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  • Immagine del redattore: Ammar Ali Jan
    Ammar Ali Jan
  • 24 giu
  • Tempo di lettura: 11 min

India e Pakistan: verso il disastro

Roberto Gelini
Roberto Gelini

Il conflitto tra India e Pakistan del 2024, innescato da un attentato a Pahalgam, ha riacceso la crisi del Kashmir, coinvolgendo scontri aerei, minacce nucleari e interventi diplomatici USA. Alla base del conflitto ci sono questioni storiche irrisolte, come la negazione dell’autodeterminazione del Kashmir, il nazionalismo autoritario indiano e la competizione geopolitica tra USA e Cina. Entrambi i paesi affrontano gravi crisi interne che alimentano l’instabilità regionale. Questo articolo è apparso su Sidecar, il blog della New Left Review, rivista bimestrale pubblicata a Madrid dall'Instituto Republica & Democracia di Podemos e da Traficantes de Sueños, ed è pubblicato con l'espressa autorizzazione del suo editore.

Ora che si sono calmate le acque dopo la battaglia tra India e Pakistan – il conflitto aereo più significativo tra i due paesi ad oggi – vale la pena riflettere sul suo significato più ampio. Quali sono state le origini e come influenzerà la politica della regione? L'innesco immediato è stato l'attacco terroristico a Pahalgam perpetrato dai militanti del Kashmir alla fine di aprile, in cui sono stati uccisi 26 turisti. Il governo indiano ha accusato la controparte pakistana di aver orchestrato la sparatoria. Il Pakistan ha negato le accuse offrendosi per avviare un'indagine congiunta, ma la classe politica indiana si è dimostrata irremovibile e ha iniziato a battere i tamburi di guerra. L'alto comando militare pakistano ha dichiarato che il paese avrebbe reagito a qualsiasi aggressione, sollevando la possibilità di uno scontro nucleare. Non è trascorso molto prima che le due parti iniziassero a scambiarsi colpi, causando 31 morti nei quattro giorni successivi.


Il conflitto è scoppiato il 7 maggio, quando l'India ha lanciato una raffica di missili contro i cosiddetti «siti terroristici» all'interno del Pakistan. Sono stati uccisi più di due dozzine di civili, tra cui almeno un bambino. L'esercito pakistano ha risposto schierando aerei J10 di fabbricazione cinese armati con missili PL-15, il che stava a significare che la conflagrazione fosse – almeno a un certo livello – una prova dell'equipaggiamento militare della Repubblica Popolare Cinese contro quello occidentale. Quando hanno cominciato a circolare notizie secondo cui cinque jet indiani erano stati abbattuti, alcuni analisti della difesa hanno osservato che il vero vincitore della scaramuccia era la Cina.


Entrambe le parti hanno immediatamente rivendicato la vittoria dopo questo primo round di ostilità. Tuttavia, le speranze di una rapida soluzione negoziata sono state deluse l'8 maggio, quando l'India ha inviato un gran numero di droni di fabbricazione israeliana nel territorio pakistano. L'esercito pakistano ha affermato di averne intercettati quasi tutti prima che potessero danneggiare infrastrutture civili o militari. Ma l'attacco è stato intensificato due giorni dopo, con altri droni e missili indiani che hanno colpito aree civili densamente popolate nelle principali città pakistane. A questo punto, i vertici militari pakistani hanno deciso di reagire con attacchi aerei e con droni, alcuni dei quali hanno preso di mira basi aeree indiane. I timori di un'escalation nucleare sono diventati improvvisamente credibili e ha cominciato a diffondersi il panico.


I resoconti di ciò che è accaduto dopo sono differenti. Una versione suggerisce che, dopo aver sventato il tentativo dell'India di affermare la propria superiorità aerea, il Pakistan abbia effettivamente costretto il vicino ad accettare un cessate il fuoco. Altri sostengono che il Pakistan si sentisse con le spalle al muro e abbia segnalato la sua disponibilità a ricorrere all'opzione nucleare se il conflitto fosse continuato, il che ha accelerato i colloqui per porre fine ai combattimenti. In ogni caso, i negoziati segreti con Washington hanno portato a una fragile pace, annunciata da Donald Trump sui social media, che si è attribuito il merito dell'accordo. In India, i critici hanno affermato che il governo avesse ceduto alle pressioni degli Stati Uniti senza raggiungere alcuno dei propri obiettivi bellici. In Pakistan, l'atmosfera era euforica. Molti ritengono che l'aviazione militare, sostenuta dalla Cina, sia ora riuscita a ristabilire l'equilibrio militare e a minare la pretesa di egemonia regionale dell'India.


Il recente conflitto fa seguito a decenni di tensioni, periodicamente sfociate in violenze, sullo status conteso del Kashmir. Sia l'India che il Pakistan hanno rivendicato la sovranità sul territorio a maggioranza musulmana dopo la divisione del 1947 – il primo ha conquistato i due terzi dell'area, mentre il secondo ha rivendicato il terzo restante – e da allora lo hanno trasformato in una delle regioni più militarizzate al mondo. Dopo quattro decenni di rabbia e agitazione nella valle occupata, il presunto broglio elettorale dell'esercito indiano nel 1987 ha provocato una serie di rivolte di massa. Queste culminarono nel 1989 in un'insurrezione armata guidata dal Fronte di Liberazione del Jammu e Kashmir (JKLF), che mira a istituire uno stato laico indipendente. Nel corso degli anni '90, molti dei gruppi che combattevano nel territorio ricevettero addestramento in campi militanti in tutto il Pakistan. L'esercito indiano rispose ai disordini con una brutale strategia di controinsurrezione che prevedeva uccisioni extragiudiziali, violenze sessuali e torture.

Nel 2001, lo stesso Pakistan ha cercato di reprimere i gruppi militanti del Kashmir e li ha designati come organizzazioni terroristiche, pur continuando a mantenere il suo sostegno ufficiale al diritto all'autodeterminazione del Kashmir. (Il Pakistan è sempre stato convinto che la stragrande maggioranza dei kashmiri sarebbe favorevole all'adesione al Pakistan se potesse scegliere, ma questo non è più certo, poiché il malcontento per l'inflazione e la repressione ha accentuato il fascino delle forze nazionaliste che chiedono uno stato separato per il Kashmir). Tuttavia, questi gruppi kashmiri mantenevano profonde radici in Pakistan, il che li rendeva difficili da smantellare. Questa difficoltà è stata percepita dallo stato indiano come una riluttanza da parte del Pakistan a combattere il terrorismo, il che ha approfondito l'animosità tra i due paesi.


La questione è finalmente diventata un punto caldo a livello globale nel 2019, quando il governo Modi ha abolito l'articolo 370, una disposizione che garantiva una notevole autonomia allo stato del Kashmir. Delhi ha affermato che si trattava semplicemente di un tentativo di normalizzare lo status politico del Kashmir, ma la maggior parte dei kashmiri lo ha visto come un attacco diretto alla loro identità e alle loro libertà civili. La resistenza è stata accolta con una repressione sempre più dura, che negli ultimi sei anni è riuscita a soffocare gran parte del dissenso pubblico. Il regime di Modi è riuscito ad affermare la propria vittoria, sostenendo di aver stabilizzato la situazione e ripristinato l'ordine nel territorio conteso. Solo gli attacchi di Pahalgam hanno minato questa narrativa.

Tre fattori cruciali costituiscono lo sfondo del conflitto. Il primo, e più longevo, è la negazione del diritto all'autodeterminazione del popolo kashmiro. Il secondo è il carattere dei regimi di Delhi e Islamabad, entrambi ricorsi a metodi sempre più autoritari con l'indebolirsi della loro legittimità politica. Il terzo è la nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, che ha ridefinito il ruolo della regione nel sistema mondiale. Insieme, queste dinamiche interconnesse hanno spinto l'India e il Pakistan verso il disastro. Come si sono sviluppate storicamente?


L'India indipendente era inizialmente uno stato «dirigista», guidato da una forte etica sviluppista ed egualitaria emersa dalla lotta anticoloniale. Il progetto di Nehru prevedeva un'ambiziosa politica industriale, il sostegno statale ai contadini del Paese e un approccio non allineato agli affari esteri. Nehru assunse un ruolo di primo piano nella Conferenza di Bandung del 1955 e divenne uno dei principali sostenitori della causa palestinese. Tuttavia, fin dall'inizio, questa visione soffrì di varie incongruenze. Nehru e il suo partito, il Congress, non riuscirono a intraprendere una radicale ristrutturazione della terra, delle caste e delle relazioni industriali. Le lotte dei contadini e dei lavoratori, in particolare quelle guidate dai comunisti, furono represse violentemente. Il presunto impegno dell'India nei confronti della solidarietà con il Terzo Mondo fu minato dalle guerre con la Cina (1962) e il Pakistan (1965-71), nonché dal suo rapporto colonialista con il Kashmir a partire dal 1948. Tali contraddizioni generarono una forte opposizione sia da parte della destra che della sinistra, aprendo la strada a nuovi movimenti basati sulla classe, la casta e la religione, che alla fine fecero a pezzi il consenso nehruviano.


Il risultato fu il trionfo del Bharatiya Janata Party, un'organizzazione nazionalista indù di destra fondata su una profonda ostilità nei confronti dei musulmani e del Pakistan. Dopo aver ottenuto solo due seggi nelle elezioni del 1984, il BJP balzò alla ribalta nazionale dopo aver guidato la folla alla distruzione di una moschea che secondo loro era stata costruita sul sito dello storico tempio indù di Ayodhya. Quando all'inizio degli anni '90 il governo guidato dal Partito del congresso liberalizzò l'economia e smantellò lo Stato dirigista, molti influenti gruppi imprenditoriali si allinearono con questa corrente nazionalista indù in ripresa come alternativa alle forze organizzate di sinistra. Narendra Modi – ex ministro capo del Gujarat, accusato di aver supervisionato l'omicidio di oltre un migliaio di musulmani mentre ricopriva tale carica – è diventato l'incarnazione di questa «alleanza tra Hindutva e corporazioni» ed è stato eletto primo ministro nel 2014.


Le multinazionali, da Microsoft e Amazon a CitiBank e JPMorgan Chase, hanno così sviluppato legami più stretti con l'élite indiana e aumentato gli investimenti nel suo mercato emergente. L'effetto è stato quello di globalizzare l'economia del Paese e contribuire a riorientare la sua politica verso Washington, culminato nell'incontro Modi-Trump all'inizio del 2025, in cui i due leader hanno firmato un «Partenariato di difesa tra Stati Uniti e India». L'America ha dichiarato esplicitamente che il suo obiettivo è quello di rafforzare il contenimento della Cina trasformando l'India in un contrappeso regionale, un programma che Delhi abbraccia pienamente. Il governo di Modi spera che ingraziandosi gli Stati Uniti possa affermare l'India come potenza incontrastata della regione. Ciò, a sua volta, ha portato a un rafforzamento delle relazioni tra Israele e India, compresa la cooperazione militare e i piani per la costruzione del «corridoio economico India-Medio Oriente-Europa» per contrastare la Belt and Road Initiative cinese. Molti sostenitori dell'Hindutva hanno definito l'attacco di Pahalgam «il nostro 7 ottobre» e hanno chiesto che il Pakistan venga «ridotto a Gaza».


Il Pakistan è rimasto saldamente schierato con gli Stati Uniti sin da quando ha firmato i patti militari SEATO e CENTO con gli Stati Uniti nel 1954 e nel 1955. In prima linea nella strategia americana di contenimento del comunismo, il Pakistan ha beneficiato di ingenti aiuti americani durante tutto il periodo della Guerra Fredda. L'unica sfida seria all'egemonia statunitense dalla nascita dello stato è stata il governo di sinistra di Zulfikar Ali Bhutto, rovesciato da un violento golpe sostenuto dagli States nel 1977. Da allora, l'economia pakistana è fortemente dipendente dai proventi delle guerre imperialiste in Medio Oriente. Uno degli aspetti più oscuri di questa eredità è stata la cosiddetta «jihad afghana», un'operazione clandestina sostenuta dalla CIA che ha trasformato il Pakistan in un campo-base per le organizzazioni militanti che combattevano contro il governo afghano sostenuto dall'Unione Sovietica durante gli anni '80. Alimentati dai dollari statunitensi e dal patrocinio saudita, migliaia di pakistani si sono uniti a una rete globale di militanti islamici che comprendeva centinaia di madrasse e campi di addestramento jihadisti.


I politici pakistani hanno regolarmente utilizzato la minaccia dell'aggressione indiana per giustificare il processo di militarizzazione e securitizzazione – dipingendo qualsiasi forza di opposizione significativa come un agente di Delhi, rafforzando la morsa dell'esercito sulla politica –  riuscendo a  schiacciare il dissenso, in particolare nelle province ribelli del Balochistan e del Khyber Pakhtunkhwa. Con l'inizio della «guerra al terrorismo», tuttavia, le priorità regionali degli USA sono cambiate. L’islamismo militante non era più un utile bastone contro il comunismo, ma il nemico numero uno dell'umanità. L'esercito pakistano è stato quindi costretto a invertire la politica di sostegno alle forze islamiste ed a iniziare a combatterle. Compito non semplice. I militanti erano ormai profondamente radicati nelle istituzioni statali, nella società civile e nelle reti transnazionali di traffico d'armi del Pakistan. La controinsurrezione degenera rapidamente in un bagno di sangue, causando la morte di 40.000 civili tra il 2001 e il 2018.


Anche le relazioni strategiche del Pakistan con la Cina sono state sottoposte a crescenti tensioni con il mutare degli obiettivi degli Stati Uniti. Dopo la rottura sino-sovietica e la guerra sino-indiana del 1962, il Pakistan iniziò a coltivare stretti legami con la Repubblica Popolare Cinese come mezzo per contrastare il suo vicino orientale; Washington, che sotto Nixon aveva avviato un proprio riavvicinamento alla Cina, non si oppose. Fino al 2015, il Pakistan era ancora in grado di occupare una posizione privilegiata tra queste due potenze mondiali: aderendo al Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), un progetto multimiliardario, pur continuando a fungere da principale canale di rifornimento della NATO alle basi militari statunitensi in Afghanistan. Tuttavia, nell'ultimo decennio questo approccio sembra aver fatto il suo corso, poiché il Pakistan ha dovuto affrontare le pressioni incessanti degli Stati Uniti affinché abbandonasse le sue relazioni strategiche con la Cina e si allineasse chiaramente con l'Occidente. L'élite pakistana è divisa tra fazioni filo-occidentali e filo-cinesi, minacciando la capacità dello stato di pianificare a lungo termine.


Poiché la sua posizione geopolitica di lunga data è diventata sempre più insostenibile, il regime pakistano ha anche subito una grave crisi di legittimità sul fronte interno. Sta lottando contro un'inflazione galoppante, compresi forti aumenti dei prezzi dell'energia, e severi tagli ai bilanci della sanità e dell'istruzione imposti dal FMI. Con Imran Khan e il suo partito PTI in corsa per vincere le elezioni dello scorso anno, il governo ha ricorso a brogli elettorali palesi per tenerlo lontano dal potere. Ha affrontato le proteste e le critiche che ne sono seguite incarcerando gli oppositori, tra cui Khan, e vietando i social media. Tutto ciò ha coinciso con l'intensificarsi degli attacchi dell'esercito separatista Baloch Liberation Army e del Tehreek-e-Taliban Pakistan, un'organizzazione militante di estremisti religiosi impegnati a rovesciare lo stato federale.


Il popolo del Kashmir rifiuta di rinunciare al proprio diritto all'autodeterminazione, nonostante sia brutalmente represso dall'India e in gran parte abbandonato dal Pakistan, e continua a opporre resistenza con forme violente e non violente. L'aggressività dell'India è chiaramente legata ai calcoli elettorali del partito al potere, il BJP, la cui politica nazionalista indù si basa sulla punizione di vari gruppi «estranei». Allo stesso tempo, il Pakistan è scivolato ulteriormente nel militarismo, accelerando la guerra contro gli oppositori interni e consolidando il ruolo dell'esercito come potere decisionale supremo, il che ha creato un consenso falco ai vertici dello stato. Infine, gli Stati Uniti sono determinati a trasformare l'India in un baluardo contro la Cina, mentre i cinesi stessi stanno cercando di impedire l'accerchiamento da parte dell'Occidente costruendo alleanze strategiche con paesi come il Pakistan.


Queste dinamiche hanno ulteriormente destabilizzato le già tese relazioni tra India e Pakistan. Il fervore bellico può solo fornire una distrazione temporanea dalle profonde contraddizioni sociali che affliggono entrambi i paesi. L'agenda economica di Modi, basata sulla privatizzazione e la deregolamentazione, non ha dato risultati per la maggioranza degli indiani. Oggi, l'1% più ricco del paese detiene il 40% della ricchezza.


I sindacati hanno indetto uno sciopero generale per il 6 giugno per protestare contro l'eccessivo potere del capitale aziendale, mentre gli agricoltori continuano a organizzare una forte resistenza comunitaria. Il governo non ha altra risposta che continuare la repressione dei musulmani e dei dissidenti, soprattutto in Kashmir, dove nelle ultime settimane sono state arrestate o rapite diverse persone nell'ambito di una vasta operazione di «controinsurrezione».


Il Pakistan, d'altra parte, rimane uno rentier state dipendente dalle guerre per procura e dalla supersfruttamento a breve termine, governato da un esercito che può mantenere il potere solo attraverso brogli elettorali. Le élite del Paese stanno ora progettando di vendere altre risorse naturali e di aprire il territorio alle compagnie minerarie internazionali, nella speranza che maggiori investimenti stranieri possano arrestare la spirale economica in corso. L'anno scorso, una versione di questo programma è stata introdotta nella provincia del Sindh, dove il governo ha tentato di deviare sei canali del fiume Indo per attirare capitali stranieri nel settore dell'agricoltura industriale; il progetto è stato poi bocciato da un movimento di massa che ha portato in piazza milioni di persone. Per evitare il ripetersi di questo scenario, il governo sta intensificando la repressione in altre zone che intende saccheggiare. Gruppi come l'Awami Action Committee, un piccolo partito politico della regione himalayana del Gilgit-Baltistan che ha criticato apertamente questo programma di appropriazione delle terre, sono stati messi al bando e i loro attivisti arrestati. Resta da vedere se il governo riuscirà a mettere a tacere i suoi critici con tali mezzi coercitivi. Non c'è dubbio che nei prossimi anni la lotta contro l'estrazione mineraria senza consenso diventerà uno dei principali punti focali dell'opposizione al regime militare.


Il trattamento severo riservato ai dissidenti dimostra quanto il discorso sull'«unità nazionale» –utilizzato sia dall'India che dal Pakistan nelle ultime settimane – sia in contrasto con la realtà della regione: povertà, disuguaglianza, predazione. Dunque, l'escalation militare all'estero è legata all'irrigidimento del potere statale all'interno. In questa regione di due miliardi di persone, ben il 40% vive ancora al di sotto della soglia di povertà, subendo il peso del sottosviluppo e dei conflitti comunitari. Solo agendo contro lo sfruttamento potranno cambiare le condizioni che conducono alla guerra.


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