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  • Immagine del redattore: Alberto Violante
    Alberto Violante
  • 8 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

La logistica come chiave del Capitale: sul libro di Andrea Bottalico

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La recensione al volume La Logistica in Italia di Andrea Bottalico (Carocci) ne mette in luce la duplice natura: un’indagine empirica rigorosa sul settore logistico nazionale e, insieme, un contributo che si inserisce nella tradizione dell’inchiesta sociale militante. Bottalico analizza la logistica non come semplice infrastruttura tecnica o comparto produttivo, ma come dispositivo centrale di riorganizzazione del rapporto tra capitale e lavoro. L’autore collega l’evoluzione tecnologica — dal container all’e-commerce — alle trasformazioni nella composizione della forza lavoro e alle scelte politiche e infrastrutturali che hanno plasmato l’economia italiana. La recensione sottolinea inoltre la capacità del libro di intrecciare analisi storica e teoria critica, riprendendo l’eredità del pensiero operaista per leggere le dinamiche contemporanee della produzione e delle relazioni industriali.


Martedì 11 novembre la redazione di ahida presenterà il libro di Bottalico presso la Casa del Municipio I in via Galilei 53 alle ore 18. Saranno presenti l'autore Andrea Bottalico e diversi relatori rappresentanti sindacali invitati a discutere con noi di questo importante testo. In calce alla recensione è possibile trovare la locandina con tutte le informazioni.

La recensione al volume La Logistica in Italia di Andrea Bottalico (Carocci) ne mette in luce la duplice natura: un’indagine empirica rigorosa sul settore logistico nazionale e, insieme, un contributo che si inserisce nella tradizione dell’inchiesta sociale militante. Bottalico analizza la logistica non come semplice infrastruttura tecnica o comparto produttivo, ma come dispositivo centrale di riorganizzazione del rapporto tra capitale e lavoro. L’autore collega l’evoluzione tecnologica — dal container all’e-commerce — alle trasformazioni nella composizione della forza lavoro e alle scelte politiche e infrastrutturali che hanno plasmato l’economia italiana. La recensione sottolinea inoltre la capacità del libro di intrecciare analisi storica e teoria critica, riprendendo l’eredità del pensiero operaista per leggere le dinamiche contemporanee della produzione e delle relazioni industriali.


Ci sono due maniere di descrivere il libro di A. Bottalico appena uscito per Carocci. Una è quella classica di un libro rigoroso, argomentato e originale. Sarebbe fargli un torto. Non perché non lo sia. Direi anzi che una fortuna è quella di trovarsi di fronte un libro di ricerca empirica sul settore logistico, con uno sguardo ampio oltre gli studi di caso. Fino ad adesso le ricerche hanno riguardato i singoli casi (a partire da Amazon), senza tentare uno sguardo complessivo sulla catena. Al contrario chi ha provato uno sguardo complessivo sulla catena logistica, l’ha utilizzata più come paradigma che come oggetto di ricerca. E, si sa, quando ci si innamora dei paradigmi, le differenze scompaiono. Qualcosa a metà tra Arrighi e il post-strutturalismo. E non che, anche chi ha praticato questa via, non abbia le sue ragioni. Da quattro anni a questa parte è sotto gli occhi di tutti come la guerra o i rischi di guerra plasmino le infrastrutture che reggono le vie commerciali.  al di fuori dello spazio di analisi critica la Logistica in questi anni è oggetto di una certa teoria della tecnica che mira a formare gli operatori del settore, che, se non ci fossero contributi come questo, rischierebbero di essere gli unici a trattare la Logistica come un mero settore di produzione industriale.


La seconda, e più interessante, maniera di leggere il libro di Andrea Bottalico è di partire prima ancora dell’indice, dalla dedica a Giovanni Mottura, uno degli ultimi eredi di quella generazione di militanti dell’Inchiesta sociale che trasferirono l’attività (allora si chiamava militanza) politica in un percorso di Ricerca, professionalmente e istituzionalmente riconosciuto dall’Università. Fu una stagione feconda che consegnò un’identità alla Sociologia Italiana come disciplina, oggi tristemente stretta tra l’imperialismo dell’Economia che ha saputo organizzarsi come tempio del pensiero dominante e un moderatismo asfittico che non riesce a dare un vero contributo alla crisi del nostro tempo, perché dismettendo la radicalità si è essa stessa disarmata. Al contrario Mottura, come Vittorio Rieser e molti altri, partivano da un pensiero posizionato in cui il piano dell’analisi era la dialettica tra Capitale, ma mi verrebbe da dire lavoro morto come tecnologia e innovazione depositata, e lavoro vivo in tutti i suoi aspetti. In tre parole la lotta di classe. L’oggetto della ricerca era invece “il segreto laboratorio della produzione” di marxiana memoria. Questo stile si poteva poi estendere dappertutto dalla fabbrica, ai campi, al quartiere. Ci sono parecchi indizi che il nostro autore persegua questa tesi. Il rapporto con la tecnologia, primariamente.  Nella descrizione di Bottalico, ci si potrebbe domandare perché soffermarsi così tanto sulla introduzione del container. Semplicemente perché all’interno del settore portuale, e poi della catena logistica questo piccolo uovo di Colombo rappresenta la centralità del salto tecnologico, e il salto tecnologico non è pesato nel suo impatto sulla produttività, ma nell’importanza dei suoi effetti sulla numerosità, la varietà, e le inclinazioni soggettive e le relazioni della forza lavoro con il Capitale (cose che tutte quante insieme una volta si sarebbero dette composizione della forza lavoro). Uguale discorso si potrebbe fare sull’e-commerce ed il complesso dell’ICT, ma effettivamente il tema nel libro è appena accennato perché ancora nessuno è probabilmente in grado di comprendere appieno quanto la logistica integrata di nuova generazione ne sia influenzata. Secondo indizio, il rapporto con le Politiche (che una volta si sarebbe detto il rapporto con lo Stato).


Nel libro è spiegato come la nota dipendenza dalle lobbies del Capitale delle industrie automobilistiche, così come la scarsità di Capitale e una visione miope delle imprese sono tutti fattori che contribuirono alla limitazione dello sviluppo della rete ferroviaria italiana. Lo scarso sviluppo della rete ferroviaria italiana è stata a sua volta una delle cause della deproletarizzazione della forza lavoro impiegata nei trasporti stradali e della prevalenza del lavoro autonomo; cosa che, a sua volta, fu certamente una opzione voluta dalla classe dirigente dell’epoca. Non si può al livello di centralizzazione dei Capitali oggi esistente, immaginare che gli assetti e gli equilibri della produzione (e la Logistica –come chiarisce l’autore- è una continuazione della produzione) non siano determinati, anche da scelte immediatamente politiche, ed il bello è che queste scelte in termini infrastrutturali hanno una “lunga durata” che è difficilissimo correggere. A partire da questo affrontiamo l’ultimo, ma non meno importante pregio del libro: il rapporto con il tempo storico. Una vecchia questione all’interno delle scienze sociali è il suo rapporto con la storia, intesa sia come disciplina che come ambientazione temporale. Le regolarità dei meccanismi sociali riconducibili all’accumulazione di Capitale bastano alla comprensione dei fatti? Il fatto che il container sia stato lo strumento attraverso cui il Capitale e le politiche hanno provato ad integrare i diversi segmenti del trasporto corrisponde ad una necessità di espansione del Capitale, per dirla con Harvey di trovare un assetto spazio temporale che riduca i tempi di circolazione della merce. Ma quanto questa tendenza generale deve fare i conti in Italia, con la piccola borghesia del trasporto che si è venuta a creare per le contingenze citate poco sopra? Per chi poi agita, organizza e interviene per modificare la realtà, il mix tra la tendenza e l’applicazione concreta della tendenza è tutto.


Da questo punto di vista il libro svolge forse il suo servizio interpretativo migliore nell’analisi delle relazioni industriali. Alcuni esempi. Il lungo sforzo dello Stato e degli apparati sindacali per ricondurre alla ragione in un sindacato categoriale dei trasporti, il ribellismo anarcoide dei sindacati di professione ferroviari ereditati dagli inizi del ‘900, si svolge in corrispondenza del declino del peso strategico delle ferrovie, e giunge a conclusione negli anni sessanta. Uno potrebbe pensare che a questo punto la partita sia finita. Invece ecco che arriva il movimento dei consigli e poi il sindacalismo di base negli anni ‘70, perché nella dialettica, da cui siamo partiti, tra capitale e lavoro non esiste mai una corrispondenza biunivoca e quindi un tempo unilineare determinato. La successione ferroviere, portuale facchino, viene raccontata piuttosto come una compresenza che una successione. Forse è questo il punto più forte dell’analisi di Bottalico aver fatto una doppia operazione: inforcare gli occhiali del futuro per rileggere il passato, e quelli del vecchio operaismo per leggere il futuro, e dobbiamo dire che da un picchetto in un piazzale di magazzino il futuro si vede benissimo.


Alberto Violante è un sociologo e organizzatore sindacale. Si occupa di crimine e mercato del lavoro.


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