selfie da zemrude
- Marco Sommariva
- 19 ago
- Tempo di lettura: 7 min
L’agonia della nostra specie è cominciata. Abrakadabra: storia dell'avvenire di Antonio Ghislanzoni

L’articolo riflette sul valore predittivo e analitico della fantascienza, sottolineando come il Ministero della Difesa britannico abbia coinvolto autori del genere non per prevedere il futuro, ma per cogliere le ansie e contraddizioni del presente. A esempio di questa lungimiranza, viene citato Abrakadabra di Antonio Ghislanzoni, romanzo del 1884 ambientato in una Milano futuristica del 1982, che anticipa con sorprendente attualità tematiche come il transumanesimo, l’intelligenza artificiale, l’abuso della tecnologia, la crisi ambientale, la manipolazione dell’informazione, l’impunità politica e il declino della cultura. Il romanzo, definito <<bizzarro>> dallo stesso autore, tratteggia una società distopica attraverso invenzioni stravaganti (come pillole alimentari, piogge artificiali, uomini volanti e giganti meccanici) che diventano metafore potenti del rischio di una civiltà che ha smarrito il senso del limite. Il pezzo si chiude con un monito ancora attuale: la tecnologia, se non governata dalla coscienza, può sfuggire al controllo e ritorcersi contro l’umanità.
Ultimamente ho letto che, per capire cosa ci aspetta, il ministero della Difesa britannico ha consultato alcuni autori di fantascienza. Non perché da questi pretenda che prevedano il futuro, ma perché ritenuti capaci di cogliere le inquietudini del presente che ai più sfuggono, d’individuare quegli aspetti che restano impalpabili anche all’analisi scientifica; per vedere se si riesce a disperdere non solo le nebbie che avvolgono il nostro domani, ma anche quelle che circondano l’oggi distopico che, i più, hanno scambiato per un curioso film, una realtà virtuale da cui si potrà uscire quando lo si vorrà senza, però, essersi resi conto che non c’è da rimuovere alcun visore davanti agli occhi.
Ovviamente, come qualsiasi altra persona, anche gli autori di fantascienza non sanno come salvare il mondo ma, finalmente, viene riconosciuto loro che sanno il perché non si salverà, ed era ora che questo aspetto fosse ammesso, visto che sono secoli che la letteratura prevede ciò che i politici non vogliono prendere in considerazione.
Chissà se il presente sarebbe stato lo stesso, se qualcuno avesse letto con attenzione il romanzo Abrakadabra di Antonio Ghislanzoni, pubblicato nel 1884 – uno dei primi romanzi di fantascienza scritto in Italia.
È una storia curiosa, definita nel 1883 dallo stesso autore, un bizzarro lavoro.
Le vicende di questo romanzo sono ambientate in una Milano futuristica del 1982, tra gondole volanti e invenzioni straordinarie e surreali.
È una Milano dove si utilizzano pillole per alimentarsi:
«Un pallone da commercio giunto da Parigi in quel punto aveva recato a Milano […] parecchi barili di pillole Raspail preparate col midollo di leone. All'annunzio inaspettato, tutte le sale furono in moto. I forestieri, che già da parecchie ore languivano a stomaco digiuno, e che non avevano trovato alloggio nella città, assediano la sporta dei piccoli venditori, i quali strillano a tutta gola: - avanti, fratelli! […] - Un pranzo in una pillola! - Midollo concentrato di leone! Un vaso di trenta pillole Raspail per sessanta lussi! - Non più fame per un mese!»
E mentre alcuni scienziati si compiacciono di questo nuovo pranzare, altri brontolano:
«[…] non posso reggere a questi orribili spettacoli della umana follia. Le […] pillole di midollo affrettano di due secoli il suicidio totale dell'umanità».
È una Milano dove è già presente quello che noi oggi chiamiamo transumanesimo:«Seguendo le orme d'un mio illustre antenato, io mi era prefisso di concorrere alla rigenerazione della umana famiglia perfezionando l'organizzazione fisica dell'uomo, facendo violenza alle leggi istesse della natura. Ho consumata la giovinezza in lunghi e pazienti studi, in esperienze terribili, che più volte mi costarono dei rimorsi; ma l'idea fissa, irremovibile, l'idea dominatrice di tutti i miei pensieri era quella di dare all'uomo una nuova facoltà, la facoltà di volare come l'aquila delle Alpi, come il Condoro delle Indie. […] I due pellegrini dell'aria, dopo una discesa precipitosa di oltre mille metri, improvvisamente distesero le immense ali... e scherzando con leggerissimo volo intorno alla cupola del Duomo, ristettero abbracciati sulla testa dorata della Madonna...»
È una Milano che può godere di piogge artificiali:
«I cinquanta subalterni, che fino a quel momento erano rimasti a guardia dei tubi ustorii, si diressero verso il centro della cupola, e concentrando le loro forze intorno ai manubri, fecero scattare il coperchio della gran torre. Allora fu udito un rumore simile al ruggito di mille Leoni; e una densa colonna di vapore lanciossi verso il firmamento; e il limpido azzurro si coperse di nuvole opache, divenne torbido e fremente come un lago all'irrompere di torrente impetuoso. Io non vi saprei descrivere l'effetto meraviglioso di quella scena, e molto meno ritrarre le agitazioni, le impazienze, i terrori del giovane Albani, il quale da una gabbia sporgente dalla gran torre, aveva dirette le operazioni del pericoloso meccanismo; ed ora, avvolto da una nuvola ardente, fra lo scroscio spaventevole del vapore, somigliava ad Elia profeta, sospeso fra il cielo e la terra sul carro di fuoco. […] Tutti i calcoli dell'Albani si erano avverati. Una pioggia lenta, fresca, abbondante, simile in tutto alla pioggia naturale, scendeva sulla terra a vivificare gli animali, le piante, i campi e le onde. L'artista non poté contenere un grido di soddisfazione; ma quel grido andò perduto negli applausi, nell'urlo di dieci milioni di spettatori. Quando l'Albani abbassò lo sguardo con sublime compiacenza per leggere su quella immensa superficie di teste l'ammirazione dell'opera sua, le teste erano già sparite sotto uno sterminato padiglione di ombrelli, ed egli poté sorridere, come Dio, sulla umana debolezza».
Una pioggia artificiale che, utilizzata diversamente, può trasformarsi in un’arma:
«Dal giorno in cui a Milano ebbe luogo l'esperimento della pioggia artifiziale ideata dal celebre Albani. Non potrò mai obliare le tremende parole ch'io lo intesi profferire in quella occasione. Al cadere delle prime stille, mentre dalla città si alzava un grido di sorpresa e di plauso, l'esplosione di un ghigno satanico mi trasse a rivolgere il capo. I miei occhi si incontrarono per la prima volta in quelli dell’Albani. Ed egli, senza smettere il suo ghigno beffardo, e guardandomi fissamente: “applaudite! applaudite! – ringhiava colla sua voce cavernosa; – questo meccanismo, migliorato, corretto e opportunamente applicato, al meno danno potrà fra pochi mesi riprodurre il diluvio!”».
Questo è un romanzo che aveva previsto anche la ribellione di una terra stanca delle violenze dell’Uomo:
«[…] volgendo uno sguardo alle condizioni attuali della umanità, ed ai gravissimi indizi di prostrazione che in ogni parte si manifestano, non possiamo astenerci dall'emettere un grido di allarme – l'agonia della nostra specie è cominciata. Il fuoco della nostra intelligenza ha raggiunto il massimo grado della incandescenza; questo fuoco sta per estinguersi. Noi siamo all'ultimo atto della grande tragedia umana. Il Titano intelligente si elevò ad una altezza non mai raggiunta, ma la sua caduta sarà irreparabile. Abbiamo spogliate le foreste, abbiamo traforate e abbattute le montagne, abbiamo aperte delle voragini per rapire alla terra le materie combustibili e gazose; abbiamo deviate le correnti elettriche; dapertutto la mano dell'uomo ha portato lo scompiglio e lo sfacelo. […] La terra, nostra madre, e nudrice, è ormai stanca delle nostre violenze. Essa comincia a ribellarsi. I cereali intisichiscono, la vite non dà più grappoli; gli animali che più abbondante e vigoroso ci fornivano l'alimento, si ammorbano e periscono sui pascoli insteriliti».
Ricordate che è un libro pubblicato nel 1884 per cui se trovate scritto dapertutto con una sola p o gazose con una sola z, non pensiate siano errori di stampa.
Ma torniamo a questa Milano immaginata da Ghislanzoni.
È una città dove viene garantita una specie d’impunità a ciarlatani eletti da masse cretine:
«Il candidato non rappresenta che il congegno d'una locomotiva politica; che importa se questo congegno sia di vile metallo e lordato da ogni bruttura? Purché agisca sulle rotaie del partito, non si chiede di più. Accordando una specie di impunità agli eletti della nazione, i nostri sapienti legislatori hanno mostrato di saper interpretare lo spirito delle masse. Credilo, amico: le masse, analfabete od erudite, barbare o civili, saranno sempre cretine; correranno sempre dietro il carro del ciarlatano che batterà più forte la gran cassa».
È una Milano dove la stampa è in balia dell’ebete maggioranza:
«La libertà di stampa fu utile e buona ai tempi in cui l'istruzione era privilegio di pochi. A quell'epoca, l'audacia dello scrivere quasi sempre andava accompagnata alla coscienza del sapere. La falange degli scrittori pessimi non era tanto compatta da chiudere il varco agli intelligenti ed agli onesti, e la voce solitaria del genio poteva ancora soverchiare il raglio collettivo delle plebi. Ma oggi? Tutti leggono, tutti scrivono. La statistica libraria ci afferma che nella Unione Europea vengono in luce da venti a trentamila volumi ogni giorno. Altrettanti, e forse più, ne produce l'America; e non parliamo delle altre province già invase e corrotte dalla nostra civiltà. A leggere tutti i volumi che si pubblicano in un giorno, appena basterebbe la vita di un uomo! Qual criterio può ora guidare le nostre preferenze? E chi ci addita il buon libro? Chi vorrà sommergersi in questo oceano di insensatezze stampate, colla incerta lusinga di scoprire quando che sia, per favore del caso, qualche perla sepolta fra le alghe? Ammesso che alla espansività dell'idiotismo che scrive non si voglia mettere un freno, qual sarà l'avvenire della nostra letteratura? L'asfissia del senso comune, e un contagio di asinità irreparabile. Uomini di genio, appiccatevi! Il mondo non ha più orecchio per voi, dacché la stampa è in balia dell'ebete maggioranza».
Vi assicuro che sono davvero tante le anticipazioni descritte in Abrakadabra, molte più di quante ve ne possa elencare in questo mio pezzo.
Concludo con uno dei mille moniti che, a mio parere, si possono trovare su queste pagine, quello della tecnologia che ci sfugge di mano:
«L'illustre primate Piria avea perfettamente costruito il suo gigante automatico-chimico-vitale. La macchina umana era riuscita; tutti gli elementi essenziali che la chimica poteva prestare alla formazione dell'ossatura, dei muscoli, dei condotti, delle parti viscerali, dei glutini nervei, erano stati da Piria impiegati e coordinati sapientemente. Un gigante dell'altezza di trenta metri, proporzionatamente sviluppato nelle singole membra, giaceva disteso nel padiglione di via De-Pretis. Verso le cinque pomeridiane, in presenza di un centinaio di spettatori, l'illustre scienziato aveva operato la trasmissione del sangue e del movimento. Incisa la carotide del mostro inanimato e messala in comunicazione, a mezzo di un tubo elastico, con quella di un toro parimenti svenato, l'illustre creatore dell'uomo colossale avea veduto realizzarsi con rapidità l'assorbimento e la dejezione. Si volle il sangue di dieci tori per fornire al vasto cuore ed ai grandi condotti arteriosi del gigante il liquido vitale occorrente. L'azione simultanea di due pile elettriche di quadrupla potenza diede impulso alla circolazione, suscitò l'irritazione nervosa e il movimento dei muscoli. La materia inerte si scosse... Due grandi occhi si spalancarono assorbendo la luce, le nari si gonfiarono, il petto parve scoppiare pei forti aneliti di aria ossigenata, le braccia si agitarono, le mani si distesero per afferrare l'ignoto; e finalmente... Chi poteva prevedere un tal impeto di vita? Dalle fauci del gigante elettrizzato proruppe un muggito spaventoso. L'immane corpo si sollevò, atterrò con un calcio poderoso l'enorme banco sul quale stava adagiato, e lanciandosi colla violenza di un toro inferocito verso la porta di uscita, si diede a percorrere la via, sorpassando ogni barriera. Trecento baracche di merciaiuoli andarono capovolte; quattro olmi secolari, urtati da lui, si rovesciarono sradicati. Egli cozzava, rompeva, abbatteva ogni ostacolo, impiegando a tal uopo, con istinto taurino, la catapulta di un cranio resistente ad ogni urto».
Marco Sommariva (Genova 1963) è autore di numerosi romanzi e testi di critica letteraria.