scagnozzo statunitense ben addestrato, l'ex agente di Al Qaeda Jolani.
La scena era pronta per l'assalto all'Iran.
Come sempre, i doppi standard occidentali entrano in gioco quando si tratta d’Israele. Non ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare, non ha firmato la Convenzione sulle armi biologiche o la Convenzione di Ottawa sulla proibizione della produzione, dello stoccaggio e dell'uso di mine personali. Ancora, non ha ratificato la Convenzione sulle armi chimiche e ha ignorato il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite per decenni. Un record, che ora è aggravato dai mandati di arresto emessi dalla Corte internazionale di giustizia contro Netanyahu e Gallant per crimini di guerra e crimini contro l'umanità, oltre a un'indagine in corso per genocidio...
Questo sì che è l'aspetto di uno stato canaglia.
Attualmente Iran e Israele comunicano tramite droni, F35 e missili. Sia Teheran che Tel Aviv sono state colpite. L'obiettivo israeliano dichiarato di distruggere i reattori nucleari non è stato raggiunto e il vanto di Bibi di provocare un cambiamento di regime ha avuto l'effetto opposto. Le donne senza hijab hanno manifestato per le strade scandendo «Brandite l’atomica!» Una di loro ha detto a un giornalista: «In parlamento stanno discutendo della chiusura dello Stretto di Hormuz. Non c'è bisogno di discuterne. Deve essere chiuso e basta».
Trump insiste che la guerra potrà finire solo quando Teheran si arrenderà completamente. Molti iraniani ora credono che i recenti negoziati sul nucleare non siano stati altro che una manovra diversiva. Tattiche simili per realizzare l'assassinio di Soleimani nel 2020, convincendo il primo ministro iracheno a mediare i colloqui tra Stati Uniti e Iran per attirare il generale a Baghdad.
Gli iraniani finora hanno resistito all'attacco.
È Israele il paese che ha urgente bisogno di un cambio di regime.
Note
Del medesimo autore si consiglia la lettura di Lands Conquered in NLR n. 151 e The Roads to Damascus in Red Journal. Ancora: di Eskandar Sadeghi-Boroujerdi, Iran e Israele sull'orlo del baratro in Diario Red; Controllo dei danni nella Repubblica Islamica dell'Iran e Le regole del gioco in El Salto. Di Souleiman Mourad, Hezbollah imbrigliato in Red Newspaper. Di Susan Watkins, Il Trattato di non proliferazione contro le armi nucleari in NLR n. 54.