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  • Immagine del redattore: Marco Sommariva
    Marco Sommariva
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 4 giorni fa

Donne chiuse in casa, sottomesse e soddisfatte. La donna perfetta di Ira Levin

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Giorni fa, un mio giovane lettore entusiasta della serie televisiva Back mirror, mi ha chiesto se mi andasse di consigliargli un film distopico e, benché avessi in mente Arancia meccanica di Stanley Kubrick, La decima vittima di Elio Petri, Blade runner di Ridley Scott e Fahrenheit 451 di François Truffaut, qualcosa in testa mi ha fatto rispondere La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes.

La fabbrica delle mogli è un film del 1975, tratto da un romanzo del ’72 di Ira Levin, La donna

perfetta.

Il libro è ambientato nel 1972, e inizia a New York, una città troppo pericolosa per crescerci dei figli; per questo, Joanna – moglie, madre e fotografa dilettante – si trasferisce con la famiglia nell’idilliaca cittadina (immaginaria) di Stepford, nel Connecticut.  

Joanna è una giovane americana degli anni Settanta, figlia di un’epoca in cui le femministe si ribellano all’ingrato destino di graziosi angeli del focolare, mettono al bando busti, giarrettiere, pinzette e reggiseni; dunque, è naturale che, una volta arrivata a Stepford, stringa amicizia con Bobbie e Charmaine, le sole donne che, arrivate anche loro da poco nella cittadina, appaiono emancipate e brillanti come lei.

A Stepford, le mogli sembrano tutte stranamente calme, deliziose e avvenenti, bambole insulse che adorano fare shopping, pulire la casa e piegarsi senza batter ciglio ai voleri dei loro uomini.

Nell’idilliaca cittadina ha sede un misterioso Club degli uomini; si dice che uno dei membri sia un esperto di materie plastiche, un altro un pioniere della tecnologia robotica, un altro ancora uno studioso eminente del linguaggio umano e uno, infine, pare essere un illustratore bravissimo nell’accentuare i tratti femminili, capace di trasformare in autentiche bellezze tutte le donne ritratte, esagerandone capelli, occhi e labbra – questo elenco verrà utile più avanti.

Il Club è frequentato anche dall’avvocato Walter Eberhart e da Dave, mariti rispettivamente delle Joanna e Bobbie citate prima.

Pubblicato per la prima volta nel 1972, in piena rivoluzione femminista, La donna perfetta apparve allora come un agguato al movimento di liberazione della donna, un irresistibile racconto sulla rivincita degli uomini; oggi, a oltre cinquant’anni di distanza, in un’epoca in cui Stepford è un po’ dappertutto, l’opera di Ira Levin appare come un inquietante libro profetico.

A Stepford, mentre gli uomini escono tutte le sere, le donne restano a casa, magari per dare la cera al pavimento del tinello:

«Quella Carol Von Sant è da non credersi» raccontò Joanna, «Non può venire a bersi un caffè perché deve dare la cera al pavimento del tinello. Ted va al Club degli uomini tutte le sere e lei rimane a casa a sbrigare le faccende» […] «In confronto a lei» continuò Joanna, «mia madre è una donna emancipata».


A Stepford, cittadina intrisa di sessismo retrogrado, non esiste un’organizzazione femminile: Discussero la faccenda: l’assurdo di quel settarismo e di quel sessismo retrogrado, l’ignobile ingiustizia di una città priva di organizzazioni femminili, dove non c’era neppure una Lega delle elettrici.

«Credimi, sono andata in perlustrazione» assicurò Bobbie. «Ci sono il Circolo di giardinaggio, qualche gruppetto parrocchiale costituito da vecchie galline… […] E infine c’è la Società di Studi Storici, molto liberale e aperta a entrambi i sessi. Facci una capatina per salutarli. Mummie che fanno finta di essere vive».Dave si era iscritto al Club degli uomini e, come Walter, credeva di poterlo modificare dall’interno. Ma Bobbie la pensava diversamente: «Vedrai, dovremo incatenarci ai cancelli per ottenere qualcosa […]». Discussero la possibilità di organizzare un incontro con le vicine di casa, per renderle consapevoli del ruolo più attivo che potevano ricoprire nella vita cittadina; ma gli esemplari che avevano conosciuto, convennero entrambe, non sembravano tipi da reagire positivamente anche a un’iniziativa così modesta sulla via dell’emancipazione.


Di certo, le due donne – Bobbie e Joanna – non sono tipe da starsene con le mani in mano, passive: […] si ribellò Bobbie «Dovremmo almeno fare un tentativo. Parliamo a queste brave massaie, deve pur essercene qualcuna che non digerisce bene la situazione. Che ne dici? Non sarebbe bello se riuscissimo a mettere insieme un gruppetto, e magari addirittura organizzare un incontro sull’emancipazione femminile, per dare una buona scrollata a quel Club maschile? Dave e Walter si fanno delle illusioni: non cambieranno mai niente, a meno che non ci siano costretti. È sempre così, con queste organizzazioni di prepotenza istituzionalizzata. Tu che ne dici, Joanna? Sentiamo un po’ in giro?» Joanna assentì: «Proviamoci pure. Non possono essere tutte soddisfatte come appaiono».


Ma nonostante tutti i loro sforzi, raccolgono ritorni poco incoraggianti; pare che a Stepford le donne non sentano il bisogno di svagarsi:Incontrò Mary Ann Stavros in una corsia del supermercato «No, non ho proprio tempo per simili faccende [incontrarsi con altre donne]. Ci son sempre tante cose da fare in casa, sai com’è». «Ma uscirai pure qualche volta, no?» insistette Joanna, «Ma certo» replicò Mary Ann, «In questo momento sono fuori, no?» «Intendo per conto tuo. Per svagarti». Mary Ann sorrise e scosse la testa, facendo ondeggiare la massa di capelli biondi e lisci «No, non spesso» rispose «Non sento un particolare bisogno di svagarmi. Arrivederci». E si allontanò spingendo il carrello; poi si fermò, prese un barattolo dallo scaffale, lo guardò, lo mise nel carrello e proseguì.


In quest’idilliaca cittadina del Connecticut, le mogli sembrano tutte attrici bellocce di spot pubblicitari, dal seno generoso ed estasiate da detersivi e cere per pavimenti:

«Intanto io ripiego questa roba» si scusò Kit, allontanandosi dal tavolo. […] «Com’è bianco e pulito questo bucato, vero?» Sorridendo sistemò nel canestro la maglietta ripiegata. Come un’attrice della pubblicità. Ecco cos’è, capì all’improvviso Joanna. Ecco che cosa sono tutte queste alacri mogli di Stepford: attrici di spot pubblicitari, estasiate da detersivi, cere per pavimenti, smacchiatori, shampoo e deodoranti. Attrici bellocce, dal seno generoso ma dal talento limitato, che recitano la parte di massaie suburbane in modo poco convincente, troppo caramellose per essere autentiche.


Sì, tutte le donne di Stepford paiono un ammasso di banali casalinghe, e con tette strepitose: «Dev’esserci qualcosa» riprese Bobbie «nel terreno, nell’acqua, nell’aria… Non so. Qualcosa che riduce le donne a interessarsi solo di faccende domestiche. Chi conosce gli effetti di certi prodotti chimici? Neanche i premi Nobel li sanno con precisione. Magari ha a che fare con gli ormoni; così si spiegherebbero quelle tette strepitose. Le avrai notate anche tu», «certo che sì!» esclamò Joanna «quando metto piede nel supermercato mi pare di essere tornata alla preadolescenza», «anche a me, perdiana».


Ma c’è una spiegazione a tutto questo. Le mogli tutte casa e figli, grosse tette e nessuna pretesa, sono ridotte in quelle condizioni perché non sono più esseri umani, vere donne, e questo grazie al Club degli uomini che è in grado di sostituire… diciamo così… l’originale:

«Quanto ti costa? Me lo vuoi dire? Muoio dalla voglia di saperlo. Qual è il prezzo di mercato per una moglie tutta casa e figli, con delle grosse tette e nessuna pretesa? Un patrimonio, ci giurerei. O la forniscono a un prezzo stracciato, fedeli allo spirito del buon vecchio Club degli uomini


Non era, quindi, un caso che il Club degli uomini vantasse fra i propri membri – lo ricordo – un esperto di materie plastiche, un pioniere della tecnologia robotica, uno studioso eminente del linguaggio umano e un illustratore bravissimo nell’accentuare i tratti femminili il quale, esagerando le proporzioni di capelli occhi e labbra, trasforma tutte le donne in autentiche bellezze.

E così anche Dave, il marito di Bobbie, sostituirà la moglie con questa specie di robot identico in tutto e per tutto alla consorte, ma più avvenente e molto più remissiva:

Nella cucina immacolata la nuova Bobbie ammise: «Sì, sono cambiata. Mi sono resa conto di essere terribilmente sciatta e trascurata. Non c’è da vergognarsi di essere una brava donna di casa. Ho deciso di svolgere coscienziosamente il mio lavoro, così come Dave fa il suo, e di curare di più il mio aspetto […]».


Infine, anche Walter, il marito di Joanna, farà lo stesso:«Ha una bella moglie. Graziosa, servizievole, sottomessa al suo signore e padrone. Lei è un uomo fortunato». «Lo so» rispose Walter, roseo in volto. Poi annuì a occhi bassi. «Questa è una città piena di uomini fortunati» riprese la nuova Joanna.


Che fine fanno le mogli in carne e ossa non ve lo dico, ma credo avrete già immaginato: oggi come oggi, è cronaca di tutti i giorni.

E così, finalmente, tutta Stepford torna alla normalità, a essere abitata da donne che trovano più che sufficiente svolgere i lavori di casa:

«Cosa fai allora, oltre i lavori di casa?» le chiese Ruthanne. «Niente, in realtà» disse Joanna «i lavori di casa sono più che sufficienti. Un tempo mi pareva di dover curare altri interessi, ma ora sono più tranquilla. E molto più soddisfatta, e così la famiglia. È questo che conta, no?».


Cosa c’entra tutto questo coi giorni nostri? Mi risulta sia ancora il sogno di tanti quello di chiudere le donne in casa, sottomesse e soddisfatte. Soddisfatte loro e, a ruota, la famiglia intera. La famiglia del Mulino Nero, ovviamente.



Marco Sommariva (Genova 1963) è autore di numerosi romanzi e testi di critica letteraria.

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