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  • Immagine del redattore: Giorgio Griziotti
    Giorgio Griziotti
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 15 min

Il racconto del Boomernauta. Pandemia Memetica: È colpa del Gene Egoista?; Meme come Vettore

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È colpa del Gene Egoista?


Il Boomernauta critica il predominante soluzionismo tecnologico. Davanti alla gravità dell’infezione biosferica, i techno-tycoon e l’AltaSfera Ecofin (il capitalismo spazializzato) sostengono che tutto si risolverà con qualche clic. Tuttavia, non sembrano crederci veramente, poiché stanno già mettendo in atto il piano B e cioè la Grande Fuga. La responsabilità umana nell’avanzare della setticemia è evidente. Le ipotesi dominanti fino a quel momento, come l’antropocene basato sulla teoria del gene egoista e il capitalocene causato dalla distruttività intrinseca del capitalismo, cominciano a entrare in crisi. Le scoperte effettuate con la time machine aprono nuove ipotesi…


Di fronte a una possibile infezione della biosfera, non solo grave, ma così imprevedibile e disorientante perché provocata dagli umani, il credo della Gov Neolib rimase invece immutato e al solito basato sul vecchio mito di una tecnoscienza capace di far fronte a tutto.

Al grido di tecnoscienziati del mondo intero entrate in competizione! lanciarono la contesa che avrebbe dovuto evidenziare quali fossero le cause delle condizioni della biosfera. Si doveva anche verificare se e come una gran parte degli umani fosse diventata, o forse fosse sempre stata l’agente patogeno della setticemia biosferica. L’obiettivo era trovare la soluzione in un semplice clic, evitando in ogni caso di mettere in discussione il ruolo della Governance Neolib.

Partirono allora le ricerche per verificare se la molla che spingeva gli umani a un tale comportamento fosse una malattia generata da un virus o un batterio che li trasformava in distruttori dell’ecosistema. C’è chi fece il paragone con piaghe pandemiche: la malaria che da millenni falcidiava gli umani o la Xylella fastidiosa1, produttrice di grandi epidemie vegetali o le innumerevoli malattie in cui c’era la presenza di un ospite intermediario. In questo caso l’ospite intermediario iniziatore della setticemia sarebbe stata proprio la specie umana in preda a sua volta a una malattia misteriosa. E questa malattia la spingeva a rompere gli equilibri della biosfera senza che apparisse un veicolo materiale di trasmissione del morbo fra gli umani.

C’è da dire che a quell’epoca la dinamica dei cambiamenti delle condizioni di vita era tale che tutti si erano già resi conto della gravità della situazione, incluso i techno-tycoon che, non a caso, si stavano preparando a fuggire di nascosto per primi. Tuttavia, dopo molte opposizioni e resistenze anche nell’AltaSfera della Governance, nessuno negava più, già da tempo, la responsabilità della specie umana nel generare quella che ora si rivelava essere un’infezione nell’ecosfera. Solo che, a discapito di ogni buon senso, si era cercato di dare un’interpretazione ideologica che permettesse, nonostante tutto, di non rimettere in discussione le fondamenta stesse del potere costituito. Si continuò quindi a sostenere la tesi che non si trattasse di una malattia, ma solo dell’impasse a cui aveva condotto lo sviluppo abnorme della cosiddetta civilizzazione. Si sospettava di un’incompatibilità (genetica?) di quest’ultima con gli equilibri della biosfera. Si implicava così direttamente la natura umana e l’evoluzione della specie sulla Terra. Secondo i tecnoscienziati mainstream i comportamenti umani non erano mutati dai tempi delle prime civilizzazioni. Il deterioramento dei territori si innescava e peggiorava con salti improvvisi a causa di una combinazione di fattori, tra cui la densità della popolazione, lo sviluppo economico e l’utilizzo intensivo delle tecnologie. Implicitamente si trattava di un’ipotesi genetica, in quanto si faceva riferimento alla teoria del gene egoista2, secondo la quale i geni agiscono per aumentare la propria riproduzione e diffusione, senza considerare le conseguenze per l’individuo o per la specie. Secondo tale teoria, i geni di qualsiasi organismo vivente sarebbero considerati il vero pilota automatico che guida la vita. Essi sarebbero descritti come egoisti in quanto agiscono per preservare sé stessi, piuttosto che per il bene dell’individuo o della specie nella selezione naturale. Di conseguenza, gli individui sarebbero considerati semplici portatori di un patrimonio genetico che devono massimizzare per assicurare la propria sopravvivenza e diffusione.

La meccanica genetica della specie, ciecamente capace di tutto per imporre la massima riproduzione, diventava perfettamente compatibile con la trasformazione dell’ambiente come risorsa e discarica infinita e gratuita. Era il gene umano che decideva tutto: niente di più consono a chi cercava di sfuggire ogni responsabilità.

Nella Sfera Autonomala trovata del gene egoista, che avrebbe ciecamente obbligato gli umani a distruggere l’ambiente per riprodursi e moltiplicarsi in un impossibile infinito, in generale non era accettata.

Si sosteneva che l’attribuzione di una qualità morale, come l’egoismo, a una sequenza di molecole organiche in grado di riprodursi, ossia i geni, fosse uno stratagemma della scienza legata al potere del capitale, ora rappresentato da Ecofin. Questo tentativo cercava di dimostrare che l’egoismo non appartenesse alla sfera morale del bene e del male, ma fosse intrinseco alla vita stessa. Nel frattempo, la Governance Neolib aveva contribuito a peggiorare la situazione con un egoismo esplicito che faceva impallidire quello implicito del gene. Nonostante ciò, come non escludere che sin dai tempi della nascita della technè alcuni umani potessero aver inferto le prime localizzate ingiurie all’ambiente circostante4?

Sempre nella Sfera Autonoma, a distanza di qualche tempo dall’ipotesi genetica, ne era stata avanzata un’altra, meno conosciuta e in pieno dissenso con la prima, ma che pure escludeva una qualsiasi patologia. Qui erano in causa i modi con cui gli umani si erano organizzati negli ultimi secoli e che avevano portato a un susseguirsi di sempre nuove varianti di Governance capitalistiche. Guarda caso l’inizio di questa era dell’umanità coincideva macroscopicamente con quella della patologia della biosfera, almeno per quanto riguarda le recenti prove materiali provenienti dallo spazio e registrate attraverso la time machine.

Come mostrato dai video spaziali che risalivano nel tempo, per un periodo di circa due milioni di anni dall’emergere dell’umanità non vi erano tracce di un deterioramento dello stato della biosfera.

Le prime evidenze della patologia terrestre sembravano manifestarsi proprio a partire dal periodo della colonizzazione dell’America, un momento storico significativo che aveva segnato l’affermarsi della logica dell’accumulazione del capitale e della prima globalizzazione. Sebbene potesse sembrare un semplice sincronismo, i sostenitori di questa tesi non credevano che la nascita simultanea di un regime sociale, politico ed ecologico basato sullo sfruttamento globale del pianeta e l’infezione della biosfera fosse una pura coincidenza.

Così come non era una coincidenza, per loro, l’aggravarsi dello stato di tanti territori ed ecosistemi con le successive rivoluzioni dell’era industriale, anche se, a quel tempo, ampie porzioni della superficie terrestre, comprese alcune aree ancora incontaminate, non erano ancora state raggiunte.

I picchi di distruzione rappresentati dal culmine di civilizzazione delle cosiddette guerre mondiali prefiguravano in qualche modo l’avvenire. Poi le esplosioni delle prime bombe atomiche furono i segni tecnologici precursori e preparatori di una setticemia generalizzata della biosfera.

I sostenitori di questa teoria vedevano il capitalismo, in tutte le sue forme e mutazioni di governance, come il motore dell’infezione terrestre. Questa tesi, che avevano appunto chiamato del Capitalocene, sembrava, se non altro, indicare una via d’uscita. Chiudendo i cinque secoli o più di quel periodo, secondo loro, si sarebbe potuto por fine all’incubo della distruzione delle reti vitali. Ma la situazione era così critica che si paventava l’irreversibilità e neanche un’ipotetica rivoluzione globale sembrava sufficiente a risolvere il problema.

Durante il breve-lungo periodo del capitalismo, si erano verificati colpi di scena e rivoluzioni non capitaliste (o anti-capitaliste) che non avevano prestato alcuna attenzione allo stato dell’infezione terrestre. Anzi, avevano adottato le stesse modalità di produzione industriale esistenti. Inoltre, non si poteva dimenticare la crisi parossistica causata dalle esplosioni delle centrali nucleari dell’Erbanera. Questo dimostrava che il solo opporsi al capitalismo non sarebbe stato sufficiente per fermare la progressione dell’infezione biosferica.

Per non parlare poi della Cina il Paese in cui la setticemia del territorio era la più avanzata sin dall’epoca in cui era solo la fabbrica del mondo, quando ancora il PIB indicava la crescita infelice.

E quindi sino a quel momento non c’era ancora stata alcuna prova storica che in condizioni e circostanze diverse e non gestite dalla logica del capitale, gli umani fossero in grado di organizzarsi per invertire il movimento e far retrocedere la setticemia della biosfera.



Note:

  1. Xylella fastidiosa: malattia batteriologica di molte specie vegetali, fra cui l’olivo, che generò agli inizi del XX secolo la più grande emergenza fitosanitaria mondiale distruggendo buona parte delle coltivazioni di ulivi nell’area mediterranea a partire dalle Puglie in Italia.


  1. Fa riferimento alla teoria di Richard Dawkins etologo e biologo britannico del XX sec.


  1. Sfera Autonoma: cfr. glossario.


  1. Il Boomernauta qui riprende il tema che la legittimazione degli interventi sull’ambiente può derivare dalla concezione che la natura sia finalizzata all’uomo, espressa assai bene da Aristotele: «Le piante esistono in vista degli animali e gli altri animali in vista dell’uomo… Se la natura non fa nulla di inutile né di imperfetto, è necessario che essa abbia fatto tutte queste cose in vista dell’uomo»; Historia Animalium, Libro VIII, Capitolo 1, 588b. Lì, A Teofrasto, un discepolo di Aristotele, invece non accetta l’idea aristotelica che lo scopo di animali e piante sia di essere utili all’uomo: il fine delle cose naturali, infatti, non è facilmente identificabile e non va ricercato, in ogni caso, nel loro esistere in vista di qualcosa o nell’impulso verso il bene, ma piuttosto nella loro realtà intrinseca e nelle loro relazioni reciproche (Metaph. IX, 34). http://www.scaterina-pisa.it/wp/wp-content/uploads/2016/10/Prof_Bruselli_Uomo-e-ambiente_mondo-antico.pdf


  1. Qui il Boomernauta fa riferimento all’Orbis Spike: la drastica riduzione della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. «Il risvolto tragico di questo processo fu la decimazione della popolazione nativa delle Americhe: Lewis e Maslin stimano che sia passata, a causa di malattie, guerre, riduzioni in schiavitù e carestie, tutte portate dagli Europei:- da circa 60 milioni nel 1492 a circa 6 milioni nel 1650. Le conseguenze immediate di questo genocidio - quasi scomparsa dell’agricoltura e semi-cessazione nell’uso del fuoco- comportarono la rigenerazione di circa 50 milioni di ettari di foreste, savane boscose e praterie, che a loro volta produssero un enorme assorbimento di anidride carbonica attraverso piante e suoli, quindi un impressionante abbassamento delle emissioni in atmosfera.»J.W. Moore, Antropocene o Capitalocene?, a cura di A. Barbero, E. Leonardi, Ombre Corte, Verona 2017, p. 15.



Meme come Vettore


Il Boomernauta mi confessa di avere avuto già in gioventù una certa ambivalenza nei confronti di R. Dawkins che per primo aveva pensato al meme, un concetto da lui inventato, come corrispettivo immateriale al gene. Anche l’origine della malattia che costringe gli umani a propagare l’infezione della biosfera è portata da un agente immateriale e potrebbe essere dovuta a una famiglia di memi virali. Poi il suo racconto entra in un passaggio destinato a dettagliare e sottolineare l’importanza crescente dei memi riferendosi per esempio al ruolo del folklore nella storia della civilizzazione. Ma in seguito la potenza, la velocità e l’essenza stessa dei memi cambia con l’arrivo delle reti e di internet. E si tratta di un cambiamento di paradigma.


Nelle sfere della Gov Neolib c’era un accordo unanime nel sostenere la teoria dell’antropocene assolutivo, attribuendo la responsabilità all’egoismo genetico che era in linea con le dichiarazioni fumose sui presunti sforzi verso un capitalismo verde. Nel frattempo, si preparava segretamente la Grande Fuga.

Nella Sfera Autonoma invece, congenita al sorgere di lunghi dibattiti sterili, la tesi del Capitalocene non faceva l’unanimità. Non si era d’accordo neanche sulla data d’inizio dell’era geologica che avrebbe dovuto corrispondere con quella del capitalismo anch’essa un po’ indeterminata. Unanime era invece il rifiuto della tesi neolib sulle responsabilità del gene egoista come causa prima della setticemia della biosfera. Visti i dubbi di molti sul fatto che una supposta fine del capitalismo avrebbe arrestato il collasso della biosfera, cominciò a emergere, nonostante molte resistenze, l’ipotesi di una malattia umana atipica. Non essendo stato identificato alcun agente materiale, per quanto microscopico, si ammise che la patologia che colpiva gli umani potesse essere dovuta a un agente immateriale. Questo contagio si diffondeva da tempi remoti nella specie sedicente sapiens. Un morbo che trasformava i contagiati in agenti distruttori della biosfera e che ora prendeva le proporzioni di un’inarrestabile pandemia.

È in questo contesto che cominciò a farsi strada la congettura d’una malattia da contagio immateriale e d’una contaminazione che colpiva una sola specie. In fondo sin dall’inizio della storia d’internet non si era utilizzato l’aggettivo virale per descrivere il fenomeno di un contagio incorporeo? Il marketing, una delle colonne del sistema, non l’aveva pienamente assunto cercando di indurre forme patologiche di consumismo?

In questo caso si sarebbe trattato di una forma endemica sorta nella specie sin da quando gli umani avevano cominciato a possedere, praticare e sviluppare la technè. In realtà la technè, a cui qui si fa riferimento, non è una semplice tecnica, ma va intesa come metatecnica, cioè la tecnica per creare nuove tecniche un termine che preferisco a quello impreciso, abusato e politicamente connotato di innovazione. Una volta acquisita, la metatecnica generava un mutamento nel rapporto dell’umano con la biosfera. Si aprì anche una disputa con chi avrebbe voluto sostituire al termine metatecnica quello di metacultura: la cultura in grado di produrre nuove culture, ma in fondo il dibattito era un po’ futile. Metatecnica e metacultura erano così intimamente avviluppate che sarebbe stato impossibile separarle. Le ricerche e il dibattito sulla presunta malattia immateriale non erano motivati da un’ossessione delle origini, come quella denunciata dall’ampollosa retorica del XIX secolo1, ma proprio da una necessità vitale di scoprirne le cause, nella speranza di trovare una possibilità di sopravvivenza. Alla metatecnica, condizionata sin dall’inizio dai parametri sociali, ambientali ecc., non appartenevano solo i primi manufatti come punte di freccia o altri utensili o strumenti rudimentali, ma anche quelli immateriali come i proto-linguaggi. Perché, sin dalla lontana scoperta dei neuroni specchio, era ormai chiaro che il linguaggio e la sua genesi gestuale non erano un dono trascendentale, come i neo-mistici sostenevano, ma un fondamento della metatecnica se non la sua struttura di base. Il linguaggio è già di per sé una metatecnica basata su una serie di abilità cognitive favorite dalle esigenze sociali degli ominidi, probabilmente spinti a sviluppare una maggiore capacità di cooperazione e coordinamento per sopravvivere e affermarsi.

Benché nella storia degli animali umani ci fossero senza dubbio periodi di accelerazione, lunghe stasi o salti improvvisi, si poteva dedurre indirettamente dai referti spaziali della time machine che il passaggio dalla tecnica anche strumentale (che anche tanti nonumani possedevano) alla metatecnica era nato da una lunga progressione. Un passaggio che era avvenuto probabilmente quando nella trasmissione irriflessa dei comportamenti fra generazioni cominciarono a inserirsi orientamenti dell’esperienza soggettiva verso fini determinati.

In altre parole, gli antenati di sapiens cominciarono a utilizzare il loro pensiero cosciente e la loro capacità di pianificazione per orientare l’apprendimento e la trasmissione dei comportamenti verso obiettivi specifici, anziché solo trasmetterli in modo automatico e irriflesso. Questo cambiamento avrebbe permesso a quei viventi di adattarsi più velocemente e in modo più efficiente alle condizioni ambientali, e di creare nuove opportunità per la loro sopravvivenza e riproduzione. Inoltre, questo sarebbe stato un passo importante verso l’evoluzione della gestuale prima, e del linguaggio poi, poiché avrebbe permesso agli umani di comunicare e trasmettere orientamenti dell’esperienza soggettiva e finalità mirate in modo più efficace e preciso. I meccanismi di retroazione cosciente avrebbero quindi modificato il principio evoluzionista secondo il quale tutti i tratti e i comportamenti si formavano come adattamenti all’ambiente.

[Qui, per una volta, ho interrotto un po’ bruscamente il Boomernauta che mi pareva allontanarsi dal suo racconto dei fatti per scivolare su una china esclusivamente speculativa, certo molto attraente, ma troppo teorica per i miei gusti. Stavo quasi per rimproverargli che le stesse qualità sociali uniche della specie, che gli avevano valso d’inventare la metatecnica e tutto quello che ne era conseguito, ora sembravano portarla alla distruzione, non solo di sé stessa, ma anche di tante altre specie. Il Boomernauta sorrise e mi ricordò che non erano le qualità sociali umane che erano la causa e riprese il racconto.]

Ma torniamo all’ipotesi di questa misteriosa malattia immateriale: quale poteva essere il vettore di tale contaminazione?In un’epoca in cui i memi erano diventati un importante canale di comunicazione e d’azione politica, in diversi ambiti si cominciò a pensare che i flussi memetici avevano a che fare con la misteriosa malattia immateriale. Il concetto di meme, inteso come un’entità astratta che si diffonde per imitazione da persona a persona all’interno di una cultura, sembrava adattarsi perfettamente a questa funzione. Curiosamente tale concetto era stato proposto proprio da quel Dawkins che attribuiva al gene la qualifica di egoista2. Secondo lui il meme prendeva vita propagandosi attraverso scrittura, parola, gesti, rituali, musica o altri fenomeni imitabili e, come il gene, sarebbe stato capace di auto-replicazione e di mutazione. Nessuno, fino ad allora, aveva pensato all’esistenza di un quantum d’energia informazionale come mattone di base della trasmissione di comportamenti, di idee, di simboli o di pratiche culturali.

A questo proposito non posso che confessarti la mia lotta interiore fra repulsione e attrazione nei confronti di Richard Dawkins. Se da un lato avevo pensato, come ti ho già detto, che il suo gene egoista era completamente funzionale alla biopolitica della Gov Neolib, dall’altro il concetto di meme sembrava aver aperto delle nuove prospettive di comprensione delle dinamiche che rischiavano di travolgerci. E fra queste c’era appunto quella del meme come perfetto vettore di un contagio immateriale. Il concetto di meme, creato qualche decennio prima dell’avvento di Internet, aveva un ambito di applicazione molto più ampio rispetto a quello successivamente inteso dai nativi digitali, che spesso lo associavano esclusivamente alle immagini virali che circolavano in rete. Immagini che avevano acquisito un’importanza sempre maggiore e a volte determinante nella capacità di influenza delle moltitudini connesse. L’aggravarsi della setticemia della biosfera e l’accertata responsabilità degli umani, o di parte di essi, contribuì all’emergere della teoria di una malattia causata da una specifica tipologia di meme che aveva la caratteristica di infettare gli umani e renderli contagiosi, proprio come alcuni virus e batteri responsabili di malattie infettive. In questo caso, a differenza di virus e batteri, si sarebbe trattato di un contagio immateriale che avrebbe indotto nell’umano infetto un particolare comportamento patologico distruttivo della biosfera. I memi infetti, chiamati nekomemi, una contrazione di not-ekological-memi, erano all’origine del morbo nekomemetico.

Quando si avanzarono le prime ipotesi di questo tipo, i detrattori ironizzarono ricordando l’oscurantismo del passato, quando si parlava di miasmi e dei medici veneziani che durante le epidemie di peste bubbonica del XVII secolo indossavano impressionanti maschere a becco d’uccello, in cui mettevano essenze aromatiche protettrici per difendersi dal contagio.

Dawkins, che apparteneva alla generazione precedente a noi boomer, aveva introdotto il meme in analogia immateriale del gene. Egli aveva anche lasciato intendere che il meme si sarebbe comportato con le stesse modalità non solo di un virus, che cerca naturalmente di riprodurre sé stesso tramite l’ospite, quanto del gene, che lui considerava egoista.

Le ipotesi di un meme egoista o di un virus della mente3, virus che nelle intenzioni di Dawkins avrebbero riguardato soprattutto la religione (che lui per altro combatteva), scatenarono molte reazioni. C’era chi ricordava, e non senza qualche ragione, che una tale visione dei geni e dei memi come egoisti e autonomi era vicina a quella di certi biologi nazistiispiratori delle teorie razziali. Rimproveravano ai sostenitori di tali ipotesi di aver messo in avanti una preminenza del patrimonio genetico capace di aggirare qualsiasi grado di libero arbitrio dell’individuo. O di contrastare quello che si esprime collettivamente e che, attraverso le generazioni, va a formare la cosiddetta civilizzazione. E, come i nazisti, avrebbe in tal modo esaltato «l’importanza dei legami di parentela biologica per la conservazione del patrimonio genetico» attraverso una selezione legata al sangue5.

Con l’avanzare della tecnoscienza, il concetto di meme e la memetica avevano preso vita propria, superando l’ambiguità del loro creatore e diventando sempre più affascinanti. Questo aveva reso sempre più verosimile l’ipotesi della malattia nekomemetica. E poi, come accennavo prima, l’ulteriore scoperta dei neuroni specchio aveva costituito una base sulla quale anche il concetto di meme poteva meglio ancorarsi nel biologico. Ora vorrei tornare per un momento alla storia dei memi, perché mi sembra importante liberarli una volta per tutte da costrizioni teleologiche considerandoli piuttosto un archetipo del comportamento sociale degli umani. Per esempio: perché non presumere che una delle versioni beta dei memi nascesse con la scoperta del fuoco?

E poi con lo scorrere dei secoli la civilizzazione prendeva forma e con il folklore nasceva uno dei flussi memetici più antichi e più ampi della storia. D’altronde una componente primaria della cultura era stata proprio il folklore, così caratterizzato dall’impegno creativo che i praticanti avevano nell’imitare, remixare e condividere i memi con altri. Il folklore che era sempre stato composto da un’infinità di generi: usanze cerimoniali, racconti, fiabe, poesie, indovinelli, aforismi, filastrocche, giocattoli, modi di vestirsi, cibo e ricette, musica e danze… Ed i memi ne erano il mattone di base.

Un mondo di memi inizialmente trasmessi da persona a persona, tramandati di generazione in generazione e attraverso le culture. E quindi la loro circolazione sarebbe stata proporzionale all’evoluzione dei media.

L’affermarsi d’internet aveva rappresentato un cambiamento di paradigma nel mondo immateriale, ma allo stesso tempo aveva confermato l’esistenza dei memi come veicoli per diffondere idee. L’arrivo dei memi su internet aveva aperto nuove prospettive, poiché da quel momento i memi potevano essere intenzionalmente modificati dall’azione umana, differenziandosi così dai geni e dai memi pre-internet. Questo si rivelò un punto cruciale per comprendere ciò che stava accadendo.Il meme-internet in un certo senso surclassò il meme classico anche perché era capace di bypassare istantaneamente le barriere geografiche, culturali, temporali che ne avevano limitato la diffusione. E come certi virus anche i flussi memetici erano capaci di diffondersi su tutto il pianeta con velocità proporzionale allo sviluppo delle tecnologie di rete. Ma solo pochi si accorsero che la parte emersa dei memi internet era solo una frazione di quanto circolava.

Se prima di internet i memi si propagavano per selezione naturale e le loro mutazioni erano casuali, anche se influenzate dall’ambiente proprio come quelle dei virus, ora tutto questo era stato stravolto. I memi-internet potevano diffondersi ad alta velocità sia nello spazio biologico dell’organismo umano che in quello algoritmico dei bot, impiantando e replicando idee, producendo emozioni, saturando lo spazio bioipermediatico.

Nei memi-internet le mutazioni orientate dagli umani avevano cambiato per sempre la prospettiva teleologica, o addirittura teleonomica6, di una specifica finalità biologica.



Note:


  1. Credo che il Boomernauta si riferisse a Marc Bloch che in L’idole des origines denuncia gli storici (della sua epoca) che confondono spesso la ricerca delle origini con quella delle cause.


  1. Qui il Boomernauta si riferiva ancora una volta a Richard Dawkins che dà queste descrizioni dell’azione del meme: «Quando viene piantato un meme fecondo nella mia mente si parassita letteralmente il mio cervello, trasformandolo in un veicolo per la propagazione del meme proprio nello stesso modo in cui un virus può parassitare il meccanismo genetico di una cellula ospitante.» Richard Dawkins, The Selfish Gene, Oxford University Press, Oxford 1977, P. 192. Nota e Traduzione dell’A.


  1. È probabile che il Boomernauta facesse riferimento all’omonimo libro di Dawkins https://en.wikipedia.org/wiki/Viruses_of_the_Mind consultato il 3/2/2021.


  1. Credo che il Boomernauta si riferisse a Otmar von Verschuer: medico e biologo tedesco capo dell’ufficio genetico del Terzo Reich, volto a stabilire la purezza della razza e che collaborò col dottor Josef Mengele, il medico del campo di Auschwitz. Incredibilmente non fu perseguito ma anzi nel 1951, ottenne la prestigiosa cattedra di genetica umana presso l’Università di Münster ed altre varie onorificenze internazionali.



Teleonomia: termine usato per la prima volta (1970) da Jacques Monod nella sua teoria che vedeva all’interno delle strutture degli esseri viventi un’azione finalistica, causata dalla selezione naturale, diretta a favorire le funzioni vitali eliminando quelle che le ostacolano. https://it.wikipedia.org/wiki/Teleologia#Teleologia_e_destino_ultimo_dell’universo 

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