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  • Immagine del redattore: Gruppo Rivoluzionario Charlatan
    Gruppo Rivoluzionario Charlatan
  • 2 set
  • Tempo di lettura: 10 min

Ci sarà un 10 settembre?

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Pubblichiamo un importante testo ripreso dalla rivista francese Lundi Matin a firma <<Gruppo di rivoluzionari ciarlatani>>. Questo testo parla di un appuntamento di lotta molto importante che prenderà avvio il prossimo 10 settembre in Francia. Si tratta di una mobilitazione generale organizzata dal basso. Da un mese nel paese circolano appelli a bloccare tutto a partire da quella data. L'idea, nata da gruppi locali di Gilets Jaunes, si é rapidamente diffusa, al punto che (contrariamente al 2018, quando le centrali sindacali e i partiti di <<sinistra>> non avevano capito che un nuovo movimento sociale stava irrompendo sulla scena) certi settori sindacali e LFI si sono messi anche loro in moto (sperando, come sempre, di poter <<cavalcare la tigre>>). Già da luglio, la rete di CND (Cerveaux Non Disponibles) si era impegnata nel sostegno e appello alla mobilitazione. In questi giorni all’iniziativa hanno aderito alcuni settori della CGT (la chimica e l'energia, essenziali per poter bloccare le raffinerie e dunque le stazioni di benzina, e il flusso elettrico, il blackout, obiettivo, cuore del sistema) e vari settori di SUD (i ferrovieri in particolare).

L’intersindacale (CGT, CFDT, FO, ecc.) ha fatto un appello a manifestare il 18 settembre, una settimana dopo il 10 settembre, e ancora e come sempre un giovedì, non un sabato come avevano imposto i Gilets Jaunes. Ciò fa trasparire che i sindacati tentano ancora una volta di imporre la loro agenda sul conflitto sociale. Ma è improbabile che ci riusciranno, e in più a partire dal 10 settembre molti suoi militanti non attenderanno oltre a muoversi. Anche Mélanchon e la France Insoumise appoggiano il movimento, ma si prevede che anche loro saranno scavalcati dall'orda selvaggia dei cavalli irruenti: una moltitudine che non si riesce più a seguire e identificare. Insieme a un revival dei gruppi tosti dei Gilets Jaunes (autonomi di fatto, senza rivendicarlo né saperlo) e dei vari gruppi autonomi e anarchici, c'é una nuova generazione di rivoluzionari, giovani ventenni nati dalla politica dal 2015 in poi, che sanno padroneggiare con disinvoltura tutti gli strumenti della comunicazione sociale. Ancora una volta quindi: ricominciare da capo non significa tornare indietro.

Da diverse settimane, sui social sta prendendo piede un appello a bloccare tutto il 10 settembre. Nei corridoi del Ministero dell'Interno circolano voci secondo cui questa volta l'iniziativa potrebbe avere successo, al punto che tutte le redazioni stanno già anticipando l'evento.Cosa ci si può aspettare da un appello anonimo non collegato ad alcuna realtà politica costituita o istituita e la cui vitalità dipende interamente dai social network? A volte nulla, a volte molto, come ha dimostrato la storia recente. Senza pronunciarsi sulla <<credibilità>> di questa mobilitazione, il GRC – Groupe Révolutionnaire Charlatan mette in discussione le posizioni della sinistra e delle forze rivoluzionarie disparate rispetto a questo possibile evento.


«Così fanno certi faccendoni,

che nelle imprese sembran necessari, 

e guastano gli affari — in ogni cosa,

gente importuna, inutile e noiosa».


  1. Premesse

Quando un appello si impone nel dibattito pubblico senza provenire né dalla sinistra né dalla destra, la domanda da porsi non è quella dell'identità – nascosta, misteriosa, sospetta – degli autori; piuttosto, del contesto che lo ha generato. Non si può decidere di aderire o dissociarsi senza aver prima fatto un bilancio, anche parziale e rapido, del momento politico che si sta estinguendo – o che è all’orizzonte. 


In quale situazione ci troviamo? 


La questione delle possibili modalità di intervento per l'auto-organizzazione, per l'esacerbazione delle contraddizioni, per l'intensificazione dello scontro arriva in subordine.Chi trascura la domanda iniziale — ritenendo sterile l'analisi e la teoria, limitandosi a elencare pedissequamente le prassi — dimentica che la trasformazione dipenda dalla lettura dello stato delle cose.


  1. Possibilità

Da settimane si moltiplicano gli appelli alla mobilitazione generale per il 10 settembre. Al momento è difficile comprendere la natura e la credibilità di questa <<chiamata alle armi>>, tanto sono vaghe le modalità evocate. Da una parte si parla di sciopero generale, senza alcuna reale iniziativa di coordinamento dell'interruzione del lavoro salariato. Dall'altra, di uno sciopero dei consumi, senza che sia chiaro se questo implichi una serrata domestica. Negli ambienti progressisti ci si prepara alla manifestazione, che i partiti e i sindacati non mancheranno di organizzare per dare l'impressione di costituire una forza oppositiva. Prevarranno tre atteggiamenti: la canalizzazione politica, la squalifica e l'attendismo.


  1. Posture

Sulla squalifica, nulla da aggiungere a quanto già detto che al riguardo dei Gilets jaunes: un bell'esempio di attendismo militante. Critica indiscriminata dei tentativi di organizzazione a monte, disinteresse per le discussioni strategiche, passività disfattistica dall'inizio. Se si tratta di un fuoco di paglia, gli attendisti trionfano senza gloria; se invece la cosa funziona, non dovranno fare altro che presentarsi ai raduni e alle manifestazioni per dire «io c'ero», passando da osservatori lontani ad astanti immersi nel flusso. Per quanto riguarda l’istituzionalizzazione, si tratta di un fenomeno atteso, di una legge naturale del nostro sistema politico. È tuttavia importante sostenere che non si basi solo sulla volontà – di nuocere o di fare del bene – dei militanti e delle organizzazioni di sinistra, ma anche e soprattutto sull'esistenza di sentimenti reali, diffusi tra la base sociale.

 

Ma il <<popolo di sinistra>> anche se può agitarsi per influenzare la scelta del programma o del candidato di turno, non ha altro orizzonte che questa sinistra. Che continua a presentarsi come l'unica e ultima alternativa al fascismo dopo aver sprecato le ultime due cartucce: la battaglia contro la riforma delle pensioni e lo sbarramento repubblicano.


I sindacati confederati hanno sacrificato la mobilitazione contro la riforma previdenziale, pronti a radicalizzarsi e a vincere nellepiazze, per negoziare meglio la propria sconfitta nelle sedi concertative. La sinistra parlamentare ha preso il testimone, prolungando l'umiliazione nei tentativi sterili e ridicoli di ottenere una moratoria o un'abrogazione. 


La spinta antifascista che è culminata nelle grida di gioia del 7 luglio 2024, davanti all'annuncio della <<vittoria>> del NFP e della <<sconfitta>> del RN, meritava senza dubbio qualcosa di meglio di una corsa alla carica di Primo ministro. L'intera strategia della sinistra unita è consistita nell'accaparrarsi i mezzi per intervenire sulla situazione, cosicché le folle di cittadini che l'avevano sostenuta non trovassero altro da fare che indignarsi per il continuo fallimento delle mozioni di censura, delle nicchie parlamentari, delle carovane per la destituzione di Macron, et cœtera.


Va detto, questo fronte non ha più alcuna ingerenza reale, si presenta non come una forza consapevole di sé, piuttosto con una moltitudine di scontenti sull'orlo di una crisi di nervi.È lo scoglio su cui naufragano le vittime del rifiuto e della repressione dei movimenti di rivolta. Il potere, che ne è ben consapevole, le accorda tutto il rispetto e la considerazione che realmente merita. Quanto ai sindacati e alla CGT, nemmeno loro fanno più paura, perché hanno perso l’occasione di ribaltare i rapporti di forza. Il clamoroso fallimento dà ancora una volta, e speriamo una volta per tutte, ragione ai loro detrattori.


  1. Potenziale

L’affezione alla sinistra è ben presente e potente nella società

francese. La massiccia chiamata all’azione contro l'ultima riforma

previdenziale ci invita a temperare la vittoria ideologica del

neoliberismo, che è lungi dall'essere totale e che si basa ancora

sulla massiva mobilitazione delle forze di polizia. Parimenti, il fallimento di questa mobilitazione ci invita a riflettere

sulla debolezza di questa <<propensione gauchista>>, l’incapacità di ottenere vittorie. 

Che la sinistra aggreghi le folle deluse e disilluse senza riuscire a offrire una via d'uscita desiderabile all'immenso malcontento generale e

diffuso che attraversa la società? La rivolta provocata dall'omicidio di Nahel esprime sia il disgusto per l'impunità delle violenze di polizia che il carattere vitale della rivolta e della volontà distruttiva di coloro che non riescono più a respirare. Dalle convocazioni dei Gilets jaunes alle assemblee degli scioperanti contro la manovra sulle pensioni, passando per i comitati d'azione e gli aneliti rivoluzionari, c'è indubbiamente qualcosa che sta covando e che preme.Come se, più di due secoli dopo la Rivoluzione francese e più di 150 anni dopo la repressione della Comune, continuasse a delinearsi ed a emergere questa profonda tendenza alla democrazia diretta, che persiste nella e contro la democrazia rappresentativa capitalista.


  1. Presenza

Bisogna smetterla con l'idea che la sinistra istituzionale incarni il vero movimento che abolisce lo stato attuale delle cose nel movimento operaio e nella sinistra de facto. Se le masse esistono ancora, allora hanno abbandonato la politica borghese, consapevoli di non avere più nulla da trovare se non delusione o corruzione. E non aspettano né il partito giusto né il fronte popolare giusto, né il candidato giusto né il programma giusto. 


Senza dubbio trovano più senso nell'esperienza passata del movimento dei GJ che nell'ipotesi di un miracolo elettorale di una coalizione progressista unificata, e preferiscono proiettarsi nella data incerta del 10 settembre piuttosto che nell’ordinario gioco democratico. Resta da vedere se questi sentimenti di rivolta, che si diffondono e si

condividono estesamente ma vengono esperiti in una dimensione singolare e in parte virtuale, possano «fare massa» e diventare una forza collettiva: questa è stata la provvidenziale sorpresa dei GJ.


  1. Potenza

Poiché la postura progressista è germinale nella società francese, la sinistra partitica cerca naturalmente di incanalarla alle urne, ma anche di incapsularla nella via istituzionale. Si tratta, ancora e sempre, di pensare al cambiamento del mondo dall'alto verso il basso, di cambiare le menti nella speranza di renderle più compassionevoli. Tuttavia, la storia rivoluzionaria, la storia della Francia, la storia del proletariato – insomma, la storia tout court – ci insegna che l'unica misura che conta è quella dal basso, della base, della fabbrica, della strada, della rivolta, della mensa di quartiere, del comitato di sciopero, dell'università occupata… 


Ciò che pulsa in ogni movimento minimamente decisivo è l'ordinario che diventa straordinario, non i volti dei leader che sfilano in televisione.


  1. Programma

Ad oggi esistono mense popolari aperte al quartiere e inserite in reti più ampie di mutualismo e sperimentazione. Ancora, comitati di salariati scioperanti che designano autonomamente obiettivi e alleati con cui condurre l'offensiva, come è avvenuto in alcuni settori ferroviari nella primavera del 2023. Si formano nuclei per promuovere blocchi delle tangenziali o sanzioni durante i momenti salienti delle manifestazioni.

Altri cercano spazi, più o meno effimeri e più o meno difendibili, per potersi riunire e pianificare il seguito di un movimento o l'attività nei periodi di bonaccia. Coordinamenti <<sommersi>> riescono a rafforzare gli appelli al blocco di un dipartimento o di una regione portando avanti operazioni ambiziose come le autoriduzioni ai pedaggi. Altri puntano sulla forma giuridica e sulla diffusione delle pratiche di autodifesa digitale, giudiziaria – nella proiezione che diventino diffuse. Gruppi affini si cercano e si trovano, scambiano opinioni ed orizzonti comuni per prepararsi a ciò che verrà.


Gli elettori al primo voto, lusingati dalla proposta di un'unione della sinistra ma scettici circa le reali possibilità di successo, si costituiscono in comitati antifascisti locali, rifiutando che la vecchia politica detti la linea del proprio impegno politico. Ogni volta, le parole d'ordine solidarietà e auto-organizzazione diventano un po' più concrete, almeno per coloro che le agiscono. Ogni volta, queste iniziative registrano una sostanziale ricorrenza delle prassi di deliberazione – assemblee di base, comitati locali – e di azione – blocchi stradali o di siti strategici come depositi di carburante e inceneritori, sabotaggio di autovelox, caselli autostradali o telecamere di sorveglianza, spesa proletaria ed uso di mortai pirotecnici per tenere a bada la polizia –. Si tratta di un altro tipo di programma, composto quasi esclusivamente da azioni intraprese direttamente da coloro che desiderano riappropriarsi della propria biografia, singolare e collettiva, che supera in densità e significato tutto ciò che i tribuni hanno da vendere. La strategia è sempre esterna e

estranea al partito, che è convinto di avere il possesso di palla.


  1. Paralisi

I vertici devono perire affinché possa nascere e propagare il movimento di base. Non dobbiamo lasciarci paralizzare dal meticciato. I GJ hanno ricevuto numerose critiche per le possibili «derive» in materia di razzismo, omofobia, nazionalismo o misoginia. Il minimo che si possa dire è che queste tracimazioni e la loro violenza non hanno aspettato il trionfo di un movimento popolare dai contorni ideologici sfocati per approfondirsi e scatenarsi. Si potrebbe persino pensare che il contraccolpo non sarebbe stato così forte in caso di «vittoria» – bisogna tuttavia ancora definirne il perimetro –.


I periodi di instabilità non sono essenzialmente avversi – senza non ci sarebbero ipotesi rivoluzionarie – e le crisi di sistema non sono destinate a partorire il peggio, contrariamente a quanto credono i sostenitori della dissociazione. Per comprenderne il disagio e la paura di fronte all'attuale realtà popolare, è necessario interrogarsi sulla loro concezione feticizzata dell'attore popolare. Coloro che sottolineano l'impurità ideologica del popolo «né di destra né di

sinistra» e che ne fanno un argomento a favore della dissociazione, aspettano ancora di incontrare il buon popolo <<di sinistra>> raffigurato nei dipinti di Delacroix e nei manifesti propagandistici sovietici.

 

Ma il movimento reale assomiglia così poco alle forme passate in cui la Gauche caviar cerca di cristallizzarlo in forme frutto di una rassicurante distorsione della realtà. Ma nessun movimento né alcuna forza è al di sopra delle contraddizioni della propria epoca. Il movimento operaio che proclamava l’internazionalismo non era meno schiavo delle nazioni, all'interno delle quali organizzava il proletariato e in nome delle quali invocava l'unione sacra. Il grande esodo della Prima Guerra mondiale ha inoltre svolto un ruolo di primo piano nell'apertura del sindacalismo ai lavoratori immigrati, poiché le esigenze della ricostruzione rendevano inascoltabile la volontà di «proteggere la manodopera nazionale» e rendevano possibile l'unificazione del proletariato al di là delle sue divisioni, ma sempre all'interno dei confini nazionali e preservando la crescita. Potremmo proseguire parlando della riduzione delle donne a ruoli spesso subordinati, della riluttanza del sindacalismo ad affrontare la questione del lavoro gratuito di riproduzione sociale, evocare il culto della produttività o il rifiuto dell'omosessualità.


  1. Puntata

Sono i movimenti a tracciare le linee di fuga dalle contraddizioni del tempo, non la morale; ogni volta che questa si insinua, dirotta il potere all'interno di linee di demarcazione astratte. I Gilets jaunes erano in parte misogini e razzisti, omofobi e avari, e chi più ne ha più ne metta. Ma ritrovandosi settimana dopo settimana sulle rotatorie, quell'arcipelago di «case del popolo», ha dimostrato di essere anche tutt'altro. La sociologia è il grande cimitero dell'esistente; la rivoluzione è la culla di tutti i divenire. Se prendiamo sul serio l'ipotesi del 10 settembre, non è per ciò che rappresenta, ma per ciò che può innescare. Scommettiamo che le persone che si riconoscono in questo possano intravedere altro, farsi altro.


10.  Provocazione

Tra i militanti radicali regna una concezione eclatante della

storia e delle cose della vita, che li spinge a invocare la

rivoluzione e allo stesso tempo a escluderne le persone «normali». Immaginate il tipico contadino nella Russia zarista dell'inizio del XX secolo. Chiedetevi se fosse giusto, nel 1905 e nel 1917, inquadrare quel poveraccio al ruolo di pogromista.


11. Pusillanimità

Infine, che dire dei militanti che si proclamano rivoluzionari

ma che – per paura delle derive reazionarie all'opera nella società – prendono le distanze dai tentativi di frenare il corso degli eventi? 

C'è quello che si dice e quello che si fa. Nei momenti cruciali, vediamo emergere lavoratori-consumatori discreti e apolitici, individui conservatori ma spaventati dalla reazione, militanti di sinistra che pensavamo fossero carrieristi ma che hanno saputo riconoscere un appuntamento con la storia. Queste persone avranno sicuramente un'idea più chiara della forma e del contenuto che potrebbe assumere un rovesciamento rispetto alla stragrande maggioranza dei militanti radicali che la rivendicano. 


12. Partita

È anche questo che rende necessario, a nostro avviso, rispondere ad appelli come quello del 10 settembre, per confrontarsi con le frustrazioni e le aspirazioni di coloro che hanno davvero qualcosa da dire.Rimane ovviamente una minoranza di compagn@ che non ha rinunciato ad agire sul corso della storia e con cui si elabora la grammatica rivoluzionaria, questo modo di rapportarsi ad eventi e temi della nostra epoca. Bisogna ripartire da qui. Prendere atto dell'immenso appuntamento mancato con la storia che sono stati i gilet gialli, la cui comparsa ha confermato le tesi dell'autonomia, ma che è avvenuta proprio nel momento in cui il movimento le sosteneva stava entrando in una fase di dissoluzione. Dobbiamo andare alla ricerca di quella minoranza dispersa e impotente alla quale sentiamo di appartenere, trovare il tempo per avviare un vero dialogo strategico, trovare luoghi in cui dare consistenza agli scambi e agli incontri. Tutto il resto è fumo negli occhi.



Poiché vogliamo tutto, non abbiamo più nulla da perdere.

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