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- a cura della redazione del comparto fascismi

- 2 giorni fa
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Democrazia d’eccezione e post-fascismo, un dialogo con Andrea Russo parte 1

Il testo che qui presentiamo è la trascrizione di una lunga conversazione con il ricercatore indipendente Andrea Russo che verrà pubblicata in tre episodi. In questa prima parte vengono riprese le fila delle riflessioni sui nuovi fascismi sviluppate dall’autore nella raccolta L’uniforme e l’anima, pubblicata nel 2009 insieme al collettivo <<Action 30>>.
Nei prossimi episodi verranno indagate le operazioni di <<fascistizzazione del cristianesimo>>, attraverso il caso della teologia di Driecht Bonhoeffer, le riflessioni sul genocidio culturale avanzate da Pasolini, a 50 anni dal suo omicidio, e l’intreccio tra nuovi fascismi e guerra: dalla campagna trumpiana contro l’immigrazione fino al contesto palestinese, dove il progetto di “pace” promosso dagli Stati Uniti si rivela un debole palliativo rispetto al disegno genocidario perseguito dal governo israeliano.
PARTE 1
Redazione Ahida: Il collettivo Action30 ha pubblicato L’uniforme e l’anima [1] nel 2009. Pensavamo di cominciare chiedendoti cosa pensavate voi quindici anni fa sulla questione del “ritorno del fascismo” e cosa significa eventualmente oggi?
Andrea Russo: In realtà di un “ritorno del fascismo” si era già parlato all’inizio degli anni Novanta. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, si era assistito all’emergere di violente pulsioni identitarie che avevano preso di volta in volta la forma del nazionalismo, del razzismo, del fondamentalismo religioso. Nel decennio successivo, l’ondata securitaria scatenata dagli attentati dell’11 settembre ha ridato vigore a un’interrogazione sulle nuove forme di razzismo e di fascismo da cui ha preso le mosse il nostro collettivo di ricerca. In più le domande che erano alla base del collettivo sono diventate sempre più urgenti con il clima venutosi a creare in Italia dopo l’insediamento del quarto governo Berlusconi. Per noi era allora evidente che la lunga catena di violenze – contro rom, stranieri, omosessuali – trovava la propria giustificazione nei discorsi politici dei partiti di governo, e in leggi palesemente discriminatorie come il “Pacchetto sicurezza”, che ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina. Rispetto alla nostra attualità, non percepisco nessuna grande cesura con quello che scrivevamo nel 2009, tranne che la pandemia e l’inizio della guerra in Ucraina e Palestina hanno dato maggior coerenza sistemica a dei piani finora disgiunti delle nuove forme di fascismo, senza però delineare, per dirla in maniera solenne, un nuovo Nomos della Terra.
Redazione Ahida: Quali erano le ipotesi dalle quali avete cominciato la ricerca?
Andrea Russo: Una delle nostre ipotesi è che il fascismo non tramonti definitivamente con il progresso della democrazia e dello Stato di diritto, né si ripresenti nella forma di un “cattivo passato” che non passa, ma tenda piuttosto a “trasformarsi”. È evidente che vi sia oggi un problema che riguarda lo Stato di diritto e la democrazia, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Redazione Ahida: Fermiamoci un attimo su questo punto. Noi ci stiamo ponendo il problema di cercare di capire se è possibile, e nel caso in che modo, continuare a utilizzare la categoria di fascismo, dal momento che oggi assistiamo a uno svuotamento, a una banalizzazione del termine stesso [2].
Andrea Russo: Negli ultimi decenni la controversia sul “ritorno del fascismo” – si tratti di usi giornalistici o di manipolazioni politiche del concetto – ha mobilitato due punti di vista speculari. Alcuni vedono il fascismo ovunque. Secondo altri invece continuare a parlare di fascismo sarebbe una forzatura: l’epoca delle camicie nere e dell’olio di ricino si è conclusa a Piazzale Loreto e non tornerà più. Noi con la nostra ricerca abbiamo cercato di rimettere in discussione questa doppia banalizzazione. In fondo, si tratta di capire che non c’è un solo fascismo, ma che infinite forme di fascismo sono possibili, poiché il fascismo è una specie di forma pura a priori capace di adattarsi ai contesti storici più diversi. Il fascismo non è un’entità eterna, fissata una volta per tutte nella sua identità, ma un fenomeno in divenire. Per questo la famosa teoria del “fascismo eterno” di Umberto Eco non funziona.
Se pertanto il fascismo è qualcosa che si riadatta continuamente rispetto alla contingenza storica, allora oggi con che forma di fascismo abbiamo a che fare? Direi che ormai già da trent'anni dobbiamo fare i conti con una formula di fascismo completamente integrato nei dispositivi del governo democratico. Direi quindi che oggi abbiamo a che fare con una sorta di fascismo democratico. Intendo dire che la vera “novità” del fascismo democratico contemporaneo consisterebbe in ciò che viene indicato dall’aggettivo piuttosto che dal sostantivo. Ragion per cui, se è doveroso spiegarsi sul perché si continuino a usare i termini fascismo e fascista, è forse non solo ugualmente doveroso, ma persino urgente spiegarsi sul perché si continuino a usare i termini democrazia e democratico.
Redazone Ahida: Avremmo allora a che fare con un fascismo post-ideologico?
Andrea Russo: Si certo. La prima caratteristica del fascismo democratico è di essere, per così dire, volutamente privo del collante ideologico capace di sintetizzare tutti gli elementi che lo compongono in una forma coerente. Dobbiamo aver ben presente che nelle attuali democrazie è egemonico un pragmatismo manageriale che radicalizza in senso gestionale l’arte di governo, infrangendo tutti i vincoli su cui esse si fondano. Per coloro che hanno interesse a governare al di sopra della legge e delle regole, il richiamo all’ideologia fascista è controproducente perché può nuocere al consenso. È indubbiamente un fascismo post-ideologico, o se si preferisce un post-facismo quello con cui abbiamo a che fare.
Redazione Ahida: Questa prospettiva rende praticamente inutilizzabile il cliché storiografico tipicamente novecentesco di un’opposizione secca tra democrazia e totalitarismo. La genealogia dello stato di eccezione tracciata da Agamben, che citate diverse volte, disattiva questo falso schematismo, rivelando invece questo stretto rapporto di cui stiamo parlando tra democrazia e totalitarismo [3]. Il fascismo non è un’aberrante creatio ex nihilo, né un accidente che si abbatte dall’esterno sulla società, ma una sorta di tragica “peripezia” tutta interna al funzionamento del diritto nelle democrazie parlamentari. Ritorniamo ad un nodo per noi fondamentale: il fascismo storico non è stato semplicemente una dittatura o uno stato autoritario, ma uno stato di eccezione totale. Quale altro tassello aggiungeresti a questa analisi?
Andrea Russo: Direi che le vicende storiche degli anni Venti e Trenta avrebbero dovuto funzionare come un monito. Invece è accaduto che lo stato di eccezione è tornato progressivamente a infiltrarsi nell’intera vita politica delle democrazie occidentali. In tal senso, il problema consisterebbe nel ricorso sempre più frequente dello stato di eccezione come modalità di governo della società. Evidentemente non si tratta più solo di una sospensione temporanea del diritto, né di una restrizione delle libertà fondamentali di determinate categorie di individui, gruppi sociali o organizzazioni, quanto piuttosto dell’affermarsi di un nuovo paradigma di governo della popolazione.
Tecnicamente le procedure derogatorie di sospensione del diritto sono la caratteristica precipua dello stato di eccezione [4]. Questa nozione appare quanto mai opportuna, non solo per rendere conto di eventi storici come la sospensione da parte del regime nazista di tutti gli articoli di garanzia delle libertà individuali contenuti nella Costituzione di Weimar, ma anche per descrivere la situazione attuale, caratterizzata dalla moltiplicazione esponenziale dei dispositivi securitari: leggi antiterrorismo, detenzione preventiva, pacchetti sicurezza, campi di internamento, detenzioni amministrative cui bisogna aggiungere le agenzie di sicurezza private, i sistemi di videosorveglianza e di schedatura biometrica, ed oggi la guerra: il dispositivo securitario per eccellenza, che li mette tutti sistematicamente in opera.
Redazione Ahida: A proposito di sicurezza, nel vostro libro viene ripresa questa riflessione di Gilles Deleuze: «Tutto un neofascismo si sta installando, in rapporto al quale l’antico fascismo si presenta come mero folklore [...]. Piuttosto che essere una politica e un’economia di guerra, il nuovo fascismo è un’intesa mondiale per la sicurezza, per la gestione di una “pace” non meno terribile, con l’organizzazione concertata di tutte le piccole paure, di tutte le piccole angosce che fanno di noi dei microfascisti, pronti a soffocare ogni volto, ogni parola un po’ forte, nella propria strada, nel proprio quartiere, nel proprio cinema» [5]. Sembra in linea con quello che stiamo dicendo e aggiunge un altro tassello all’analisi, il nesso con la dimensione sicuritaria?
Andrea Russo: Qui Deleuze invita a riflettere sul fatto che, invece di preoccuparsi delle vecchie forme di fascismo, bisognerebbe temere la generalizzazione della sicurezza come imperativo assoluto, come diritto che ha sempre più diritto degli altri. È infatti la combinazione dello stato di eccezione con il paradigma securitario che rilancia i fascismi oggi. Nel momento in cui la sicurezza diventa “totalitaria”, nel senso che tende a imporsi sia come paradigma fondamentale dell’azione di governo che come desiderio sociale scatenato dalla paura dell’altro, tutti i principi basilari dello Stato di diritto – libertà, democrazia, diritti dell’uomo, tolleranza religiosa – vengono disattivati.
Redazione Ahida: L’uso reiterato dello stato di eccezione e dei dispositivi securitari come tecnologia normale di governo non produce come risultato una democrazia più forte, ma una democrazia blindata che ci sembra avere poche alternative se non sfocia nella guerra, interna o esterna che sia.
Andrea Russo: È così. Dalla strada al quartiere, dalla città alle relazioni internazionali, la generalizzazione della sicurezza si è imposta come imperativo assoluto della regolazione della convivenza sociale, alimentata e giustificata a sua volta da quella che Michel Foucault chiamava la “cultura del pericolo”. Ecco ciò che scrive: «Quello che lo Stato propone come patto alla popolazione è: “Sarete protetti”. Protetti da tutto ciò che può essere incertezza, danno, rischio. […] Lo Stato che garantisce la sicurezza è uno Stato obbligato a intervenire in ogni occasione in cui la trama della vita quotidiana è lacerata da un evento singolare, eccezionale. Perciò la legge non è più adatta; perciò, sono necessari questi tipi di interventi, il cui carattere eccezionale, extra-legale, non dovrà più apparire come segno di qualcosa di arbitrario né di un eccesso di potere, ma al contrario come un’attenzione premurosa» [6].
Il nuovo potere si presenta come un genitore onnipresente, pronto a proteggerci dagli imprevisti della vita; un padre premuroso che sa intervenire al momento giusto e con i mezzi più efficaci, perché non tiene conto di quelle vecchie abitudini che sono le leggi e le giurisprudenze. E che, beninteso, fa tutto questo solo per il nostro bene. Il nuovo potere è quello che dice: “Niente paura, risolviamo noi il problema, gestiamo noi la situazione, costi quel che costi, compreso la guerra e lo sterminio”.
Vorrei inoltre soffermarmi un istante su ciò che scrive a proposito del tema pace-sicurezza il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, giustiziato nel campo di concentramento di Flossenbürg nell’aprile 1945: «Non c’è via per la pace sulla via della sicurezza. La pace va osata: è l’unico grande rischio e mai e poi mai può essere assicurata. Pace è il contrario di sicurezza. Esigere sicurezza significa essere diffidenti e a sua volta tale diffidenza genera la guerra. Cercare delle sicurezze significa volersi proteggere. Pace significa abbandonarsi completamente al comandamento di Dio […]» [7].
Mi sembra che qui Bonhoeffer riesce a cogliere molto bene l’impasse della situazione attuale: l’intesa mondiale per la sicurezza è fondata sulla diffidenza, ma dalla diffidenza può generarsi solo la guerra. E così il circolo si chiude e, oggi come ieri, si ripete all’infinito, lasciando solo macerie e sangue da tutte le parti. In fondo, il monito del Vangelo su questi temi è lo stesso da duemila anni. «Quando si dirà: “pace e sicurezza”, allora d’improvviso lì colpirà la rovina […] e non scamperanno» (1Ts, 5,3).
NOTE
[1] P. Di Vittorio, A. Manna, E. Mastropietro, A. Russo, L’uniforme e l’anima. Indagine sul vecchio e nuovo fascismo, Action 30, Bari 2009.
[3] Cfr. G, Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
[4]Cfr. J. C. Paye, La fine dello Stato di diritto, manifestolibri, Roma 2005.
[5]G. Deleuze, L’ebreo ricco, in Id. Due regimi di folli e altri scritti, Einaudi, Torino 2010, p. 106.
[6] M. Foucault, La sicurezza e lo Stato, in Id, La strategia dell’accerchiamento. Conversazioni e interventi 1975-1984, :due punti edizioni, Palermo 2009, pp. 71-72.
[7] D. Bonhoeffer, Scritti scelti (1933-1945), Queriniana, Brescia 2009, p. 64.
Andrea Russo è un ricercatore indipendente. Ha pubblicato articoli sul pensiero politico e filosofico con varie riviste e case editrici. Nel 2009 ha collaborato al volume <<L'uniforme e l'anima indagine sul vecchio e nuovo fascismo>>, pubblicato dal collettivo Action 30. Recentemente ha curato la riedizione di alcuni saggi del filosofo Nicola Massimo de Feo e pubblicato articoli sull’interpretazione del pensiero del teologo Dietrich Bonhoeffer.

