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  • Immagine del redattore: Marco Sommariva
    Marco Sommariva
  • 19 giu
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 20 giu

Scoraggiare ogni iniziativa, ogni attività umana

Paolini
Paolini

Marco Sommariva ci porta ad esplorare un Primo Levi sconosciuto, diverso dal suo romanzo più conosciuto Se questo è un uomo. Quando pubblicava sotto lo pseudonimo Damiano Malabaila raccontava di mondi distopici. Raccontava di noi.

Lo scrittore torinese Primo Levi è molto conosciuto per alcuni suoi romanzi – Se questo è un uomo, La tregua, Se non ora, quando? – molto meno, purtroppo, per i suoi racconti: quindici di questi sono stati scritti nell’arco di vent’anni (1946-1966) e raccolti nel volume Storie naturali, pubblicato sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila, cognome che in piemontese significa «cattiva balia».


In questi scritti si trova di tutto, anche l’anticipazione di un avvenire non sempre rasserenante. 

Mentre oggi ci troviamo a fare i conti con romanzi scritti dall’intelligenza artificiale, in questo libro Primo Levi già ci raccontava di poesie che sarebbero state prodotte, a breve, da un macchinario capace di scriverle in tutte le lingue europee vive o morte: «Se lei cerca un poeta meccanico vero e proprio, dovrà aspettare ancora qualche mese: è in fase di avanzata progettazione presso la nostra casa madre, a Fort Kiddiwanee, Oklahoma. Si chiamerà The Troubadour, <<Il trovatore>>: una macchina fantastica, un poeta meccanico heavy-duty, capace di comporre in tutte le lingue europee vive o morte, capace di poetare ininterrottamente per mille cartelle, da -100° a +200° centigradi, in qualunque clima, e perfino sott’acqua e nel vuoto spinto. […] È previsto il suo impiego nel progetto Apollo: sarà il primo a cantare le solitudini lunari».


Mentre oggi qualcuno si sorprende nel leggere che è in atto un boom di richieste per l’ibernazione post-mortem, lo scrittore torinese ci raccontava di persone congelate e scongelate alla bisogna, in quel di Berlino nell’anno 2115: «[…] Patricia ha 163 anni, di cui 23 di vita normale, e 140 di ibernazione. Ma scusatemi, Ilse e Baldur, credevo che conosceste già questa storia. Scusatemi anche voi, Maria e Robert, se ripeto cose che già sapete: cercherò di mettere al corrente in breve questi cari ragazzi. Dunque dovete sapere che la tecnica dell’ibernazione fu messa a punto verso la metà del XX secolo, essenzialmente a scopo clinico e chirurgico. Ma solo nel 1970 si arrivò a congelamenti veramente innocui e indolori, e quindi adatti a conservare a lungo gli organismi superiori. Un sogno diveniva così realtà: appariva possibile «spedire» un uomo nel futuro. Ma a quale distanza nel futuro? Esistevano dei limiti? E a quale prezzo? Appunto per istituire un controllo a uso dei posteri, che saremmo poi noi, fu bandito nel 1975, qui a Berlino, un concorso per volontari. […] E Patricia è uno di questi […]. A quanto risulta dal suo libretto personale, che sta nel frigo con lei, è anzi stata la prima classificata. Possedeva tutti i requisiti, cuore, polmoni, reni ecc. in perfetto ordine; un sistema nervoso da pilota spaziale; un carattere imperturbabile e risoluto, una emotività limitata, e infine una buona cultura e intelligenza. Non che la cultura e l’intelligenza siano indispensabili per sopportare la ibernazione, ma, a parità di condizioni, furono preferiti soggetti di alto livello intellettuale, per evidenti ragioni di prestigio nei confronti nostri e dei nostri successori».


E ancora… nel 2018 una rivista americana ha pubblicato un articolo intitolato «Anche se l’intelligenza artificiale potesse curare la solitudine dovrebbe farlo?», e la domanda nasceva dal fatto che già si riconosceva ai sistemi intelligenti la capacità potenziale di far compagnia alle persone, che già esistevano intelligenze artificiali capaci d’imparare dai comportamenti degli esseri umani e di adeguare le proprie risposte a quelle che l’utilizzatore preferisce. Bene, anche in questo caso, circa il sentirsi dare ragione da un circuito stampato, ne aveva già scritto Levi: «Ho già preparato una bozza del volantino pubblicitario che vorrei diffondere per le prossime feste […]. Una volta che la moda sia lanciata, chi non regalerà a sua moglie (o a suo marito) un Calometro tarato su una sua fotografia? Vedrà, saranno pochi a resistere alla lusinga del K 100: ricordi la strega di Biancaneve. A tutti piace sentirsi lodare e sentirsi dare ragione, anche se soltanto da uno specchio o da un circuito stampato».


Per non parlare di come lo scrittore torinese sia stato capace di anticipare uno dei fenomeni più allarmanti dei nostri giorni, ossia la facilità di tarare l’uomo medio facendogli credere ciò che si vuole, compreso che un certo partito è il solo depositario della verità: «Ho insistito su quello che ritengo il fenomeno più allarmante della civiltà d’oggi, e cioè che anche l’uomo medio, oggi, si può tarare nei modi più incredibili: gli si può far credere che sono belli i mobili svedesi e i fiori di plastica, e solo quelli; gli individui biondi, alti e con gli occhi azzurri, e solo quelli; che è solo buono un certo dentifricio, solo abile un certo chirurgo, solo depositario della verità un certo partito […]».

Fra le varie anticipazioni di Primo Levi c’è anche quella letta ultimamente sui giornali, la possibilità di confessarsi senza la reale presenza di un prete; oggi è l’intelligenza artificiale a entrare in un confessionale, così com’è successo a Lucerna dove un ologramma di Gesù consente ai fedeli di confessarsi virtualmente, in un racconto di Storie naturali è un confessore portatile approvato dalla Chiesa a risolvere il problema: «Mi aveva […] telefonato verso Ferragosto, per chiedermi se mi interessava un Turboconfessore: un modello portatile, rapido, assai richiesto in America e approvato dal cardinale Spellman».


Infine, l’ennesimo colpo di genio: il casco da indossare per catapultarsi in qualsiasi realtà virtuale dove ogni desiderio verrà assecondato lasciandoti comodamente chiuso in camera tua. Leggete questo dialogo: «Col Torec, concluse Simpson, uno è a posto. Lei comprende: qualunque sensazione uno desideri procurarsi, non ha che da scegliere il nastro. Vuole fare una crociera alle Antille? O scalare il Cervino? O girare per un’ora intorno alla terra, con l’assenza di gravità e tutto? O essere il sergente Abel F. Cooper, e sterminare una banda di Vietcong? Ebbene, lei si chiude in camera, infila il casco, si rilassa e lascia fare a lui, al Torec». 

Rimasi in silenzio per qualche istante, mentre Simpson mi osservava attraverso gli occhiali con curiosità benevola.

«Lei mi sembra perplesso,» disse poi.

«Mi pare» risposi, «che questo Torec sia uno strumento definitivo. Uno strumento di sovversione, voglio dire: nessun’altra macchina della NATCA, anzi, nessuna macchina che mai sia stata inventata, racchiude in sé altrettanta minaccia per le nostre abitudini e per il nostro assetto sociale. Scoraggerà ogni iniziativa, anzi, ogni attività umana: sarà l’ultimo grande passo, dopo gli spettacoli di massa e le comunicazioni di massa. A casa nostra, per esempio, da quando abbiamo comperato il televisore, mio figlio gli sta davanti per ore, senza più giocare, abbacinato come le lepri dai fari delle auto. Io no, io vado via: però mi costa sforzo. Ma chi avrà la forza di volontà di sottrarsi a uno spettacolo Torec? Mi sembra assai più pericoloso di qualsiasi droga: chi lavorerebbe più? Chi si curerebbe ancora della famiglia?».


A parer mio, Primo Levi aveva visto lontano: «scoraggerà ogni iniziativa», «[scoraggerà] ogni attività umana», «mi sembra assai più pericoloso di qualsiasi droga». Non conoscete nessuno affetto da una di queste tre «sindromi», se non addirittura da tutte e tre?

E proprio perché di droga si tratta, è perduto chi ne fa uso e anche chi vorrebbe smettere di utilizzarla: «[…] Simpson non prova noia durante la fruizione, ma è oppresso da una noia vasta come il mare, pesante come il mondo, quando il nastro finisce: allora non gli resta che infilarne un altro. È passato dalle due ore quotidiane che si era prefisso, a cinque, poi a dieci, adesso a diciotto o venti: senza Torec sarebbe perduto, col Torec è perduto ugualmente. In sei mesi è invecchiato di vent’anni, è l’ombra di se stesso. […] S’avvia verso la morte, lo sa e non la teme: l’ha già sperimentata sei volte, in sei versioni diverse, registrate su sei dei nastri dalla fascia nera».

Nel risvolto della prima edizione Einaudi del 1966 di Storie naturali, fra le altre cose, leggiamo che «I quindici “divertimenti” che compongono questo libro ci invitano a trasferirci in un futuro sempre più sospinto dalla molla frenetica del progresso tecnologico, e quindi teatro di esperimenti inquietanti o utopistici, in cui agiscono macchine straordinarie e imprevedibili. Eppure non è sufficiente classificare queste pagine sotto l’etichetta della fantascienza».


Nella prefazione di Se questo è un uomo pubblicata nel ’47, Primo Levi ha scritto: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, […], allora, al termine della catena, sta il Lager».


Cosa c’entrano adesso il risvolto del ’66 e la prefazione del ’47? Forse solo a dimostrare a certi agenti letterari sempre intenti ad appiattire ogni battito di penna, che non è vero che un autore debba scrivere sempre con identico stile e per lo stesso genere – «se scrivi gialli non puoi scrivere di Resistenza, e viceversa» – perché, sappiatelo, questo è quanto ci si sente dire negli uffici di tali signori, gli unici autorizzati a presentare un tuo dattiloscritto alle grandi case editrici. Diversamente, ce lo meritiamo che un’intelligenza artificiale ci sostituisca: è un attimo risultare più brillanti di determinati plot consolidati – pensa te! – e «suggeriti» da certi agenti letterari.

E se fosse proprio il progresso tecnologico un’infezione latente che ogni tanto si manifesta e a cui spianiamo la strada? E se gli atti saltuari e incoordinati con cui ogni tanto si manifesta, fossero gli esperimenti inquietanti a cui il Potere ci sottopone quotidianamente? E se alla fine di tutto questo ci attendesse il lager? E se il Potere si fosse evoluto e affinato a tal punto da essere già riuscito a rinchiuderci in un lager senza che noi, distratti da una realtà virtuale e ammansiti da un circuito stampato che ci dà sempre ragione, ce ne rendessimo conto?


Di un’altra interessante raccolta di racconti di Primo Levi, Vizio di forma, ve ne parlerò un’altra volta.

Marco Sommariva (Genova 1963) è autore di numerosi romanzi e testi di critica letteraria.

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