scienza e politica
- a cura di Gianfranco Pancino
- 17 ore fa
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# 4. Gli Ambulatori popolari gratuiti: una rete alternativa di cura e lotta per la salute. Municipalismo e salute: costruire dal basso. Laboratorio Salute popolare di Bologna

Il Laboratorio Salute Popolare (LSP) nasce a Bologna nel 2019 come parte della rete dei Municipi Sociali, con l’obiettivo di superare la risposta emergenziale alla crisi del Servizio Sanitario Nazionale. Fondato sull’esperienza di accoglienza e autogestione presso l’Ex Caserma Masini, il LSP si propone come uno spazio politico e sanitario che integra mutualismo, conflitto e progettualità. Offre servizi come ambulatori popolari, supporto psicologico e unità mobili, basandosi sul principio che la salute è un diritto collettivo legato a condizioni sociali e ambientali. Attraverso strumenti come il Triage Sociale e l'uso di intelligenza collettiva e artificiale, il LSP promuove un modello di <<oltremutualismo>>, che non si limita alla compensazione delle mancanze del sistema pubblico, ma mira a trasformare le pratiche di cura in infrastrutture politiche. In quest’ottica, gli ambulatori popolari diventano nodi di un welfare neo-municipalista, orientato all’autogoverno e alla giustizia sociale.
Il Laboratorio Salute Popolare nasce a Bologna nel 2019 all’interno della rete dei Municipi Sociali, con l’ambizione di andare oltre la semplice risposta emergenziale alla crisi del Servizio Sanitario Nazionale. L’idea prende forma dall’esperienza vissuta all’interno della Ex Caserma Masini, dove per qualche anno abbiamo autogestito un dormitorio costruito autonomamente (Accoglienza Degna) e dove lə compagnə con formazione sanitaria venivano continuamente chiamatə a rispondere ai bisogni di salute delle persone accolte. Con il passaggio di Làbas, uno dei tre Municipi Sociali, dalla Ex Caserma Masini a vicolo Bolognetti, avviene il salto di qualità: gli spazi di questo nuovo immobile, nel quale ci troviamo ancora oggi, si prestavano finalmente alla costruzione di un luogo dedicato alla pratica sanitaria. Un’altra spinta è arrivata anche dallə nostrə compagnə universitarə che, all’interno dei percorsi di formazione – soprattutto medico-infermieristica – si trovavano proiettati in dinamiche lavorative puramente prestazionali, lontane dall’idea di esercizio politico della professione sanitaria che aveva motivato la loro scelta. Fin dall’inizio, dunque, abbiamo deciso di non limitarci a offrire prestazioni a chi è escluso dal sistema pubblico, ma di sperimentare una pratica politica che intrecciasse mutualismo, conflitto e progetto.
Negli anni questo percorso si è concretizzato nell’apertura di uno sportello per l’accesso alle cure, di un ambulatorio odontoiatrico popolare, di un ambulatorio ginecologico, di uno studio di supporto psicologico e nell’allestimento di un’unità mobile di prossimità (a questo link trovate le nostre attività nel dettaglio: https://www.laboratoriosalutepopolare.it/cosa-facciamo/). Strumenti diversi, ma mossi da un’unica convinzione: la salute non è un bene individuale, ma un diritto collettivo che riguarda casa, reddito, relazioni sociali e condizioni ambientali, le ormai famose determinanti sociali della salute. In questo ci riconosciamo pienamente nelle riflessioni dellə compagnə dell’Ambulatorio Popolare Roma Est, che – interrogandosi sul «perché aprire un ambulatorio popolare?» – sottolineano l’importanza di questi spazi come luoghi capaci di immaginare un modo diverso di fare salute, integrato e umano. È una visione che condividiamo e che cerchiamo di tradurre nella nostra pratica quotidiana. Nel nostro caso, ad esempio, «fare inchiesta» significa utilizzare il Triage Sociale (https://www.laboratoriosalutepopolare.it/triage-sociale-2/), uno strumento che abbiamo creato per riappropriarci dei nostri dati e che non si limita a valutare i bisogni clinici, ma prende in carico l’insieme delle condizioni di vita della persona, trasformandole in percorsi di cura complessivi e, al contempo, in strumenti di advocacy verso le istituzioni. Ogni prestazione negata e ogni barriera burocratica viene così inchiestata, tracciata, analizzata e studiata per diventare occasione di rivendicazione di soluzioni pubbliche, dimostrando che l’esclusione non è frutto del caso, ma di precise scelte politiche.Ciò che caratterizza la nostra esperienza è il tentativo di collocare queste pratiche dentro una cornice che definiamo oltremutualismo. Non vogliamo infatti essere un mero tappabuchi del sistema sanitario, né ridurci a un pronto soccorso parallelo. Per noi «andare oltre il mutualismo» significa costituire una forma di solidarietà organizzata che non si esaurisce nella fornitura di servizi, ma che produce coscienza, conflitto e capacità di incidere sulle condizioni strutturali che determinano la salute. È un’eredità del mutualismo storico dei movimenti operai e cooperativi, ma adattata al presente: fluida, orizzontale, capace di interconnettere esperienze diverse e di contaminarsi con le sfide del nostro tempo.

L’oltremutualismo, così come lo pratichiamo al LSP, è fatto di reti: reti cittadine, che collegano il centro alle periferie attraverso l’unità mobile; reti associative, che animano i nostri spazi insieme ad altre realtà impegnate su temi affini; reti nazionali, come quella degli ambulatori popolari italiani; reti europee, come quella delle Social Clinics, che a fine settembre si riunirà nuovamente a Bologna; e reti tematiche, che intrecciano la salute con le lotte per l’ambiente, i diritti sociali, la giustizia di genere e la lotta contro il razzismo.Un’altra dimensione dell’oltremutualismo è l’uso combinato dell’intelligenza collettiva e dell’intelligenza artificiale. La prima si manifesta nella capacità di una comunità eterogenea – medici, psicologhe, dentisti, attivisti, cittadinə – di collaborare e generare soluzioni condivise (il marxiano «general intellect» tanto odiato da questa destra populista e conservatrice che ci governa). La seconda rappresenta una potenzialità nuova: analizzare dati sanitari, individuare tendenze epidemiologiche locali, migliorare la distribuzione dei servizi e personalizzare i percorsi di cura. Vogliamo che la tecnologia non sia strumento di esclusione, come troppo spesso avviene, ma una leva per rafforzare la partecipazione e amplificare le pratiche oltremutualistiche. Dentro questa prospettiva, gli ambulatori popolari diventano non solo presidi di prossimità, ma poli di aggregazione politica: luoghi in cui il malcontento individuale si trasforma in vertenza collettiva, in cui operatori sanitari e pazienti si riconoscono come soggetti politici e lottano insieme. È la declinazione concreta del nostro orizzonte di neo-municipalismo: costruire, a partire dai territori, forme di welfare municipale capaci di federarsi e imporre nuovi standard di salute. Il neo-municipalismo non è un concetto nuovo: se ne parla da tempo. Nel nostro caso specifico, però, intendiamo un modello di welfare e di governo della salute che non si limita a chiedere risorse a un SSN indebolito, ma che nasce direttamente nei territori, nelle comunità e nei quartieri. Un welfare municipale capace di federare esperienze diverse – ambulatori popolari, microaree, unità mobili, sportelli di prossimità – e di tradurre i bisogni in nuove istituzioni sociali.
Non si tratta di costruire piccole enclave autogestite, ma di generare un processo di autogoverno collettivo che metta in discussione la distanza tra chi cura e chi è curato, tra chi governa e chi subisce le decisioni. Il neo-municipalismo è la possibilità di dare forma a un livello intermedio: non un mutualismo che supplisce alle mancanze, non una vertenza rivolta unicamente allo Stato, ma un tessuto di pratiche che diventa infrastruttura politica. Ambulatori, laboratori, spazi sociali e unità mobili sono allora nodi di una rete che produce salute e, al tempo stesso, rivendica diritti, che costruisce soluzioni immediate ma apre immaginari più ampi di trasformazione. Siamo convinti che il diritto alla salute non possa essere difeso solo appellandosi a un SSN che, nella sua universalità, non esiste più. Occorre invece produrre qui e ora nuove forme di cura, di autogoverno e di democrazia conflittuale. La democrazia cui ambiamo non è quella liberale, rassicurante e statica, ma una democrazia dei conflitti, in cui il conflitto è materiale costitutivo della partecipazione e delle istituzioni che nascono dal basso. Un ambulatorio popolare, nel contesto neo-municipalista, non è dunque solo un luogo di cura, ma un campo di tensione politica in cui il conflitto – legato a diritti negati, esclusione e ingiustizia – diventa leva trasformativa.Gli ambulatori popolari, nelle loro diverse esperienze, sono pertanto il laboratorio di questa possibilità: non la soluzione definitiva, ma un tassello di un processo che unisce sperimentazione dal basso e mobilitazione politica, radicamento territoriale e visione generale. È in questo intreccio che vediamo la possibilità di riprenderci il diritto alla salute come parte di una più ampia battaglia per la giustizia sociale.