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- Oliver Eagleton
- 1 giorno fa
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Aggiornamento: 17 ore fa
Fuori dalla cittadella del potere. Costruire il partito della sinistra nel Regno Unito: intervista ad Alex Nunns (4)

Il Partito Laburista di Starmer langue tra l’accodarsi alla nefasta politica estera statunitense, a cominciare dalla sua posizione sulla guerra in Ucraina e sul genocidio a Gaza, e la repressione di ogni dissidenza interna che metta in discussione il modello politico autoritario e basato sull’austerità che costituisce il suo orizzonte in questo momento storico.
Sono in corso i preparativi per la conferenza fondativa del nuovo partito socialista britannico, provvisoriamente denominato Your Party. Più di 800.000 persone si sono registrate come simpatizzanti della nuova formazione. Stanno già nascendo gruppi locali, sezioni e comitati informali in tutto il paese, si è sviluppato un vivace dibattito su come dovrebbero essere configurate le strutture democratiche della nuova organizzazione e su come dovrebbe essere strutturato il programma politico del partito nascente. Uno dei temi oggetto di dibattito è l’esperienza storica del corbynismo e le lezioni che si potrebbero trarne per il nuovo partito: soprattutto come recuperare la sua energia radicale, evitando al contempo che si ripeta l’amara sconfitta del 2019.
Alex Nunns è uno scrittore e attivista che ha lavorato come consulente di Jeremy Corbyn tra il 2018 e il 2020. Nelle sue pubblicazioni, Nunns ha raccontato gli alti e bassi della sinistra britannica nell’ultimo decennio, principalmente su media come «Jacobin» e «Red Pepper», oltre a curare libri, tra gli altri, di Julian Assange e Norman Finkelstein. Il suo libro The Candidate: Jeremy Corbyn’s Improbable Rise to Power (2017) è stato da più parti accolto come la narrazione definitiva dell’ascesa di Corbyn alla guida del Partito Laburista, nonché delle condizioni che l’hanno resa possibile. Nel suo prossimo libro, Sabotage: The Inside Hit Job That Brought Down Jeremy Corbyn (2026), analizza la campagna di propaganda dell’establishment che alla fine ha rovesciato il leader socialista, consentendo a Keir Starmer di riportare il partito a destra.
Nunns ha parlato con Oliver Eagleton del perché sia fondamentale comprendere a fondo il corbynismo – in particolare le ragioni strutturali e contingenti del suo declino, a partire dalla situazione di equilibrio delle forze politiche nazionali fino ai conflitti registrati all’interno dell’apparato del Partito Laburista – per sviluppare una strategia utile al nuovo partito di sinistra in fase di costituzione in questo momento nel Regno Unito.
Questa serie di interviste sulle prospettive di Your Party, pubblicate da «Sidecar» e riprodotte da «Diario Red», sarà raccolta in un libro, insieme ai contributi di altre figure chiave coinvolte nella creazione del partito, che sarà pubblicato da Verso Books prima della sua conferenza fondativa.
Questo testo è stato pubblicato su Sidecar, il blog della New Left Review, rivista bimestrale pubblicata a Madrid dall'«Istituto Repubblica & Democrazia» di Podemos e da «Traficantes de Sueños», ed è qui pubblicato conl'espresso consenso del suo editore.
Oliver Eagleton: Perché il progetto guidato da Corbyn tra il 2015 e il 2019 è rilevante per il nuovo partito di sinistra britannico?
Alex Nunns: Your Party si sta costituendo sullo sfondo del fenomeno Corbyn. Non c’è alcun dubbio che la maggior parte delle persone che si sono iscritte come sostenitori si siano formate politicamente grazie all’esperienza della leadership di Jeremy Corbyn alla guida del Partito Laburista. I più fortunati tra loro potrebbero anche aver superato questa esperienza senza disturbi da stress post-traumatico. È stato un periodo intenso e spesso sconcertante e per trarne insegnamento abbiamo bisogno di una comprensione profonda di ciò che è accaduto.
Dopo le elezioni del 2019, quando la sconfitta del Partito Laburista era ancora fresca, si potevano percepire i limiti entro i quali Jeremy e il movimento avevano agito, e le forze schiaccianti che ci avevano sconfitto erano ancora sulla scena. Da allora, parte di tutto ciò è stato dimenticato. Più recentemente, si è imposta una lettura semplicistica della storia, ovvero che la sconfitta del progetto di Corbyn sia stata, per così dire, autoinflitta dalla codardia e dalla timidezza, in particolare quella dei singoli consiglieri o dello stesso leader.
Questa linea di pensiero ha una certa ironica affinità con la visione degli anni di Corbyn presentata in resoconti giornalistici come Left Out: The Inside Story of Labour Under Corbyn (2020), di Gabriel Pogrund e Patrick Maguire, e This Land: The Story of a Movement (2020) di Owen Jones, che mettono l’accento sulle scelte politiche compiute dai vertici del Partito Laburista. Ma mentre questi libri descrivono i leader come troppo intransigenti o troppo radicali per guidare un’opposizione efficace, nell’interpretazione appena riportata ci si focalizza sempre sulle personalità chiave del partito, ma sostenendo argomenti opposti, e si accusano Corbyn e i suoi consiglieri di non essere stati abbastanza combattivi o radicali. Si afferma, cioé, che il difetto fatale del progetto di Corbyn sia stato la debolezza dei dirigenti più importanti, che hanno ceduto invece di mantenere una posizione ferma.
Questa interpretazione dei fatti distorce la storia del Partito Laburista di Corbyn. Ignora i fattori strutturali più ampi realmente in gioco e, quindi, trascura prospettive fondamentali su ciò che accade quando un partito di sinistra è sul punto di raggiungere il potere. La realtà è che Corbyn e chi lo circondava hanno trascorso cinque anni lottando con le unghie e con i denti contro avversari molto più potenti, mentre erano ostacolati da un’operazione di sabotaggio senza precedenti. Non si sono arresi; hanno perso.
Detto questo, ciò che è storicamente degno di nota non è che il corbynismo sia stato sconfitto nel 2019, ma che non lo sia stato fino ad allora. Il corbynismo è andato molto oltre le aspettative da più punti di vista. Ha reso in pratica l’austerità una parolaccia, ha costretto il governo conservatore a fare marcia indietro su politiche chiave, ha spostato il dibattito politico a sinistra, ha galvanizzato un movimento, ha trasformato il Partito Laburista nel più grande partito di sinistra d’Europa e ha dato speranza alla gente. Nelle elezioni del 2017 il Partito Laburista ha ottenuto il 40% dei voti, registrando il più grande aumento di consensi mai ottenuto da qualsiasi partito dal 1945. Ha preso 12,9 milioni di voti con un programma di sinistra, il secondo miglior risultato ottenuto dal Partito Laburista dal 1966, e ha conquistato seggi dove non vinceva da vent’anni, sottraendo ai conservatori la loro maggioranza. L’establishment vuole cancellare tutto questo. Non aiutiamoli a riscrivere la storia come un fallimento continuo. È vero che sono stati commessi errori e che ci sono state carenze, ma il nuovo partito può solo imparare da essi, se verranno analizzati adeguatamente.
Oliver Eagleton: Hai parlato di un’operazione di sabotaggio. Come ha funzionato?
Alex Nunns: Ci sono stati due momenti distinti. Il primo è durato dal 2015 al 2017 e si è concentrato sul partito. Il secondo, lanciato tra il 2017 e il 2019, ha riguardato il Paese. Per comprendere la prima ondata, occorre tenere presente che il muro dell’establishment britannico era come se attraversasse al centro il Partito Laburista. Da un lato c’erano le truppe dello Stato e del capitale, che influenzavano i rappresentanti eletti e il personale del partito; dall’altro, i socialisti e i militanti radicali, che erano stati esclusi dalle posizioni di potere per gran parte della storia del Partito Laburista. Quando Jeremy ne ha conquistato la leadership, non solo ha preso il timone di un partito democratico, ma è andato all’attacco di una delle roccaforti dell’establishment britannico. La risposta, come prevedibile, è stata feroce. I funzionari e i parlamentari laburisti hanno iniziato a minare la leadership in tutti i modi possibili. Il personale appartenente all’ala destra presente negli organi direttivi del Partito si è specializzato nell’arte dell’ostruzionismo burocratico e ha passato costantemente informazioni tossiche ai media. Nel frattempo, i deputati laburisti hanno offerto i loro servizi ai media per denunciare praticamente tutto ciò che faceva la direzione del partito, in modo che, indipendentemente dall’argomento trattato, i titoli fossero dominati dal ritornello sulla «divisione del Partito Laburista». Il gruppo parlamentare laburista era diventato ingestibile.
Questa situazione è culminata nel colpo di mano del 2016, quando i deputati laburisti hanno tentato di costringere Jeremy a lasciare comuna strategia basata su una serie di dimissioni coordinate e un voto di sfiducia. Quando lui si è rifiutato, spingendo i suoi oppositori a sfidarlo in nuove elezioni per la leadership, la burocrazia del partito ha tentato di escluderlo dalla competizione, ma i sindacati lo hanno impedito. La questione non è finita lì. Nelle elezioni del 2017, i funzionari del Partito Laburista hanno condotto una offensiva segreta, dirottando le risorse del partito verso i loro alleati che si presentavano in seggi già sicuri, contro l’ambiziosa strategia d’attacco in quelli in bilico concordata dal Comitato Elettorale ufficiale del partito. Alla fine, il risultato in questi ultimi è stato davvero combattuto e si potrebbe sostenere che, se quelle risorse fossero state assegnate alle circoscrizioni giuste, il governo conservatore avrebbe potuto essere rovesciato.
Durante questa prima ondata di sabotaggio, l’establishment britannico si era affidato principalmente ai suoi alleati all’interno del Partito Laburista per neutralizzare la leadership di Corbyn. È come se la classe dirigente britannica avesse detto: «Siete stati voi a cacciarvi in questo pasticcio, portando alla guida del Partito Laburista questo leader di sinistra; sta a voi sbarazzarvene. Vi lasciamo mano libera per portare a termine questo compito». Fortunatamente, almeno all’inizio, questo tipo di sabotaggio non si ripeterà nel nuovo partito, perché non avrà lo stesso ruolo del Partito Laburista nel sistema di potere britannico, dato che sarà completamente fuori dalla cittadella del potere.
Quando Jeremy sorprese tutti e stava per arrivare al potere nel 2017, ha rappresentato la più grande minaccia interna per l’establishment britannico a partire dalla fine della prima guerra mondiale. Così è partita la seconda ondata di sabotaggi. Jeremy era inattaccabile come leader del Partito Laburista, quindi ora era necessaria un’operazione più sofisticata che coinvolgesse più attori disposti a impedirgli di diventare primo ministro. Questo sforzo è stato portato avanti principalmente attraverso due questioni controverse e di lunga durata: la cosiddetta “crisi dell’antisemitismo del Partito Laburista” e la Brexit. Entrambe hanno approfondito le divisioni all’interno del partito e persino all’interno della sua stessa leadership, con il risultato di aumentarne ulteriormente il discredito. Sono lezioni da imparare per il nuovo partito.
Oliver Eagleton: Vale la pena esaminare più da vicino queste due controversie. Come è stata orchestrata la crisi dell’antisemitismo?
Alex Nunns: Quando Jeremy è diventato leader dell’opposizione, la Gran Bretagna aveva, per la prima volta, un potenziale primo ministro inequivocabilmente impegnato a favore dei diritti del popolo palestinese, fatto che di per sé ha mobilitato contro di lui una formidabile coalizione di sostenitori di Israele. C’è stata una campagna coordinata, che ha sfruttato le accuse di antisemitismo lanciate contro membri del Partito Laburista e contro lo stesso Jeremy per infliggere il massimo danno politico alla sua leadership. La coalizione comprendeva la destra laburista, un’intera corrente atlantista per la quale il sostegno a Israele era diventato una parte stranamente fondamentale per la propria identità, nonché il Jewish Labour Movement e i Labour Friends of Israel, gruppi associati alla suddetta destra laburista. Al di fuori del partito, la coalizione si estendeva a tutte le organizzazioni locali ebraiche filoisraeliane, come il Board of Deputies of British Jews e il Jewish Leadership Council, e anche la stampa locale di matrice ebraica; poi l’intero establishment britannico, nonché attori di livello internazionale, come lo stesso Stato di Israele, il cui primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha pubblicamente attaccato Corbyn, e gli Stati Uniti, il cui segretario di Stato, Mike Pompeo, ha detto ai leader ebrei in un incontro a New York, che Washington avrebbe fatto «tutto il possibile» per «far cadere» un eventuale governo Corbyn. Si trattava di un blocco estremamente potente. La maggior parte della campagna è passata su media complici, come la BBC e «The Guardian», attraverso una copertura acritica e sproporzionata alle accuse di antisemitismo, insieme a un’incrollabile mancanza di interesse per altre questioni politiche.
Sebbene evidentemente ci sono stati alcuni casi di membri del Partito Laburista che, in genere su Internet, hanno fatto commenti antisemiti, non c’è dubbio che, come ha poi affermato Jeremy, «la gravità del problema è stata evidentemente esagerata in modo spettacolare dai nostri avversari per ragioni puramente politiche». Morgan McSweeney, che ora è capo di gabinetto di Keir Starmer, all’epoca si dedicava a setacciare i gruppi Facebook sostenitori di Corbyn alla ricerca di commenti antisemiti di partecipanti occasionali per poi passarli al Sunday Times. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi e quelli di un’intera rete di persone che svolgevano lavori simili, solo una piccola parte è risultata oggetto di denuncia. Ma non era questo il punto. L’idea che doveva essere diffusa da chi aveva orchestrato la campagna era che la leadership del partito, la sua base e persino le idee di sinistra fossero fondamentalmente e generalmente antisemite. Il che era totalmente falso.
La storia dietro l’infame documentario di «Panorama» (BBC) Is Labour Antisemitic?, trasmesso pochi mesi prima delle elezioni generali del 2019, illustra come ha funzionato questa campagna propagandistica. Inizialmente, il personale che lavorava nell’ufficio reclami del partito, ostile alla leadership di Corbyn, era estremamente lento nel trattare anche casi evidenti di antisemitismo, come la negazione dell’Olocausto, forse perché voleva che la colpa ricadesse su Jeremy o forse perché era composto da burocrati incompetenti in modo davvero sconcertante. Alcuni esempi di questi casi sono finiti sulla stampa. I deputati laburisti chiedevano con rabbia: «Perché Corbyn non interviene?». Così si è diffusa tutta una narrativa secondo cui Jeremy non stava agendo contro l’antisemitismo.
Nella primavera del 2018 la sinistra è stata finalmente abbastanza forte da destituire il segretario generale del comitato esecutivo nazionale del partito, Iain McNicol, appartenente all’ala destra, e prima che il suo successore assumesse l’incarico, periodo che si è protratto per poche settimane, l’ufficio reclami ha deciso di rivolgersi all’ufficio del leader del partito, ovvero Corbyn, per alcuni casi. Le risposte a queste richieste suggerivano generalmente di prendere provvedimenti, ad eccezione di pochi casi che vedevano coinvolti membri ebrei antisionisti. Gli scambi di e-mail, il cui contenuto non era affatto controverso, sono stati successivamente passati ai media e hanno finito per costituire il nucleo del documentario di Panorama firmato dal giornalista John Ware, che aveva già denunciato Corbyn «di incoraggiare il disprezzo verso l’Occidente [e] connivenza con l’estremismo». Il documentario suggeriva che il personale del Partito Laburista fosse stato ostacolato nel trattare le denunce di antisemitismo a causa dell’interferenza dell’ufficio del leader.
I deputati del gruppo parlamentare ostili a Corbyn si sono allora resi conto di aver sbagliato. Invece di dire «Perché Corbyn non interviene?», il ritornello è diventato: «Come osa Corbyn interferire!». Dopo che la Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (EHRC) – un organo indipendente dello Stato, guidato da persone nominate dal governo – ha avviato un’indagine sull’antisemitismo esistente nel Partito Laburista, quelle stesse accuse sono diventate uno dei pilastri centrali del rapporto dell’EHRC. Il clamore suscitato dalla sua pubblicazione nel 2020 ha creato la falsa impressione che Jeremy fosse intervenuto per proteggere gli antisemiti. Il fatto che le prove indicassero altro è stato educatamente ignorato da tutti e il tentativo di Jeremy di respingere, perfino educatamente, la falsa idea che il Partito Laburista fosse stato infestato dall’antisemitismo gli è valso la sospensione e, alla fine, l’espulsione dal partito per mano del suo successore, Keir Starmer. Questo è tutto: una sequenza di eventi in cui diversi settori dell’establishment hanno lavorato efficacemente in modo coordinato. I burocrati del partito, insieme alla destra laburista, si sono dedicati a praticare l’ostruzionismo in modo involontario o deliberato; in questo modo sono state fornite le munizioni ai deputati della destra laburista per attaccare la leadership del partito; le accuse sono state amplificate da media ostili e alla fine sono state utilizzate come arma dallo Stato.
Oliver Eagleton: In che modo questa analisi potrebbe essere utile al nuovo partito? Cosa può imparare, anche in senso negativo, dalla risposta data da Corbyn alla campagna diffamatoria?
Alex Nunns: La campagna che ho descritto ovviamente non potrebbe ripetersi allo stesso modo nel nuovo partito. Una delle caratteristiche che l’ha resa così difficile da contrastare è stata che gran parte di essa proveniva dall’interno dello stesso Partito Laburista, vedeva coinvolti il suo personale e i suoi deputati, molti dei quali erano stati coinvolti nella più grande operazione di sabotaggio fin dal 2015. Un’altra caratteristica della campagna di diffamazione era la sua mobilitazione in favore di una politica identitaria, che allora raggiungeva il suo apice anche a sinistra, rendendo molto difficile per l’ala sinistra del partito contestare come razzismo ciò che la gente descriveva come la propria «esperienza vissuta».
Naturalmente, ciò che resta di quell’enorme coalizione di potenti forze che si sono opposte al Partito Laburista di Corbyn si mobiliterà contro Your Party, soprattutto se si avvicinerà al potere. È quindi comprensibile che alcuni chiedano a Your Party di mostrarsi fin dall’inizio reattivo e risoluto, non come si suppone abbia fatto Corbyn, accusato di aver ceduto troppo terreno. Lo ha sottolineato Zarah Sultana nella sua intervista, quando ha affermato che il corbynismo ha «ceduto» di fronte alla definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Association (IHRA). Ma Jeremy non ha capitolato: al contrario, lui e il suo team hanno resistito fino alla fine nel tentativo di opporsi all’adozione da parte del Comitato esecutivo nazionale del Partito laburista degli esempi più controversi che accompagnano la definizione dell’IHRA, alcuni dei quali sono stati utilizzati per reprimere ogni discorso filopalestinese e il diritto da parte dei palestinesi di poter parlare di come vengano depradati. Jeremy ha sopportato una situazione infernale per tutta l’estate del 2018 per aver mantenuto questa posizione; nessun altra parte del movimento laburista rappresentato nel Comitato esecutivo nazionale lo ha sostenuto. Fino all’ultimo momento, nella riunione di questo organismo tenutasi nel settembre 2018, in cui sono stati accettati tutti i casi contemplati dall’IHRA, quando Jeremy ha presentato una dichiarazione in cui sosteneva che «non dovrebbe essere considerato antisemita descrivere come razziste Israele, le sue politiche o le circostanze della sua fondazione, a causa del loro impatto discriminatorio, né dovrebbe essere considerato antisemita mostrare sostegno a un’altra soluzione per risolvere il conflitto tra Israele e Palestina» (cioè la creazione di un unico Stato). Non c’è stato un sostegno sufficiente per sottoporre questa dichiarazione al voto. Jeremy e il suo team non potevano fare nulla per cambiare questa situazione. Il Partito Laburista è un’organizzazione bizantina con molteplici centri di potere; esserne il leader non significa che si possa sempre ottenere ciò che si vuole.
Una critica più valida al corbynismo sarebbe che i settori organizzati del progetto – compresa la sua leadership e il gruppo di sinistra di propaganda Momentum – non hanno protetto a sufficienza i membri di base dalla tempesta antisemita. Mancavano meccanismi per l’interazione bidirezionale con il movimento in generale. Alcuni membri, accusati erroneamente di antisemitismo, hanno vissuto esperienze estremamente traumatiche, che hanno cambiato le loro vite. È facile dimenticare quanto fosse soffocante l’atmosfera. Tutto ciò ha demoralizzato il movimento. Anche se è ingenuo immaginare che dichiarazioni più risolute del suo leader avrebbero fermato questa campagna di diffamazione concertata, si sarebbe potuto fare uno sforzo maggiore da parte del gruppo dirigente, soprattutto all’inizio, per sottolineare come il sostegno di Jeremy ai diritti del popolo palestinese fosse la spiegazione della rabbia scatenata contro il movimento filopalestinese, che altrimenti sembrava incomprensibile. Se gli stessi eventi si verificassero oggi, questo collegamento sarebbe molto più ovvio per la gente a causa del genocidio perpetrato a Gaza. Ora siamo in un contesto diverso.
Oliver Eagleton: E la Brexit?
Alex Nunns: È interessante notare che oggi molte persone attribuiscono più importanza alla crisi dell’antisemitismo che alla Brexit, ma la prima questione non è stata la causa della sconfitta del corbynismo. Al culmine della crisi dell’antisemitismo durante l’estate del 2018, il Partito Laburista si è mantenuto intorno al 40% nelle intenzioni di voto nei sondaggi. Il crollo è avvenuto solo nel 2019, soprattutto sulla scia delle elezioni europee di maggio, quando la Brexit era diventata un buco nero politico che inghiottiva tutti gli altri temi.
La dinamica del sabotaggio in questo caso è stata diversa. Era ovvio che la Brexit avrebbe in qualche modo diviso la base del Partito Laburista, ma queste divisioni sono state deliberatamente esacerbate per danneggiare la leadership corbynista. Nelle elezioni del 2017, una stragrande maggioranza aveva votato per i partiti impegnati a rispettare il risultato del referendum per l’uscita dall’Unione Europea. Ma non ci è voluto molto prima che la campagna a favore di un secondo referendum, per revocare il primo, cominciasse a guadagnare terreno. Molti sostenitori della campagna «People’s Vote» e di gruppi affini erano sinceri e appassionati sostenitori della permanenza nell’UE, ma non c’era dubbio che le organizzazioni tendessero ad essere guidate da una sorta di compagnia teatrale blairista, che includeva figure cadute in disgrazia come Peter Mandelson e Alastair Campbell, con lo stesso Tony Blair dietro le quinte. I sostenitori della permanenza nell’Unione Europea hanno fornito a questi attori ormai finiti un nuovo pubblico e una nuova opportunità. È probabile che questo blocco si sia opposto alla Brexit dei conservatori, ma non bisogna dimenticare che il vero obiettivo della loro campagna era il Partito Laburista di Corbyn: vedevano l’opportunità di aprire una frattura tra una leadership consapevole che la maggioranza delle circoscrizioni laburiste aveva votato a favore dell’uscita, e gli appartenenti al partito, che volevano in maggioranza rimanere nell’Unione Europea. Gran parte dello stesso gruppo di deputati laburisti sabotatori, che pochi anni prima aveva cercato di annullare la scelta del leader del partito da parte dei suoi membri, era ora allineato con questi ultimi su una questione che poteva essere utilizzata per minare la leadership del Partito Laburista.
Questa campagna si è diffusa a macchia d’olio all’interno del gruppo parlamentare laburista. Basta vedere gli emendamenti presentati in Parlamento. Un piccolo ma significativo esempio, avvenuto nel novembre 2017, è stato quello presentato al disegno di legge sulle dogane per mantenere il Regno Unito nel mercato unico e nell’unione doganale europea, votato da una grande quantità di deputati laburisti di destra. L’emendamento evidenziava una «assoluta ignoranza» dal punto di vista economico, secondo il segretario al Commercio del Partito Laburista, Barry Gardiner, perché avrebbe impedito al Regno Unito di applicare dazi doganali su tutte le merci provenienti da qualsiasi parte del mondo, ma questo non aveva importanza, perché l’obiettivo era semplicemente di far sapere a giornalisti come Robert Peston, che i deputati del governo ombra laburista avevano votato vergognosamente con i conservatori e tradito la causa. A poco a poco, il numero di parlamentari coinvolti in questo tipo di operazioni è aumentato, fino a quando il contagio è arrivato a livello del gabinetto ombra. Starmer, allora segretario incaricato della Brexit da Corbyn, divenne la figura centrale dell’operazione, con interviste sui media e discorsi volti a superare costantemente e gradualmente i limiti della posizione assunta dalla leadership corbynista, cosa che avvenne in modo spettacolare alla conferenza del 2018, quando aggiunse una frase non approvata al suo discorso, annunciando che non avrebbe escluso la permanenza nell’Unione Europea come opzione in un futuro referendum. Dalle indagini giornalistiche esistenti emerge chiaramente che Starmer si stava posizionando per succedere a Jeremy e il fatto che abbia abbandonato tutte queste sue convinzioni a favore della permanenza non appena è diventato leader del Partito Laburista dà un’idea di quanto fossero sincere.
Nel 2019 la tensione aveva raggiunto anche l’ufficio del leader e la cerchia più ristretta di Jeremy. Il gruppo dirigente si era diviso e mentre alcuni dei suoi alleati più stretti, come John McDonnell, Diane Abbott e il policy director Andrew Fisher, erano più una favorevoli alla permanenza, altri come Karie Murphy, Seumas Milne, Jon Trickett e Ian Lavery dicevano che il Partito Laburista non poteva permettersi di abbandonare gli elettori che avevano espresso la loro preferenza per l’uscita dall’Unione Europea. Si trattava di un disaccordo sulla strategia elettorale: John e i suoi colleghi non erano sabotatori; sono sicuro che temevano sinceramente che il Partito Laburista avrebbe subito conseguenze elettorali catastrofiche se avesse abbandonato gli elettori favorevoli alla permanenza e i propri attivisti. Ma, dato che il loro punto di vista raccoglieva un consenso sempre maggiore, l’operazione di sabotaggio raggiunse il suo obiettivo di spingere la dirigenza a scegliere una posizione disperata che avrebbe diviso la sua coalizione. Altrettanto importante è stato il fatto che, virando verso l’opzione della permanenza, Jeremy ha smesso di apparire come un leader ribelle indipendente e autonomo, ma come un altro politicante, che difendeva lo status quo e che si schierava dalla stessa parte della maggior parte dei membri dell’establishment.
Oliver Eagleton: Secondo la tua analisi, quindi, il problema del corbynismo non è stato la debolezza interna, ma la pressione esterna. Ma le due cose sono incompatibili? Non è forse vero che, a seguito dell’operazione di sabotaggio, alcuni politici e consiglieri di Corbyn hanno finito per adottare posizioni di compromesso, soprattutto in relazione alla Brexit, che si sono rivelate strategicamente disastrose?
Alex Nunns: Bisogna analizzare la situazione tema per tema. Nel caso della Brexit non si è trattato di una debolezza dei politici e dei consiglieri vicini a Jeremy, ma dell’esistenza di una reale divisione tra loro sulla strategia da seguire. La questione non è mai stata realmente risolta: la politica sulla Brexit adottata infine dal partito nelle elezioni del 2019 è stata una soluzione di compromesso, che rifletteva l’equilibrio di forze realmente esistente al suo interno. Un fattore importante a questo proposito è che Jeremy è un vero democratico, soggetto a pressioni democratiche contrarie. Voleva rispettare il voto popolare a favore dell’uscita dall’Unione Europea, ma era anche preoccupato dal fatto che la maggioranza dei membri e degli elettori laburisti chiedesse un secondo referendum. I suoi sforzi per riflettere queste diverse richieste democratiche spiegano in una certa misura la politica finale del partito.
Oliver Eagleton: Ma non è forse corretto descrivere il fallimento della Brexit come una situazione in cui alcuni dei principali promotori del corbynismo, in momenti diversi e in misura diversa, hanno ceduto alle pressioni dell’establishment e hanno fatto concessioni che hanno compromesso il progetto? Se così fosse, allora l’argomentazione di Sultana secondo cui il nuovo partito di sinistra dovrebbe evitare gli errori del passato adottando una posizione più combattiva nei confronti dei propri nemici di classe sembrerebbe potenzialmente utile. O, in altre parole, se il corbynismo è sempre stato tormentato dalla contraddizione tra una strategia antagonista («per la maggioranza, non per la minoranza») e una più pacifista («una politica più gentile e amichevole»), la proposta che Your Party opti ora per la prima piuttosto che per la seconda potrebbe avere un effetto galvanizzante tra i suoi membri. Al contrario, la tua enfasi sull’«equilibrio di forze» come spiegazione della fine infelice del corbynismo potrebbe sembrare disfattista, dato che tale equilibrio non si è affatto spostato a nostro favore nel 2025. Una tale posizione potrebbe suggerire che non c’è nulla che possiamo fare per cambiare questa enorme contraddizione.
Alex Nunns: Non capitolare davanti ai nemici di classe è un’ottima idea. Il tuo partito dovrebbe mostrarsi ostile nei loro confronti, ma non credo che dovremmo consolarci con la falsa storia secondo cui, se Corbyn fosse stato più combattivo, le cose sarebbero andate bene. È vero che la leadership di Corbyn è stata influenzata dalla contraddizione che descrivi: cercare di praticare un populismo di sinistra e, allo stesso tempo, presiedere uno dei due partiti fondamentali del sistema politico britannico. Il corbynismo ha funzionato meglio quando è stato una forza dirompente esterna, come nel 2017, e vale la pena criticare alcune tattiche che si sono discostate da questo approccio, ma questa non è l’unica lezione che dobbiamo trarre.
Lavorare nel Partito Laburista è stato sia una benedizione che una maledizione. Per gran parte del periodo 2015-2019, la lotta per il controllo del partito ci ha costretti a combattere su due fronti, ma ha anche imposto una certa disciplina al movimento. Tutti si sono uniti per affrontare il nemico interno, la destra laburista. Il nuovo movimento, con un proprio partito, non avrà questo collante a unirlo. In più, durante gli anni di Corbyn alla guida del Partito Laburista, Downing Street sembrava quasi a portata di mano. Dirigere un «partito di governo» significava che dovevamo sviluppare un ampio programma di sinistra, che fosse condivisibile da gran parte della popolazione.
La mancanza delle oggettive restrizioni imposte dal fatto di lavorare all’interno del Partito Laburista potrebbe essere estremamente liberatoria per la sinistra nei prossimi anni, ma creerà anche una serie di problemi differenti. Non credo che ci sia un grande pericolo che il nuovo partito sia troppo conciliante o incline alla debolezza. Al contrario, è più probabile che sia suscettibile di cadere vittima di quella che potremmo chiamare “l’inflazione delle richieste”, un processo in cui di solito vincono le più radicali, il che porta a una competizione per vedere chi è più radicale, fino a quando un programma di classe efficace e attraente per le masse viene inglobato da posizioni politiche che, sebbene sincere e appassionate, dividono il nostro movimento e riducono il nostro consenso potenziale. È qui che la leadership gioca un ruolo importante. I leader possono dotarsi di una concezione strategica che definisca quale deve essere la posizione del partito per avere successo e allo stesso tempo convincere i membri a seguire tale strategia. Ma se Jeremy, Zarah o qualsiasi altra figura di spicco si lasciassero trascinare da questa spirale inflazionistica delle richieste, il partito potrebbe trovarsi coinvolto in un aspro conflitto interno prima ancora di essere fondato.
Dobbiamo mantenere alte le nostre ambizioni. Dobbiamo aspirare a sostituire il Partito Laburista e, in ultima analisi, a prendere il potere. Le crisi che stiamo affrontando, e che non faranno che intensificarsi, non richiedono nulla di meno. Dobbiamo quindi presentare un programma popolare, che ci consenta di raggiungere il potere senza rinunciare ai nostri principi. Nel 2017 il Partito Laburista di Corbyn ha ottenuto ottimi risultati con un programma di classe «per la maggioranza, non per la minoranza». Nel 2019 è stato sconfitto quando la Brexit, una questione che trascende le classi, ha diviso in due la nostra coalizione e il nostro movimento. È un esempio che non va dimenticato.
Oliver Eagleton: Il nuovo partito continuerà ad essere oggetto di feroci attacchi, se non dall’interno, sicuramente dall’esterno. Quali pensi saranno le differenze dal periodo di Corbyn?
Alex Nunns: Qualsiasi partito di sinistra che ottenga progressi significativi dovrà affrontare una reazione violenta da parte del capitale, dello Stato e dei media. Ma non si presenterà la stessa situazione dell’ultima volta. Il lato positivo è che è molto più facile affrontare attacchi puramente esterni che non comportano sabotaggi o divisioni interne. Ricordi l’affermazione del Sun, fatta nel 2018, secondo cui Jeremy era stata una spia comunista al servizio della Cecoslovacchia? Pensavano davvero che questo avrebbe decretato la sua fine. Ma la storia non proveniva dalla destra laburista, né questa ne ha approfittato più di tanto. La direzione del partito è riuscita a respingerla con semplici argomenti populisti, presentando Jeremy come un tipo duro e indipendente, vittima delle calunnie dei potenti. Naturalmente, ha aiutato anche il fatto che Jeremy fosse una spia poco credibile. Se Your Party potesse scegliere sul tipo di attacchi che sicuramente riceverà in futuro, a mio parere dovrebbe scegliere attacchi di questo tipo, in cui può ribaltare la situazione per illustrare le credenziali antisistemiche del partito.
Quasi ovunque e per gran parte della storia, la strada verso il potere dei partiti di sinistra è stata bloccata da ostacoli che si sono rivelati insormontabili: lo squilibrio delle risorse, l’ostilità delle istituzioni, ecc. Il nuovo partito dovrà affrontarli frontalmente. Uno dei vantaggi di far parte del Partito Laburista era che avevamo già superato metà di questi ostacoli: avevamo risorse, la nostra rilevanza non era messa in discussione e parte della struttura di potere britannica doveva almeno prendere in considerazione la possibilità di raggiungere un accordo con noi nel caso fossimo arrivati al governo. D’altra parte, far parte del Partito Laburista ci costringeva a concentrarci in gran parte sulla politica elettorale piuttosto che sulla politica di movimento, un ambito in cui il nuovo progetto potrebbe avere più successo, anche se costruire potere al di fuori del Parlamento è senza dubbio un processo lento e difficile.
Oliver Eagleton: Dici che la priorità in questo momento è gestire i conflitti interni al partito ed elaborare un programma di maggioranza. Questo è compatibile con l’organizzazione del nuovo partito sulla base di una democrazia piena guidata dai suoi membri? Ed è possibile senza una cultura politica più ampia di partecipazione popolare di massa? La mancanza di tale cultura è senza dubbio parte del motivo per cui il corbynismo ha avuto difficoltà a combattere i sabotaggi.
Alex Nunns: È molto difficile capire come questo nuovo partito potrebbe essere creato senza strutture democratiche inclusive. Questo è ciò che crede Jeremy, lo ha sempre creduto, data l’influenza che hanno su di lui le concezioni di Tony Benn. È anche ciò in cui crede Zarah. Ed è ciò che sperano i numerosi membri che si sono iscritti a Your Party. È davvero qualcosa di eccitante. Affinché ciò funzioni, il partito nascente deve promuovere una cultura del dibattito pluralistico in cui sia possibile negoziare le questioni controverse, soprattutto nella fase iniziale. Quando si tratta di elaborare un programma in grado di attrarre la maggioranza, credo che più persone partecipino, meglio è.
Per quanto riguarda la questione più ampia della cultura politica britannica, hai ragione quando dici che il corbynismo nel suo complesso non aveva la profondità e la forza necessarie per resistere all’assalto. Quando Jeremy è arrivato alla guida del Partito Laburista, la lunga erosione delle radici organiche del partito all’interno della classe operaia – non solo i sindacati, ma tutte le basi sociali della política della classe operaia – erano in una situazione disperata. Paradossalmente, l’accelerazione di questo processo rende molto più plausibile che il Partito Laburista di Starmer – ora vegeta intorno al 20% nei sondaggi, avendo fallito di raggiungere tanti voti quanti Jeremy nel 2017 o nel 2019 – possa essere eliminato dalla scena, consentendo a una nuova forza di sinistra di sostituirlo. Il compito sarà quindi quello di assicurarsi che Your Party metta radici proprie, per evitare di essere a sua volta spazzato via. Questo è l’obiettivo. E l’occasione c’è.
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Oliver Eagleton è membro e redattore associato della «New Left Review» e autore di Starmer Project: A Journey to the Right (2025).