periferie
- Alessia Pontoriero
- 4 lug
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 4 lug
Quarticciolo e il modello Caivano

Il testo analizza il Decreto Legge <<Caivano>> e il suo impatto su Quarticciolo, una delle periferie urbane italiane coinvolte nelle politiche emergenziali del governo Meloni. L'autrice critica l'approccio del governo, definendolo emergenziale, punitivo ed eterodiretto, sottolineando come l'uso di nomi di quartieri nei decreti contribuisca a stigmatizzare e marginalizzare intere comunità. A Quarticciolo, la risposta della cittadinanza è stata di resistenza attiva: è nato un Polo Civico che ha proposto un piano di riqualificazione dal basso, puntando su casa, lavoro, servizi e inclusione. Il testo mette in luce come l'intervento governativo, anziché rispondere ai bisogni reali, appaia guidato da logiche di consenso politico e controllo sociale, mentre la comunità locale rivendica il diritto a decidere il proprio futuro e gli abitanti a non essere trattata come <<abitanti di serie B>>.
Qualche giorno fa è stata celebrata la prima Giornata Nazionale delle Periferie Urbane dal governo e dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La proclamazione di questa giornata ci fa riflettere sull’attenzione che viene data a queste aree e sull’approccio differenziale a cui sono destinate. Anche in questo caso (legge 5 novembre 2024, n. 170) si parla di <<qualità della vita delle città e delle loro periferie>> come se le periferie fossero qualcosa di distinto dal resto della città. Questo approccio enfatizza lo stato di abbandono in cui sono state lasciate per decenni ma anche la concezione secondo la quale le periferie sarebbero un corpo estraneo e separato dalla città di cui preoccuparsi nel momento in cui sono troppo evidenti le manifestazioni di conflitto, di disagio e le evidenze di eccessiva disuguaglianza con il resto del territorio urbano.
La Giornata Nazionale delle periferie ricade il 24 giugno, giorno in cui si è verificato uno stupro di gruppo nel quartiere parco verde di Caivano, da cui è scaturito il decreto Legge <<Caivano>>. Il nome del decreto-legge è emblematico. L’intento sembra essere quello di individuare zone speciali d’intervento con l’effetto negativo di contribuire a stigmatizzare i luoghi e le persone che vi abitano. Denominare un decreto con il nome del luogo al quale è destinato rimarca la differenza con il resto dei territori. Come se ci fosse un peccato originale dalla quale non si può sfuggire. Implicitamente si configura un luogo incivile, depresso, abitato da abitanti immeritevoli, da cittadini di serie b. Le violenze di genere sono trasversali alla società e spesso vengono utilizzate opportunisticamente proprio per giustificare interventi di questa natura.
Il dl Caivano propagandato dal Governo Meloni come intervento in contrasto al disagio giovanile e alla dispersione scolastica sembra piuttosto pensato per allargare il consenso in aree dove il tasso di partecipazione al voto è bassissimo. Infatti, il criterio di scelta di queste aree rimane ancora del tutto opaco. Sembra rispondere più a fatti di cronaca che a un’effettiva conoscenza del territorio e delle sue problematiche. Tanto è vero che il commissario straordinario per la protezione civile, Fabio Ciciliano, nominato anche commissario per la gestione del Decreto "Caivano Bis", ha dichiarato, come riportato da il Post, quasi in contraddizione con il suo stesso partito, che il modello Caivano non può essere considerato un vero e proprio modello, ma solo un approccio. Questo sembrerebbe essere dovuto, principalmente, alla difficoltà che ha riscontrato a replicare le misure adottate a Caivano in altre aree, che sono effettivamente molto diverse tra loro.
Caivano, Quarticciolo, Scampia-Secondigliano, Rozzano, San Ferdinando, Orta Nova, Borgo Vecchio e San Cristofaro non sono luoghi sovrapponibili. Il mantra che viene utilizzato e che li descrive sembrerebbe quello della sicurezza. Un tema che tocca le corde di tanti e tante. La percezione del bisogno di sicurezza nelle periferie, se da un lato è stato indotto da decenni di propaganda della destra italiana (e non solo) sull’individuazione del nemico interno (soprattutto immigrati e giovani); dall’altro questa stessa percezione è realistica perché, se è vero che sono diminuiti i reati in valore assoluto è anche vero che decenni di politiche neoliberali hanno fatto in modo che nelle periferie si concentrasse tutto quello che la borghesia delle metropoli non vuol vedere.
Le caratteristiche del dl Caivano e del dl emergenze
<<L’approccio>> - dunque non il <<modello>> - del governo Meloni sulle periferie, veicolato dai decreti-legge Caivano e Caivano bis (il nome ufficiale è dl emergenze), ha quindi tre caratteristiche principali è emergenziale, eterodiretto e punitivo.
È emergenziale perché non risponde a politiche pubbliche universali che pensano a un intervento strutturale ma si concentra su interventi limitati nel tempo e nello spazio e, quindi, di efficacia dubbia. Sembra essere quasi un <<colonialismo interno>> tipico di periferie di altri paesi con una tradizione di immigrazione più lunga della nostra come paesi del nord Europa o gli Stati -Uniti. Inoltre, gli interventi a seguito di fatti di cronaca violenti ne giustificano l’immediatezza e quindi trovano il consenso nello scavalcare iter legislativi più lunghi che necessitano di un dibattito parlamentare. Anche qui sembra che Meloni non si sia inventata niente. Abbiamo già visto come l’applicazione di leggi emergenziali in Francia o durante la pandemia da Covid 19 sia stata il pretesto per accentrare sempre di più i poteri in mano all’esecutivo. Non stupisce, infatti, che una delle riforme costituzionale che Meloni vorrebbe portare avanti riguarda proprio l’elezione diretta del Presidente della Repubblica avvicinandosi al presidenzialismo d’oltralpe. La socialdemocrazia macroniana ha, in questo caso, perfino fatto scuola all’estrema destra italiana.
Un altro aspetto di questa emergenzialità riguarda uno degli obiettivi del Decreto <<Caivano>>. In teoria lo stanziamento di 180 milioni di euro sarà utilizzato allo scopo di combattere la dispersione scolastica e il disagio giovanile. Tuttavia, in maniera schizofrenica a conferma che la scelta d’intervento è arbitraria oltre che nociva, il Ministro Valditara ha disposto l’ennesimo accorpamento delle scuole (tra cui l’unica scuola del Quarticciolo), che porterà ulteriore dispersione scolastica e probabilmente la chiusura di altri plessi così come abbiamo visto per altre stagioni di dimensionamenti scolastici. Questa si che sembra essere una politica nazionale e con un effetto sul lungo periodo!
L’approccio del governo Meloni, e qui veniamo al secondo punto, è più punitivo che intento ad avere effetti positivi sui territori. Sembra avere lo scopo di controllare che tutto quello che succede nelle periferie non travalichi i territori di marginalità. Il decreto Caivano prevede il carcere per i genitori che non obbligano i figli ad andare a scuola e inasprisce le pene a carico dei giovani. E’ notizia di questi giorni che la Consulta, su sollecitazione del Tribunale di Padova e Bolzano, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 3 che prevede l’esclusione dalla messa alla prova coloro che sono accusati di “piccolo spaccio” o “spaccio di lieve entità”.
Allo stesso tempo la retorica sulla legalità vede equiparare pratiche di illegalità diffusa come le occupazioni abitative al business degli stupefacenti, portando avanti attraverso <<operazioni alto impatto>> perquisizioni di cantine e arresti sommari a sfratti e sgomberi. Questo tipo di approccio contribuisce al consolidamento delle condizioni delle periferie precarizzando ancora di più le condizioni di chi vi abita che risultano ancora più ricattabili sia dai business illegali sia all’interno della compagine del lavoro povero.
Infatti, il governo Meloni e chi l'ha preceduto non sembra avere a cuore la sicurezza della casa, della sanità pubblica, dell’educazione di qualità, della paga giusta e delle condizioni di lavoro dignitoso. La maggior parte degli abitanti delle periferie vengono sfruttati nella ristorazione del centro turistificato della città, nel comparto delle pulizie, nei servizi alla persona. Tutti lavori essenziali per il funzionamento della città; eppure, trattati come abitanti di serie b, come parassiti. Sarà che questo sventolare sicurezza, questa stigmatizzazione, questo approccio sia funzionale al tenere intatto il sistema economico di potere? E a mantenere le periferie dipendenti e in questa dipendenza, subordinate?
Terza e ultima caratteristica di questo approccio è l’eterodirezione. Il dl Caivano pretende di decidere quali sono gli interventi da far atterrare su una periferia attraverso una presunzione a priori di quello che abitanti hanno bisogno per poter migliorare le loro condizioni di vita. Come voler dire che non sono solo abitanti di serie b ma anche incapaci di esprimere un’opinione su stessi e sulla loro condizione.
L’esperienza del Quarticciolo
A partire da questi presupposti quando il governo Meloni ha deciso di intervenire su Quarticciolo, è diventata subito una sfida per la comunità. Quarticciolo e la sua ricca presenza di esperienze politiche e sociali è passata dal non essere preso in considerazione come parte integrante di una città ad avere a che fare direttamente con il Governo. Commissariato il quartiere, i suoi interlocutori non erano più i funzionari locali ma gli alti dirigenti politici governativi e comunali.
Quarticciolo però non era e non è un deserto. Decenni di politiche neoliberali hanno distrutto i territori, hanno distrutto il tessuto economico, quello sociale, quello politico, hanno imposto individualismo e logica della sopraffazione. Basti pensare all’epidemia di crack che imperversa in tutte le città analizzata bene nell’articolo “Walking Dead Quarticciolo” apparso su Jacobin. Da queste macerie però sono nate anche tante esperienze, in diverse città italiane, di resistenza e riscatto. Il tema, infatti non è solo quello di resistere alle politiche securitarie e punitive ma anche quello di utilizzare il dl Caivano e le risorse stanziate per ottenere il cambiamento radicale del quartiere che è evidente che così com’è non è accettabile, ma come e perché deve avvenire questo cambiamento lo decidono gli abitanti.
I tentativi del Governo di dividere il quartiere sul tema legalità e illegalità, sicurezza e degrado ha retto per i primi periodi. Nel momento in cui il primo provvedimento a supporto del dl Caivano ha visto lo sfratto di due donne con figlie, una delle quali prelevata a lavoro come una criminale, ha reso subito evidente a tutti e tutte che dovevamo stare insieme per affrontare questa sfida. Insieme, uniti ma senza eludere le fratture interne alla società, tra abitanti di lunga data e nuovi arrivati, tra garantiti e precari, tra vecchi e giovani, tra donne e uomini, anzi affrontandole e raccontando anche la frammentarietà e le contraddizioni delle periferie. Data questa capacità insita al quartiere non stupisce, infatti, che le prime dichiarazioni dei Fratelli d’Italia sul Quarticciolo dopo la pubblicazione del dl emergenze in gazzetta ufficiale si concentrassero sull’attacco alle realtà politiche e sociali del quartiere che effettivamente rappresentavano e rappresentano un’alternativa concreta alle politiche securitarie del governo. L’unico presidio che ha garantito un argine al business del crack, alla dispersione scolastica, alla desertificazione del quartiere.
Nei mesi successivi al decreto, le realtà del territorio si sono costituite in Polo Civico raccogliendo sotto questo nome tutte le realtà politiche, sociali e religiose del quartiere. Ha presentato alle istituzioni un piano dal basso di riqualificazione del quartiere dal nome <<Abbiamo un piano>> che prevede il completamento delle opere di ristrutturazione delle case popolari, la creazione di nuove economie di quartiere e la ricaduta della creazione di possibili posti di lavoro tra i residenti.
Gli abitanti di Quarticciolo non vogliono solo che il quartiere venga recuperato dal punto di vista esclusivamente fisico ma chiedono che le risorse investite per realizzare le infrastrutture siano utilizzate per migliorare la vivibilità del quartiere non per espellere chi ci vive. La lotta per la ristrutturazione delle case popolari, il completamento delle opere incompiute va di pari passo alla regolarizzazione delle famiglie sotto sfratto. Per evitare che queste vengano espulse dalle case popolari è fondamentale preservare il quartiere da una possibile gentrificazione dovuta alla riqualificazione urbana. I servizi, le attività sportive, le nuove economie devono essere realizzate <<dalla borgata per la borgata>> come recita un antico slogan del quartiere.
Il corteo organizzato il 1° marzo ha visto la partecipazione di 5.000 persone, provenienti anche da altre città, dimostrando che anche le parzialità possono diventare al centro della discussione politica nazionale. Per la prima volta dopo tanto tempo, <<la città>> si era riversata sulla periferia e la periferia era diventata al centro della metropoli. A questo proposito, fondamentale è stato anche il coinvolgimento attivo di pezzi di società: associazioni del terzo settore, centri sociali, movimenti femministi e ambientalisti, sindacati ma anche artisti, premi Nobel, studiosi, università, musicisti. Ognuno ha partecipato al processo di costruzione della battaglia del Quarticciolo con quello che sapeva fare e poteva/voleva mettere a disposizione. Il quartiere sa che è una battaglia difficile e che oggi <<nessuno si salva da solo>>. Come ci insegnano i lavoratori e le lavoratrici della Gkn, presenti con i loro tamburi il primo marzo, la convergenza delle lotte sgombera il campo dai microcosmi identitari e fa emergere lo scambio vincente di pratiche che rendono la lotta capace di ottenere risultati tangibili.
Il Quarticciolo è riuscito a vincere ancora per metà la sua battaglia a sei mesi dal decreto-legge. Il piano del Governo ha rispettato le richieste di intervento degli abitanti ma tanta strada rimane da fare per poter avere la garanzia della casa, della sanità, di un’educazione di qualità e di un lavoro dignitoso.
La battaglia di Quarticciolo per un cambiamento radicale è ancora lunga, come quella di molte altre periferie italiane. Può essere un’occasione per riaffermare il principio che la lotta territoriale è essenziale per contrastare la marginalizzazione e rompere la dipendenza delle periferie e i suoi abitanti dai centri di potere e di dominio prevedendo delle infrastrutture presenti sul quotidiano capaci di organizzare un conflitto per troppo tempo dispiegato sul livello orizzontale.