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- a cura della redazione del comparto fascismi

- 4 giorni fa
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Democrazia d’eccezione e post-fascismo, un dialogo con Andrea Russo parte 3

Il testo che qui presentiamo è la terza e ultima parte della trascrizione di una lunga conversazione con il ricercatore indipendente Andrea Russo. Nella prima parte vengono riprese le fila delle riflessioni sui nuovi fascismi sviluppate dall’autore nella raccolta L’uniforme e l’anima, pubblicata nel 2009 insieme al collettivo “Action 30”, nella seconda indagate le operazioni di “fascistizzazione del cristianesimo” operate dalle nuove destre, attraverso il caso della teologia di Driecht Bonhoeffer, e le riflessioni sul genocidio culturale avanzate da Pasolini, a 50 anni dal suo omicidio. In quest’ultimo episodio l’attenzione è rivolta all’intreccio tra nuovi fascismi e guerra: dalla campagna trumpiana contro l’immigrazione fino al contesto palestinese, dove il progetto di “pace” promosso dagli Stati Uniti si rivela un debole palliativo rispetto al disegno genocidario perseguito dal governo israeliano.
Redazione Ahida: Nella vostra ricerca avete molto insistito sul fatto che una delle caratteristiche principali delle nuove forme di razzismo e di fascismo è che, in esse, la componente “soggettiva” riveste un ruolo determinante. Ciò che a più riprese voi sottolineate è il fatto che, oggi, nessuna politica può evitare di fare i conti con i modi di condotta, gli stili di esistenza, le tecnologie del sé.
Andrea Russo: Per cogliere la portata delle nuove forme di fascismo, abbiamo seguito l’indicazione di Gilles Deleuze e Felix Guattari, vale a dire che è necessario raddoppiare la prospettiva “molare” (inerente alle grandi strutture come gli stati, i partiti, i sindacati) con una prospettiva “molecolare” (specifica, invece, della postura etica e della sfera esistenziale). È questa seconda prospettiva che consente di situare la micropolitica a livello della produzione di soggettività. L’inconscio si rapporta senza mediazioni al piano sociale, politico ed economico, perché non esiste più, nell’epoca della secolarizzazione compiuta, il potere come trascendenza infinita, ossia come qualcosa da cui ci separa una distanza incommensurabile. Il potere non è piramidale, ma segmentale e lineare; esso si propaga per contiguità, come le sirene di Ulisse, ed è su questa superfice che si sviluppa la relazione di immanenza, la fitta trama dei dispositivi di assoggettamento e di resistenza contro di esso [12]. Attraverso una completa riorganizzazione del piano percettivo, nei termini che abbiamo fin qui ricapitolato, la fascinazione del potere irraggiungibile viene così sostituita dal mito, altrettanto suggestivo, di un potere facilmente accessibile, alla portata di mano, acquistabile.
Il nemico principale dell’Anti-Edipo è il fascismo, non solo quello «storico di Hitler e Mussolini», ma anche quello «che è in noi tutti, che abita il nostro spirito e la nostra condotta quotidiana» [13]. Il fascismo è pericoloso per la sua potenza molecolare, perché è un movimento di massa che oggi incarna più l’“anarchismo del capitale” che l’ordine di un sistema totalitario tradizionale. Il fascismo è una sottile polvere cancerosa che penetra nelle relazioni sociali modellandole dall’interno. Esiste il «fascismo rurale e il fascismo di città o di quartiere, il neofascismo e il fascismo da vecchio combattente, il fascismo di sinistra e di destra, di coppia, di famiglia, di scuola o d’ufficio: ogni fascismo è definito da un microbuco nero, che vale per sé stesso e comunica con gli altri, prima di risuonare in un gran buco nero centralizzato. Vi è fascismo quando una macchina da guerra viene installata in ogni buco, in ogni nicchia» [14].
Redazione Ahida: Qui emerge chiaramente il campo problematico nel quale siamo inscritti e con cui dobbiamo fare i conti.
Andrea Russo: Il concetto di macchina da guerra rende bene l’idea di ciò che si sta installando nelle attuali democrazie occidentali, dopo che lo stato di eccezione e le tecnologie di sicurezza sono diventati la regola, cioè “normali” prassi di governo. Oggi, come abbiamo già detto, la società democratica si presenta come un sistema organizzato su piccole insicurezze che alimentano grandi paure. Inoltre, va tenuto presente che è ormai egemonico un modello etico basato sulla competizione tra individui e sul successo, che presenta come contropartita da un lato l’ossessione identitaria come ripiegamento esistenziale, dall’altro l’esperienza della paura come legame sociale. La democrazia securitaria inventa e moltiplica i suoi vulnera, e li elegge a fronti di guerra interni ed esterni: se ne aprono ovunque, e tutti i veri cittadini sono chiamati a stanare e combattere il nemico di turno della normalità, che è generalmente il povero, il soggetto socialmente più debole.
Redazione Ahida: Quello che hai appena detto ci riporta inevitabilmente ad allargare la riflessione su quanto sta avvenendo in questi mesi negli Stati Uniti in materia di immigrazione e giustizia sociale.
Andrea Russo: In campagna elettorale Trump aveva definito i migranti irregolari “animali che avvelenano il sangue della nazione”. Dopo che è stato rieletto si è sin da subito prodigato a incrementarne gli arresti e le deportazioni. Il 20 gennaio 2025 ha firmato un ordine esecutivo denominato: Protecting the American People Against the Invasion, dove sostiene che l’amministrazione precedente guidata da Joe Biden ha permesso a milioni di clandestini di attraversare i confini. L’ordine esecutivo ha un impatto devastante sulle politiche immigratorie: incrementa l’assunzione di agenti dell’Ice; limita l’accesso dei migranti ai già scarsi benefici pubblici; estende l’uso del rimpatrio accelerato, che consente l’espulsione delle persone senza udienza in tribunale. Sul sito della Casa Bianca, Trump ha specificato che da quando è tornato in carica ha deportato più di 100mila migranti irregolari, un obiettivo che però è ancora lontano dai 15-20 milioni che si è prefisso. Nei mesi estivi, in molte città americane, si è sviluppato un ampio movimento anti-deportazione la cui azione è consistita tanto nell’informare la gente sui propri diritti, quanto nel cercare di bloccare o intralciare l’arresto illegittimo dei migranti. Si tratta di un conflitto che il presidente americano non solo ha cominciato, ma che sta spingendo affinché dilaghi sempre più, mutandosi in una vera e propria stagione di guerra civile [15]. È lui ad aver fatto passare l’azione solidale come una violenta insurrezione; è lui che ha innescato paura e terrore tra i migranti e chi li aiuta; è lui che ha fomentato giudici, poliziotti, militari ad usare il pugno di ferro contro chi protesta; è lui a manipolare l’informazione al fine di far riconoscere all’opinione pubblica la necessità di applicare lo stato di eccezione contro un presunto nemico interno, il migrante, che non è altro che il soggetto più debole e meno garantito della società. Molti imprenditori gli hanno comunque fatto presente che, deportando la maggior parte dei lavoratori poveri, rischia di far collassare l’economia del paese. Trump, che è un imprenditore, questo lo sa molto bene, per cui è stato costretto a spingere il freno della macchina da guerra. Resta il fatto che la sua strategia consiste nel frenare e accelerare i pedali della macchina a sua discrezione, al fine di mantenere alta la tensione sociale e così continuare a terrorizzare la popolazione. Fomentare la paura e l’odio, ecco i principi di cui tiene conto il pensiero e l’azione politica di Trump, come d'altronde quella di Netanyahu.
Redazione Ahida: Rispetto ad Israele, considerata il baluardo della democrazia in Medio Oriente, che pensi?
Andrea Russo: Innanzitutto, che si tratta di una “democrazia d’eccezione”, poiché Israele, come è noto, sin dalla sua fondazione nel 1948, ha scelto di non dotarsi di una costituzione formale, preferendo un impianto giuridico costruito attraverso le cosiddette “Leggi fondamentali”. Il fatto è che tali leggi hanno indubbiamente fornito una cornice costituzionale minima, senza tuttavia mai articolare un sistema di diritti pienamente garantito, in quanto si tratta di un diritto senza patto. Ma è possibile l’esistenza di una società democratica in assenza di una costituzione esplicita? Israele dimostra che una democrazia può sopravvivere senza una costituzione scritta, ma a caro prezzo: incertezza sistemica, polarizzazione permanente, sfiducia e odio reciproco. Nella tradizione delle moderne democrazie europee, il testo costituzionale non è stato mai solo l’insieme astratto e formale di norme, ma l’espressione di un “noi” condiviso. In Israele, al contrario, tale “noi” resta problematico. Le sue componenti – ebrei laici e religiosi, arabi, drusi – non hanno mai davvero definito un’intesa comune per cui poter dire: «noi». Nonostante tutto, tale fragile assetto sistemico ha resistito fino all’assassinio di Rabin (1995), artefice degli accordi di pace palestinesi. Si tratta di un passaggio storico cruciale, perché quell’omicidio politico, anziché provocare un moto di indignazione, favorì nel 1996 la prima vittoria elettorale di Netanyahu, che ha governato ininterrottamente per circa quindici anni, per poi essere rieletto nel 2022. Nella ultima tornata elettorale, però, la sua vittoria è stata garantita dai partiti religiosi ultraortodossi: il sefardita Shas, l’ashkenazita “Uniti nella Torah” e “Sionismo religioso”. E così, per governare Netanyahu ha dovuto concedere la guida dei ministeri-chiave ai suoi inquietanti alleati.
Dagli anni Novanta, in Israele, ha preso sempre più consistenza un processo di “fascistizzazione dell’ebraismo”, iniziato in forme minoritarie eversive negli anni Settanta e Ottanta, che ha trasformato lo Stato in una macchina da guerra teologico-politica. Voglio dire che la macchina da guerra teologico-politica ha preso su di sé il fine, cioè l’organizzazione dell’ordine, e che lo Stato non è diventato altro che uno strumento asservito a tale macchina.
L’ordine del discorso dei più fervidi sionisti di estrema destra è un miscuglio di travisamento teologico-politico delle Scritture, di convinzioni ideologiche fondamentaliste ultraortodosse e di narrazioni messianiche che vedono gli ebrei come unico popolo ad aver abitato la “Terra di Israele”. In tale discorso non emerge nulla di teologicamente rilevante, ma ciò che emerge è comunque un chiaro messaggio politico: giustificare a tutti i costi il genocidio del popolo palestinese a Gaza, fino a negarne storicamente l’esistenza. Il locus teologico da cui l’ultradestra sionista attinge per giustificare la guerra santa contro i palestinesi è Esodo 17, 8-16. Qui si parla della battaglia contro Amelek, in seguito all’attacco ingiustificato ed efferato che gli Amalaciti hanno compiuto, attaccando le retrovie degli Israeliti. Poiché vincono questa prima prova per la loro nascente comunità, il Signore dice a Mosè: «Scrivi questo su un libro come ricordo e dichiara alle orecchie di Giosuè che io cancellerò il ricordo di Amalek [16] da sotto il sole. Allora Mosè costruì un altare, al quale pose nome: “L’Eterno è la mia bandiera”, e disse: “La mano è stata alzata contro il trono dell'Eterno, e l'Eterno farà guerra ad Amalek di generazione in generazione”» (Es, 17, 14-16).
Netanyahu, per mezzo di un enorme operazione di strumentalizzazione del testo biblico, giustifica il genocidio verso il popolo palestinese a Gaza paragonando i palestinesi agli Amaleciti e gli Israeliti agli attuali israeliani. E così, non solo il genocidio verso i palestinesi diventa diritto politico all’autodifesa di Israele, ma addirittura viene teologicamente giustificato come proseguimento della giustizia divina contro i perfidi Amaleciti.
Al di là di questa nefasta interpretazione letterale, la vicenda di Amalek, cioè il “comandamento al genocidio”, è stata più volte indicata dalla tradizione rabbinica come uno dei passaggi più problematici della Torah. Inoltre, gli insegnamenti cabbalistici e chassidici, rappresentano Amalek non come una realtà esteriore, ma interiore, come una parte di noi che va combattuta spiritualmente (qui è evidente il parallelismo con la nozione islamica di jihād maggiore-spirituale, opposto al jihād minore-bellico). La tradizione teologica ebraica, in molte sue forme, si è preoccupata di ridefinire totalmente le implicazioni letterali dell’obbligo di sterminio dei discendenti di Amalek. Una preoccupazione che non pare essere quella del governo attuale, il quale, sostenendo l’interpretazione letterale, ignora secoli di esegesi, per proiettare Amalek nella realtà storica e così materializzarlo e identificarlo con il nemico e l’antisemita di turno. Amalek è il nome in codice che i sionisti di estrema destra utilizzano come sinonimo di palestinese.
Redazione Ahida: Se oggi, per Israele e il suo governo, Amalek è identificato con il popolo palestinese, allora la pace di Trump non è altro che una pausa nel genocidio. Oltre al fatto che rispetto alle miriadi di piani di pace elaborati nel corso degli ultimi decenni, sembra essere quello meno serio.
Andrea Russo: Storicamente tutti i piani di pace sono finiti allo stesso modo. Israele ottiene inizialmente ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi vivi e morti, mentre ignora o viola ogni altra fase fino a quando non riprende i suoi attacchi contro la popolazione. Il giornalista e scrittore statunitense Chris Edges ha definito l’attuale piano di pace «un gioco sadico. Una Giostra di Morte. Un cessate il fuoco che va considerato come una pausa pubblicitaria. Un momento in cui al condannato viene permesso di fumare una sigaretta prima di essere ucciso» [17]. In definitiva, una pausa nel genocidio è il massimo che possiamo aspettarci. Israele è sul punto di svuotare Gaza, che è stata praticamente annientata da due anni di bombardamenti incessanti. Non ha intenzione di fermarsi, perché questo è il culmine della sua utopia, vale a dire ritornare in possesso della terra che Yahave gli ha assegnato. L’unica pace che Israele intende offrire ai palestinesi sembra essere la pace eterna.
Note
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, Quodlibet, Macerata 1996.
M. Foucault, “Prefazione” (1977), in Archivio Foucault 2. 1971-1977. Poteri, saperi, strategie, Feltrinelli, Milano 1997, p. 242.
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, p. 309.
Cfr., M. Tarì, La caccia ai migranti tra le tante “periferie” della guerra (consultabile online).
Su questi temi Cfr. https://www.oasiscenter.eu/it/ricordati-di-scordare-amalek-o-la-necessita-di-passare-dal-mito-al-mite
C. Hedges, Il finto piano di pace di Trump (consultabile online).
Andrea Russo è un ricercatore indipendente. Ha pubblicato articoli sul pensiero politico e filosofico con varie riviste e case editrici. Nel 2009 ha collaborato al volume <<L'uniforme e l'anima indagine sul vecchio e nuovo fascismo>>, pubblicato dal collettivo Action 30. Recentemente ha curato la riedizione di alcuni saggi del filosofo Nicola Massimo de Feo e pubblicato articoli sull’interpretazione del pensiero del teologo Dietrich Bonhoeffer.

