scienza e politica
- a cura di Gianfranco Pancino

- 13 minuti fa
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# 7. Gli Ambulatori popolari gratuiti: una rete alternativa di cura e lotta per la salute. Sedici anni di cura e lotta. La Microclinica Fatih a Torino

La Microclinica Fatih è un ambulatorio popolare e collettivo attivo dal 2009 all’interno del CSOA Gabrio, nel quartiere San Paolo di Torino. Nata per rispondere ai bisogni di salute delle persone escluse dal Servizio Sanitario Nazionale — in particolare migranti e richiedenti asilo — la clinica fonda la propria azione su tre principi cardine: una concezione sociale e collettiva della salute, l’orizzontalità nelle decisioni e l’indipendenza economica dalle istituzioni.
Nel tempo, la Microclinica ha adattato le proprie pratiche ai cambiamenti sociali e territoriali, affrontando nuove forme di disagio psicologico e sociale e sviluppando percorsi di cura collettiva, prevenzione e riparazione. Tra le iniziative più recenti figurano la campagna <<Luoghi di cura, non di paura>>, contro la violenza medica, e la Consultoria FAM, progetto transfemminista autogestito dedicato alla salute sessuale e ginecologica.
Le attività della Microclinica si intrecciano con quelle del centro sociale e di altri collettivi, promuovendo azioni di solidarietà, eventi comunitari e campagne per la difesa della sanità pubblica. Dopo sedici anni di esperienza, la clinica rappresenta un laboratorio di pratiche di salute autonome e mutualistiche, che si pongono in tensione critica e complementare rispetto a un sistema sanitario pubblico sempre più smantellato.
L'ambulatorio popolare "Microclinica Fatih" è uno spazio e un collettivo che si occupa di diritto alla salute e salute comunitaria nella città di Torino, a partire dal 2009.
L'approccio alla salute dell'ambulatorio si riflette in primo luogo nel nome. Il termine “Microclinica” richiama le pratiche di resistenza e di vita comunitaria delle comunità zapatiste del Chiapas, dove le microcliniche fanno parte del sistema sanitario autonomo del Caracol (i municipi) e sono spazi aperti, inclusivi, di accoglienza e cura per tuttə. “Fatih”, invece, era un uomo di 38 anni morto dopo essere stato privato di assistenza medica nel centro di detenzione di Torino (oggi CPR). Ciò rivela, da un lato, la tensione legata al desiderio di costruire pratiche di salute comunitaria in risposta ai meccanismi di esclusione del sistema sanitario e, dall’altro, la connessione con una prospettiva e una lotta antirazzista.
La costruzione di intersezioni tra diverse lotte sociali è centrale nelle attività della Microclinica e del centro sociale autogestito di cui da sempre fa parte, il CSOA Gabrio, situato nell'ex quartiere operaio di San Paolo, a Torino.
Tra il 2009 e il 2010, la città ha vissuto una fase intensa di occupazioni abitative e di lotta per la casa. Il CSOA Gabrio faceva parte di queste mobilitazioni e in alcune occupazioni cominciarono a emergere problemi di salute a causa dell'insalubrità e dell'assenza di riscaldamento dello stabile. Le persone occupanti erano per lo piu persone con background migratorio e richiedenti asilo con difficoltà e impedimenti - formali o sostanziali - di accesso al SSN. è in questo contesto che è nata l'idea di aprire un ambulatorio popolare dentro al Gabrio. L'ambulatorio era la forma di azione diretta che piu di altre permetteva di rispondere a diversi bisogni e obiettivi: seguire e curare persone che non potevano accedere ai servizi e permettersi le medicine, e costruire lotte per rivendicare il diritto alla salute per tuttə.
Il funzionamento della Microclinica si fonda su tre principi fondamentali. Il primo è una concezione sociale della salute, che si riflette in diversi aspetti dell’organizzazione. L'ambulatorio è aperto una o due volte la settimana, con accesso libero e senza prenotazione. Al suo interno possono svolgersi sia visite mediche, sia momenti di orientamento sociosanitario e, in ogni caso, con nessuno che indossa un camice. Durante le consultazioni mediche, l’obiettivo è quello di raccogliere e interpretare i sintomi delle persone all’interno del contesto fisico, sociale ed economico in cui si sono manifestati, così da evitare letture e soluzioni esclusivamente medicalizzanti e centrate sul farmaco. Quest’ultimo, infatti, è spesso percepito come la risposta più immediata, concreta ed efficace, anche da parte delle/gli stessə utenti.
Il secondo principio è l’orizzontalità, si concretizza nei modi in cui la Microclinica prende le decisioni e organizza la sua azione, ovvero con un’assemblea mensile aperta a militantə e utenti. Per far fronte al fatto che alcunə utenti possano incontrare ostacoli legati alle norme implicite di partecipazione o al ritmo specifico dell’impegno militante, sono state introdotte forme alternative di coinvolgimento, come i pasti collettivi o le attività di autofinanziamento. Infine, il terzo principio centrale è quello dell’indipendenza: la Microclinica rifiuta qualsiasi finanziamento proveniente da istituzioni pubbliche, donazioni o fondazioni private, garantendo così la propria autonomia, che tuttavia comporta una precarietà strutturale e che può tradursi in oscillazioni del numero di attività organizzate o dei giorni di apertura, passando in alcuni periodi da due giorni a uno solo.
La traduzione concreta di questi tre principi, pur costitutiva dell’identità del centro, è costantemente attraversata da tensioni e contraddizioni. Queste riguardano, ed esempio, la difficoltà di conciliare i tempi di vita e di militanza per chi porta avanti l'ambulatorio, o le diverse aspettative e possibilità di partecipazione di chi vi prende parte. Lungi dall’essere visti come ostacoli, tali tensioni rappresentano un terreno di confronto costante su cosa significa costruire azione politica diretta nel campo della salute e delle forme autogestite di cura. Mettere in primo piano questi nodi problematici è fondamentale: significa non cristallizzarsi in pratiche routinarie e non rimanere immobili di fronte a un mondo che cambia. Al contrario, l’interrogarsi continuamente su ciò che si porta avanti costituisce una condizione necessaria per comprendere come immaginare e tradurre in pratiche modalità di cura collettiva che siano al tempo stesso efficaci e trasformative.
Infatti, nel tempo, le principali aree di intervento dell'ambulatorio sono cambiate, anche adattandosi ai mutamenti del nostro quartiere e della nostra città.
Oggi, ad esempio, pur continuando a vedere persone con background migratorio, incontriamo sempre più spesso persone con fragilità psicologica e psichiatrica, persone da "aggiustare" in un sistema che ci vuole efficienti, produttivə, adattatə alle richieste di sfruttamento e consumo della nostra società ultra-capitalista.
I cambiamenti intercorsi fuori di noi ci hanno interrogato anche sulle nostre pratiche, portando a profonde mutazioni.
Quello che portiamo avanti oggi all'interno della Microclinica è il tentativo di fornire un sapere medico e sociale e un modello di cura che rompe il rapporto di potere medico-paziente (cosi come medico-altro sanitario non sanitario), portato avanti da microequipe di lavoro orizzontale (persona sanitaria -altro profilo professionale- persona con bisogno di cura). Condividendo un sapere che è di pochə, ma che coinvolge tuttə e deve essere distribuito e rimesso in discussione nel come è pensato ed usato.
La cura inoltre non è solo quella dell'acuzie, ma deve essere estesa alla prevenzione (con attenzione particolare sui determinanti sociali)e prolungarsi anche oltre, con un processo riparativo e di riattivazione. Di questo in particolare ci stiamo occupando con la campagna "Luoghi di cura, non di paura", un percorso politico incentrato sul tema della violenza medica, attraverso il quale abbiamo raccolto e dato voce a testimonianze di violenza medica subite in ambito ginecologico, psichiatrico, oncologico e in generale negli ambienti di cura. A queste testimonianze abbiamo dato eco e lettura tramite presidi sotto gli ospedali, in radio, nei nostri spazi. La campagna si pone l'obiettivo di mappare luoghi di salute sicuri, e di formare il futuro personale sanitario partendo dalle testimonianze stesse di violenza medica. Qui le pratiche della Microclinica Fatih si intrecciano con quelle del più ampio movimento transfemminista, che porta avanti lotte e campagne pubbliche contro le restrizioni al diritto all’aborto, la violenza ostetrica e il medical gaslighting. Un altro esempio della costruzione di pratiche partecipative “dentro e oltre” la Microclinica Fatih riguarda la collaborazione con un’esperienza nata quest’anno nel centro sociale autogestito CSOA Gabrio a seguito di un processo di co-costruzione: la “Consultoria FAM”, un’iniziativa autogestita volta a offrire consulenza in ambito sessuale e ginecologico, promossa dal collettivo transfemminista Non una di meno, dal collettivo Sei Trans? e dalla stessa Microclinica Fatih. La Consultoria FAM organizza consulti ginecologici, gruppi di mutuo aiuto e di auto-esplorazione, e sviluppa pratiche di prossimità e partecipazione accanto a iniziative politiche e pubbliche rivolte a donne, persone trans e non-binarie assegnate femmine alla nascita. La Microclinica Fatih e la Consultoria FAM si incontrano periodicamente in assemblee condivise e molte persone che accedono all’una si rivolgono anche all’altra. Vengono regolarmente organizzate iniziative di coinvolgimento comunitario: un esempio recente è stato un festival pubblico, aperto al quartiere, promosso congiuntamente dalla Consultoria FAM e dalla Microclinica Fatih, che ha posto al centro temi legati alla prospettiva dell’impegno comunitario: “La salute come benessere comunitario”; “La salute come lotta collettiva contro le disuguaglianze”; “L’arte come cura”; “Riprendiamoci i nostri corpi”.
Le attività hanno incluso laboratori teorici e pratici sul rapporto tra salute e alimentazione, gruppi di mutuo aiuto per persone con malattie difficili da diagnosticare – portatrici di difficoltà sociali, economiche e relazionali connesse – laboratori costruiti insieme alle donne che frequentano la Microclinica Fatih per definire i loro bisogni di salute e sociali, e infine una passeggiata pubblica e comunicativa nel quartiere. Costruire un festival come questo ci permette di rafforzare il coinvolgimento con il quartiere, accrescere la consapevolezza sull’impatto degli aspetti sociali sulla salute, e mappare le risorse comunitarie necessarie per affrontare le disuguaglianze e contrastare l’esclusione sociale e la marginalizzazione.
Svolgere le attività all’interno di un centro sociale non solo permette un’azione coordinata con altre lotte sociali, ma facilita anche i collegamenti con altre esperienze che si svolgono dentro e intorno allo spazio della clinica. Nella stanza accanto alla clinica si trova, ad esempio, lo sportello legale, dove si offre assistenza legale gratuita e si organizzano iniziative antirazziste e contro i centri di detenzione. Allo stesso modo, durante la pandemia come Microclinica Fatih abbiamo collaborato con il gruppo solidale “SOS spesa”, nato durante il lockdown per sostenere persone e famiglie del quartiere attraverso la distribuzione di alimenti. Accanto alle iniziative rivolte al più ampio ecosistema dell'ambulatorio, abbiamo costruito altre pratiche di partecipazione e coinvolgimento, specialmente per gli utenti, con cui vengono organizzate cene sociali di autofinanziamento. La partecipazione e la costruzione condivisa di iniziative di diverso tipo aiutano a mettere meglio a fuoco come l’investimento nella costruzione di processi di coinvolgimento comunitario non riguardi soltanto le pratiche mediche, ma la questione della salute nel suo complesso. Il filo conduttore di questi processi comunitari è la costruzione di una (ri)presa di parola sulla salute, tanto individuale – nelle consultazioni mediche – quanto collettiva – nelle iniziative pubbliche.
La lotta per la salute passa anche attraverso la difesa e la rivendicazione di un servizio sanitario pubblico, universale e finanziato. Per questa ragione, come Microclinica abbiamo sempre partecipato alle mobilitazioni per la sanità pubblica, come nel caso della campagna per la riapertura del Maria Adelaide – un ex ospedale chiuso da anni – che durante la pandemia è divenuto simbolo della necessità di risorse pubbliche per affrontare l’emergenza. Un altro nodo centrale, che ha rappresentato negli anni una tensione generativa, è il rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale. Uno degli slogan fondativi della Microclinica Fatih era infatti “Aprire per chiudere”: l’idea non era sostituirsi alle istituzioni pubbliche, ma offrire una risposta alle loro mancanze, rivendicando al contempo il diritto incondizionato alla salute e il rafforzamento del servizio pubblico. Dopo sedici anni di vita della Microclinica, tuttavia, questo orizzonte si è trasformato.
Il processo sempre più capillare e violento di smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale e l’avanzata della sanità privata nelle sue diverse forme (cliniche, assicurazioni, etc.) non solo contribuiscono a rendere sempre piu difficile la presa in carico sociosanitaria delle persone, ma cambiano gli stessi fondamenti organizzativi ed epistemici del sistema sanitario pubblico, sostenendo la crescite di logiche biomediche , individualizzanti e poco sensibili alle dimensioni sociali, relazionali e collettive della cura. Dopo sedici anni, possiamo dire che la Microclinica non è piu una risposta puntuale ad un'emergenza perchè la sua azione collettiva è inserita in un processo di lunga durata, ma, allo stesso tempo, non vuole agire in una logica di supplenza e compensare le mancanze del pubblico e la mancata presa in carico sociosanitaria di gruppi sociali marginalizzati. In questo contesto, il motto «aprire per chiudere» non scompare, ma si trasforma: cessa di essere un orizzonte programmatico immediato per diventare un principio costantemente messo in tensione dallo stato attuale del sistema sanitario pubblico italiano e che contribuisce a mantenere viva la domanda politica su come intrecciare pratiche di cura autonome e mutualistiche con la difesa collettiva di un servizio pubblico di salute.

