top of page
ahida_background.png

periferie

  • Immagine del redattore: Alberto Violante
    Alberto Violante
  • 23 ott
  • Tempo di lettura: 7 min

# 2 Numeri, paura, crimini e città: la criminalità è veramente un problema nelle nostre città?

Paul Hertz
Paul Hertz

Pubblichiamo la seconda puntata (qui puoi trovare la prima) di una riflessione aperta da Alberto Violante sulla percezione della sicurezza e la diffusione della criminalità all’interno delle città medio-gradi del nostro paese. Il testo analizza criticamente l’idea diffusa che la criminalità stia aumentando e che le città italiane siano sempre più insicure. Attraverso un esame dei dati del Ministero dell’Interno, emerge invece una diminuzione complessiva dei reati tra il 2006 e il 2023, soprattutto dei furti e delle rapine, mentre restano stabili i reati violenti e aumentano le truffe (soprattutto informatiche) e le denunce per violenze sessuali. L’autore mette in discussione due convinzioni comuni: che l’immigrazione aumenti la criminalità e che le città siano sempre più pericolose. I dati mostrano come la sovrarappresentazione degli stranieri nei reati sia parzialmente spiegabile da fattori demografici e che, in realtà, la criminalità urbana sia in calo, con alcune eccezioni legate al turismo. Infine, l’articolo suggerisce che la “questione sicurezza” venga spesso enfatizzata nel dibattito politico e mediatico, pur in assenza di un reale peggioramento dei dati, e che il tema debba essere letto anche alla luce delle condizioni sociali ed economiche del paese.

Fatte dunque tutte le avvertenze su come intendere in numeri possiamo provare a confrontarci con la domanda se la criminalità sia o meno in aumento e stia davvero assediando le nostre città. Non ho scritto rispondere alla domanda se la criminalità sia o meno in aumento, perché prima di rispondere a una domanda bisogna chiedersi se questa abbia o meno un senso, e parlare degli andamenti della criminalità in sé, per quanto sia comune, difficilmente può essere considerata una cosa sensata. È come chiedersi se gli esercizi commerciali vanno bene, perché si presuppone che una buona domanda di acquisti e una vitalità diffusa presiedano necessariamente ad un aumento del commercio.Si scopre invece che, ad esempio, dopo la crisi pandemica la ristorazione ha un buon andamento e i locali di intrattenimento notturno no. 


Allo stesso modo invece di immaginare la criminalità come un sintomo morale, bisognerebbe dare per scontato che se ci sono più episodi di borseggio, non è affatto detto che ci siano più rapine (come infatti è), perché le condizioni di possibilità che stanno dietro i due atti sono diverse, e perché per compiere un atto illegale, o addirittura intraprendere una carriera criminale, bisogna avere motivazioni e competenze, e chiaramente un borseggiatore è diverso da un estorsore, o un truffatore. Ridimensionata la domanda possiamo quindi rispondere. Sì la “criminalità”, misurata dal Ministero dell’Interno come il totale delle denunce alle FF.OO è diminuita: passa infatti dai 4.475 ogni 100.000 abitanti nel 2006 ai 3.969 per 100.000 abitanti del 2023. Più della metà di questi reati  nel 2006 erano furti, nelle loro varie fattispecie (scippi, borseggi, di automobili etc.) ed è la loro drastica diminuzione ad aver consentito chiaramente la diminuzione dei reati (nel 2023 infatti i furti sono stati meno della metà dei reati complessivi). Si sono circa dimezzate le rapine e sono rimaste abbastanza stabili quelle legate alla violazione della normativa sugli stupefacenti. Anche la violenza inter-personale non mostra segni di recrudescenza, visto che le lesioni sono abbastanza stabili, le minacce in lieve diminuzione, e gli omicidi e i tentati omicidi in clamorosa diminuzione, essendo venuta meno in questi anni una certa propensione delle organizzazioni criminali mafiose a regolare la competizione tra clan con la violenza omicida, che indiscutibilmente tende a essere controproducente per la gestione delle attività criminose.


Accanto a queste diminuzioni sono aumentate di quasi un terzo le denunce per violenza sessuale (che su una scala ovviamente più piccola –perché più spesso non vengono denunciate- hanno raggiunto le 10 denunce ogni 100.000 abitanti), e sono quasi triplicate le truffe quelle tradizionali e quelle informatiche, ma con una prevalenza di queste ultime. Se guardiamo questa fotografia ne esce un quadro dove effettivamente la sicurezza derivante dall’infrazione di reati codificati non sembra certo essere un’emergenza, soprattutto se confrontata con un recente passato. I dati delle indagini di vittimizzazione italiana confermano abbastanza i dati amministrativi, che –soprattutto per alcuni reati- abbiamo visto contenere inevitabilmente delle distorsioni. I borseggi e le rapine si sarebbero addirittura dimezzate nella fase post-Covid ad un tasso addirittura superiore a quello registrato dai dati amministrativi, cosa che solitamente è però attribuibile al declino dei reati meno gravi.


Questi numeri mettono in discussione due pilastri del dibattito dell’opinione pubblica sulla criminalità degli ultimi anni. Il primo è che la maggior propensione a delinquere della popolazione immigrata avrebbe fatto innalzare il livello di criminalità generale e in particolar modo quello delle metropoli, dove risiede la maggior parte della popolazione straniera appunto. Il secondo, conseguente, è che, anche in virtù della crescente diseguaglianza sociale, stesse aumentando un problema di sicurezza nelle città che sarebbe andato a incancrenirsi, come abbiamo detto al contrario, la dimensione del crimine sembra essere sempre più domestica e virtuale. 

Prendiamo singolarmente i due punti. Se si contano gli autori per cittadinanza per singolo reato, la proporzione di autori stranieri sugli autori appare nettamente sovraradimensionata rispetto alla presenza di cittadini non italiani sul territorio. In parte esiste una sovrarappresentazione, in parte questa sovrarappresentazione è stata esagerata nel dibattito usando statistiche come il numero di autori sulla popolazione residente. Bisognerebbe ricordare per dare le giuste dimensioni al fenomeno che la popolazione non italiana  residente sul territorio alla quale vengono rapportati il numero di autori di reati stranieri, è concentrata nelle classi di età giovanili, che sono quelle principalmente attive nelle carriere criminali, mentre la popolazione italiana è ormai composta in maniera consistente di anziani. Se si confronta la presenza di autori italiani e stranieri nelle singole fasce di età, la differenza non scompare ma diminuisce molto rispetto a quella usualmente propagandata. In secondo luogo la popolazione straniera potrà essere anche sovrarappresentata tra le persone denunciate, ma è assolutamente minoritaria nella popolazione straniera, e lo è diventata ulteriormente in questi anni. I reati che sono diminuiti di più come abbiamo visto sono le varie fattispecie di furto. I reati, cioè, dove era riscontrabile la maggiore presenza di autori stranieri, e questo, nonostante i residenti non italiani siano aumentati esponenzialmente in questi anni. Se esistesse qualcosa come la propensione a delinquere di una categoria (su base etnica, sociale o qualunque altro criterio) non si sarebbe potuto verificare l’aumento di quella categoria e la diminuzione dei reati. 


Il secondo pilastro che viene a cadere è quello delle città italiane precipitate in un futuro distopico preda del crimine. Prima di spiegare perché la diminuzione dei reati di questi anni demolisce questo assunto bisogna chiarire un aspetto. Le città di dimensioni medio grandi hanno effettivamente un tasso di delittuosità più alto degli altri territori. Questo fatto è stato il conforto empirico alla tradizionale ossessione anglosassone per le classi pericolose, che altro non è che la memoria sociale della inurbazione violenta e accelerata del XIX° secolo. La teoria criminologica però ha da anni spiegato questa anomalia.


Se, come abbiamo visto, la maggior parte dei reati sono reati contro la proprietà, essendo il reddito procapite più alto nelle città la popolazione “predata” è più numerosa in ambiente urbano. Detto questo anche questa specificità si è in realtà molto smussata in questi anni, e quasi tutte le città italiane sono diventate meno esposte alla presenza di reati. Considerando la sola somma delle varie specie di furto, a Torino i reati sono molto diminuiti e l’eccedenza rispetto alla diffusione media nazionale si è dimezzata; a Genova si è praticamente annullata, ed è diminuita anche a Milano (anche se in misura minore) e a Roma. La maggior diffusione di reati è rimasta a Venezia e a Napoli. Sono eccezioni importanti perché data la storica tradizione turistica e la recente inclusione di Napoli nei processi della mega-macchina turistica, questo solo elemento ci suggerisce che la diffusione e la persistenza di alcuni reati ha più a che fare con i processi di turistificazione, che con la propensione a delinquere degli esclusi. 


Se è vera la teoria criminologica di medio raggio esposta sopra, dobbiamo ammettere che la maggiore circolazione di turisti dentro i centri delle città in questi anni è stata una consistente condizione di possibilità per chi si volesse impiegare in attività di questo tipo. Ovviamente parliamo comunque di fenomeni relativamente rari e che hanno una loro “fisiologia”.  Questa questione però rovescia la prospettiva urbana dell’analisi del crimine. Il punto non è solo controllare le periferie, ma proteggere i centri, visto che l’economia urbana italiana sarebbe seriamente scossa se un problema di micro-criminalità dovesse insorgere. In questa maniera diventano più comprensibili le parole dei politici liberali italiani che hanno fatto le loro fortune lanciando i processi di turistificazione, e ora vorrebbero ricostruire il centrosinistra occupandosi di uno dei pochi problemi sotto controllo nel paese.


Oltre alla facile ironia contro i social-liberisti italiani che predicano pragmatismo e realtà e vivono di propaganda, bisogna pensare se la questione sicurezza sia una merce così ossessivamente spinta sul mercato solo per questioni ideologiche o anche perché, in un quadro del tutto diverso alla cornice proposta dai liberisti italiani una questione esista davvero. Se si guarda all’arco di discesa di questo ventennio infatti i reati contro la proprietà hanno avuto dei rimbalzi, pur incapaci di invertire la tendenza storica, durante le due grandi crisi attraversate (quella del debito e quella pandemica). Non voglio istituire nessun nesso meccanico tra la crescita della povertà e la delittuosità. È questa una vecchia attitudine cattocomunista, che tende a guardare il crimine come un vuoto creato dalla necessità che venga riempito, ignorando la spinta soggettiva che c’è comunque dietro una professione illegale. È però innegabile che l’aggravarsi della questione sociale costituisca delle condizioni. Di questo però parleremo meglio collegandolo alla risposta alla seconda domanda che ci eravamo fatti all’inizio di questo percorso, cioè se sia veramente aumentata la paura.


Alberto Violante è un sociologo e organizzatore sindacale. Si occupa di crimine e mercato del lavoro.


bottom of page