konnektor
- Serge Quadruppani
- 9 set
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 14 set
Verso il 10 settembre o il potere dell’indeterminato

Nel testo che segue, pubblicato su «lundimatin», il 2 settembre 2025, Serge Quadruppani offre importanti spunti di riflessione sul «rendez-vous» del 10 settembre.
Alla vigilia del 10 settembre – tra entusiasmo qui, scetticismo là e un crescente senso di paura da
oltreoceano – la consapevolezza di un imminente faccia a faccia cresce. Che forma assumerà?
Per darsene un'idea, facciamo il punto sugli strumenti a disposizione dei due fronti opposti. Da un lato, ci sarà l'imponente arsenale fin troppo noto, dalle flashballs (con all’attivo 24 occhi cavati ai Gilets jaunes) ai veicoli blindati della Gendarmerie alle bordate appositamente progettate per far cadere in coma un movimento sociale e i suoi sostenitori; c'è, e ci sarà, l'apparato propagandistico della stampa oligarchica, e tutto il corpo politico pronto a seguire gli ordini di Bardella per fermarlo, e Bardella stesso, che griderà e sta già gridando «stop al degrado» (a cui si riduce tutto il suo programma).
Poi ci sono e ci saranno le letture di ingegneria sociale e le strategie di legittimazione; di selezione tra buone e cattive pratiche, che saranno agite dai partigiani del soft control di cui «Le Monde» è e resterà l'organo principale. Socialisti e sodali, dal canto loro, faranno da esecutori: ciò che ci minaccia al pari delle armi – si suppone non letali – è questo senso di cittadinanza che somministra, in una forma o nell'altra, il sedativo a un «grande dibattito nazionale». Non abbiamo dimenticato che, oltre agli occhi cavati, la campana a morto per i Gilets è arrivata sotto forma di gruppi di discussione guidati da un Presidente in maniche di camicia, culminati nei cahiers citoyens i cui leader hanno avuto il pudore di non dirci cosa ne abbiano fatto (prima che i sociologi li raccogliessero per pubblicarli ed aggiungere così una riga al proprio curriculum). Se c'è una lezione da trarre dal più grande movimento sociale francese dal '68, è questa: «diamo un nome al nemico, soprattutto...non parliamogli!»
D'altra parte, dalla nostra c'è una riserva di munizioni di cui possiamo già impadronirci: la storia.
Storia passata, storia recente, storia in divenire. Nel 1905, dopo la Domenica Rossa, quando l'esercito sparò su una manifestazione di 50.000-100.000 persone a San Pietroburgo, ebbe inizio
la Rivoluzione di febbraio, che costrinse lo zar ad annunciare una serie di riforme democratiche e
sociali. Fino al maggio italiano (1968-1978), i soviet, i consigli operai autoconvocati e le assemblee
generali vennero considerati il modo più efficace per affermare l'azione autonoma delle classi
lavoratrici [1].
Alla testa della manifestazione e di tutto il movimento che ne seguì, c'era un uomo, il pope Georgi Gapone, che da anni lavorava come informatore. Non c'è dubbio che la sua personalità fosse più complessa, ma possiamo comunque vedere il 1905 – un grande evento rivoluzionario – come l’apice (non a buon fine) di un tentativo delle forze dell’ordine di canalizzare la crescente rabbia popolare. È perciò da allora che dovremmo diffidare di chi alimenta la vulgata dei "provocatori", dei "manipolatori" e di altre "forze estranee" che si celano dietro un movimento – e questo è articolarmente vero per l’insorgenza che si sta formando intorno all'appello del 10 settembre: che dire dei migliaia di falsi account Facebook che lo hanno ripostato? E che la Russia, a spregio della propria storia, sia dietro questi account come ha suggerito recentemente «France Inter», per poi smentirlo risolvendosi in un «non possiamo provarlo»?
Che dirne? Importa?
Quello che conta è che la rabbia collettiva sia genuina. E lo possiamo osservare tutt’intorno, a
patto di battere ambienti diversi dalle anticamere del potere. L'importante è anche praticare solidarietà e dare voce a questa rabbia, oltre la genesi: l'impressionante elenco di assemblee generali e gruppi di discussione è in tal senso incoraggiante.
Diffidare della diffidenza si è rivelato opportuno sia nel XX secolo (ah, i "provocatori" cari alla
CGT nel '68 e dopo) che nel XXI secolo; nei grandi momenti di sollevamento popolare come le
"rivoluzioni colorate" (2000-2005: Serbia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan) dove la presunta
ingerenza della CIA e di organizzazioni finanziate da fondi occidentali non invalida in nulla (tranne
che agli occhi di fanatici integralisti) il desiderio di dignità e libertà che animava le masse (e che
le ha animate ancora in Ucraina quando hanno impedito a Putin di prendere il paese in tre giorni),
o come nel succedersi delle rivoluzioni arabe, dove la presenza di islamisti inquietò alcuni "insorgenti" di buona fede, ma non impedì che la sicurezza delle donne e dei cristiani fosse assicurata sulla piazza Tahrir finché il regime non delegò gruppi di teppisti per attaccare il movimento.
È stato molto bello dimostrare l'inanità del purismo dei Gilets jaunes, dove i fascisti erano molto
presenti all'inizio ma sono stati emarginati grazie all'arrivo di compagn@ consapevoli della portata del movimento; eppure, ci troviamo ancora una volta di fronte a persone che fanno notare che i sovranisti stiano tramando da dietro le quinte. Un amico è stato addirittura avvicinato da un complottista, al mercato di Eymoutiers, che gli ha spiegato questa che «cosa è concepita per mettere le persone l'una contro l'altra». Cari rivoluzionari da tastiera, sempre pronti a premere il tasto "sfiducia", restate a casa: avete ragione, non fare sarà sempre il modo migliore per non sbagliare. Tra i reticenti, c’è anche chi deplora la mancanza di una chiamata unitaria come quella che c'era stata all'inizio tra i Gilet (contro la tassa sulla benzina). È il caso di riprendere la citazione di Marx sul «biglietto d’ingresso alla rivoluzione»? Ad insistere sul punto che i grandi sovvertimenti della storia possano avere un inizio più o meno connotato, ma che in ogni caso possa essere superato dalla sua stessa dinamica.
Nel 1968, dal diritto alla mixité nella residenza universitaria di Nanterre alle protesta contro i
caposquadra nelle fabbriche di Lione e Caen...ciò che ha preceduto il ritorno delle barricate e il
più grande sciopero della storia potrebbe ancora essere qualificato come un dettaglio.
Che però ha innescato la polveriera.
Nel 2010, il suicidio di Mohamed Bouazizi à Sidi Bouzid fu sì un evento orribile, ma non fu certo la
prima delle tragedie causate dall'arroganza e dalla corruzione del governo tunisino. Eppure
Perché avanzare una richiesta unitaria, come è stato per i Gilets jaunes, significa correre il rischio
che le autorità la soddisfino – almeno in parte e temporaneamente – fiaccandone lo slancio ed
archiviando quanto si fosse raccolto intorno, spesso capace di orizzonti più ambiziosi. Dalle eco
che ci giungono dai dibattiti online e in assemblea sul 10, sembra che il tema principale non sia
«cosa», ma «come».
Un esordio promettente, perché l'esistenza di un pensiero critico a monte del movimento è senz’altro importante, ma essenziale sarà poi quello costruito al suo interno.
La consapevolezza nasce dalla pratica.
«Blocchiamo tutto»? «Tutto cosa»? Definendo l’obiettivo, possiamo iniziare a criticare l’esistente, attaccando concretamente ciò che intrappola le nostre vite. E se il movimento ci si ritorce contro? C'è solo una risposta possibile per chi – di fronte al degrado del lavoro, all’attacco delle ultime garanzie superstiti ad un secolo di lotte, alla distruzione della biosfera da parte dell'industria e dei saperi dall'intelligenza artificiale...e di Gaza – non sarà mai “saggio”: «Prova ancora. Fallisci di nuovo. Fallisci meglio». (S. Beckett)
Note
[1] Vale la pena di notare, en passant, che da questo momento si da la scissione tra i rivoluzionari
che, come Rosa Luxemburg e tutta l'ultrasinistra storica successiva, trassero insegnamento da
questa dimostrazione della spontaneità rivoluzionaria delle masse, e i leninisti la cui ossessione –
ancora oggi – è quella di organizzarla per meglio dirigerla.
Serge Quadruppani, in attesa che la furia proletaria spazzi via il vecchio mondo, pubblica testi di umorismo, di viaggio e di lotta, oltre alle sue attività di autore e traduttore su https://quadruppani.blogspot.fr/.